Capitolo 27

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"Polissena" gridò Andromaca alla porta della sua stanza, "ti va di accompagnarmi al mercato?"

Polissena non usciva più da tanto dalla sua stanza, aveva passato gli ultimi giorni giacendo nel rimorso e non sopportava più questa situazione. Disse di sì solo perché desiderava provare a distrarsi anche solo per un'ora.

Uscirono per le strade affollate di Troia, Polissena non voleva essere riconosciuta dagli abitanti perché, da quando aveva partecipato all'uccisione di Achille l'avevano considerata un'eroina e lei non lo sopportava perché non c'era niente in quello che aveva fatto che fosse degno di venerazione, anzi tutto il contrario. Così si coprì la testa con un velo scuro e si tolse tutti i gioielli che solitamente indossava per cercare di mascherare almeno alle persone lontane la sua identità.

Il rumore che c'era nella piazza principale era assordante, le grida dei venditori sovrastavano le chiacchiere delle donne, Polissena seguiva Andromaca spintonandosi tra la gente.

"Devo comprare delle stoffe" le diceva intanto Andromaca, "però non riesco a vedere chi le vende".

Polissena cercava di allungare la testa per vedere qualcosa, ma la confusione era tale che non ci capiva niente. Uno strillo acuto le fece girare la testa di colpo, vide una bambina correre via, si avvicinò per vedere se aveva bisogno di aiuto e Andromaca continuò per la sua strada senza notare che Polissena non la stava più seguendo. La ragazza vide che non era successo niente, probabilmente la piccola stava giocando oppure si era spaventata per qualche strano rumore o cose senza importanza. Tirò un sospiro di sollievo e si rese conto di aver perso Andromaca. Si mise ad urlare il suo nome e camminare nella direzione in cui le sembrava che fosse il venditore di stoffe, ma le sue grida non erano udibili perché venivano sovrastate da tutta la confusione che aveva dintorno. Mentre guardava e caminava con la testa alta andò a scontrarsi, per errore, con un uomo piuttosto basso accompagno da un altro uomo più giovane e bello di lui.

"Perdonatemi" disse Polissena imbarazzata ai due guardandoli per la prima volta in viso. Probabilmente quei due uomini capirono che la ragazza era rimasta stupita di vederli e che quindi li conosceva già. Gli si gelò il sangue nelle vene e diventarono pallidi.

"Non ti devi scusare, principessa" disse l'uomo più basso inchinandosi davanti a lei con voce adulatoria e infida. Polissena non replicò, continuava a guardarli con un'espressione quasi traumatizzata, riconobbe per primo l'uomo basso, tozzo e robusto dai capelli brizzolati e la barba folta, gli occhi che brillavano di astuzia sotto le palpebre, non aveva dubbi, si trattava di Ulisse.

Polissena andò via abbozzando un sorriso e si allontanò uscendo dalla piazza del mercato, che cosa aveva appena visto! Si sedette su un muricciolo per pensare, era sicura che si trattasse di Ulisse, lo conosceva bene, lo aveva visto bene. E l'altro uomo? Era abbastanza sicura anche di lui, alto, affascinante, biondo e abbronzato, si trattava quasi inconfondibilmente di Diomede. Si sentì indecisa, doveva dirlo a qualcuno? A suo padre, ai suoi fratelli? E cosa avrebbero fatto allora? Era impossibile ritrovarli e poi ora anche loro, dopo aver visto la reazione della ragazza, erano sicuri di venire scoperti non sarebbero rimasti lì o almeno non con lo stesso travestimento.

"Polissena!" udì la voce di Andromaca e vide che le stava correndo incontro, "dove ti eri cacciata?"

La ragazza non rispose e Andromaca capí che c'era qualcosa che non andava.

Quella notte soffiava un po' di vento, Ulisse fu costretto a tenersi il cappuccio pigiato sulla testa con le mani per fare in modo che il vento non gli scoprisse il viso. Procedeva accompagnato da Diomede nelle strade buie e desolate di Troia, sapevano dove fosse il tempio di Atena, lo avevano visto quando era giorno, ma adesso procedevano come a tastoni perché era difficile riconoscere le strade di una città quasi sconosciuta a notte fonda. Una cosa era certa, che dovevano salire perché il tempio si trovava nella cittadella così imboccarono una strada parallela a quella principale che portava a palazzo. La porta della cittadella, stranamente, non era chiusa e Ulisse lo interpretò come un segno divino, un segno che qualche dio li stava aiutando in quella loro impresa. Non ci volle molto perché identificassero il tempio, davanti ad esso stava una statua che rappresentava la dea con l'elmo in testa e l'elgida frangiata sul petto. Non era quello il Palladio, lo sapevano bene, non poteva essere così esposto. Sistemarono il carro che avevano rubato a qualche povero troiano proprio davanti al tempio in modo da poterci issare la statua senza tanti problemi. Salirono lentamente gli scalini ma i loro passi rimbombavano nelle grandi stanze del tempio, entrarono nella cella, il piccolo spazio centrale e lì videro il Palladio, una statua grande e bella molto simile a quella che stava fuori dal tempio ma molto più decorata. Avvolsero per prima cosa la statua in un telo e poi la spostarono a piccoli tratti fino a quando non riuscirono ad issarla sul carro. Ora era fatta, dovevano solo uscire dalla città, ma non potevano farlo di notte, si sistemarono in una casa abbandonata degli uomini di basse condizioni, magari appartenuta a una famiglia che è stata costretta a spostarsi perché troppo povera, e, quando spuntò l'alba uscirono, prima che qualcuno si accorgesse del furto del Palladio.

PolissenaWhere stories live. Discover now