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II

Scesero le scale che conducevano in cantina, dove il fuoco era spento e la gigantesca incudine sul quale Tairan lavorava fredda. I vari attrezzi da lavoro, cioè i vari martelli e alcuni aggeggi utili per incidere il metallo che Rey non aveva mai capito come usare, erano tutti accatastati l'uno sull'altro sul pavimento. Alcune armi che avevano richiesto erano già pronte, e Tairan le aveva riposte sull'espositore a muro: erano due spade e una coppia di pugnali.

«Sai come si accende il fuoco, no?» le chiese, abbassandosi a raccogliere il suo martello migliore.

Rey aggiunse del nuovo carbone, formando una piramide con i vari pezzi. Scatenò delle scintille strofinando due pietre focaie fra loro; bastarono un paio di colpi e le fiamme attechirono. Attese quindi che il fuoco si ingrandisse e si accendesse per bene, aiutandolo con alcuni soffi. Lasciò che il carbone si riscaldasse abbastanza, mentre Tairan armeggiava con il metallo dietro di lei, prima di utilizzare il soffietto.

Quando era piccola, le capitava spesso di scendere a controllare il padre mentre lavorava, e ricordava di rimanere affascinata ogni volta dalla grandezza del fuoco. Il clangore del martello sul metallo riempiva l'intera cantina, e a volte, nel silenzio, anche in casa si poteva udire quel battito continuo. Fu in una di quelle occasioni che Tairan le aveva spiegato come accendere il fuoco.

Rey eseguiva ogni movimento proprio come lui le diceva, e ricordava ancora di come rideva felice.

«Ora, sai come si riscalda il metallo?»

Tairan prese una lastra e la pinza e glieli porse.

«No, non lo so,» rispose senza entusiasmo.

«Bene. Allora guardami, te lo faccio vedere.» Lui immerse il metallo nel fuoco, che si riscaldò fino a diventare incandescente.

Rey lo osservò in silenzio, ma non stava davvero facendo caso ai suoi movimenti. I pensieri le si erano bloccati. Aveva creduto che volesse parlarle del rito, della sua sconfitta, di ciò che significava per la famiglia Estender perdere il diritto di essere Guida. Perché all'improvviso si era fissato con la forgia? Sapeva benissimo che lei non aveva nessuna intenzione di seguire le sue orme.

Si accorse che lui le stava parlando soltanto dopo alcuni minuti, e sollevò gli occhi con la fronte corrugata.

«Ma mi stai ascoltando?» La voce di lui tuonò nella stanza. Di solito non si scaldava tanto facilmente, e lei si rimpicciolì un poco nel sentirlo alzare il tono.

Allora era arrabbiato. Fare finta di niente era soltanto il suo modo di reagire, che in un certo senso non era affatto diverso dall'istinto di fuggire che aveva animato la figlia.

«Papà, io non voglio lavorare qui,» gli disse.

Tairan impiegò diverso tempo a risponderle. Estrasse la lastra di metallo dal fuoco e la posò sull'incudine. In un momento in cui Rey non guardava, aveva indossato il grembiule da lavoro. «Neanche io volevo, alla tua età,» ammise. «Ma scoprii di essere portato, molto più di mio padre, e alla fine mi ci appassionai.»

«Non è questo che voglio dire,» borbottò lei. «Perché me lo stai insegnando adesso

«Perché ormai sei una donna, ed è il momento che impari a lavorare.»

Aveva indosso quel cipiglio che lei aveva tanto desiderato evitare.

«Ma io non voglio restare qui. Io voglio andare ad Arilia.» La prospettiva di rimanere in quel villaggio per il resto della vita la distruggeva nell'animo. Non avrebbe mai conosciuto nessuno di nuovo, avrebbe dovuto sposare il meno peggiore dei ragazzi di Er-lor, e accontentarsi di vivere come avevano vissuto i suoi genitori. Avrebbe condannato anche Areth a un'esistenza di sogni infranti.

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