L'unico posto rimasto

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CAPITOLO 1 – L'unico posto rimasto

Richiuse piano la porta dietro di sé, ruotando con delicatezza la maniglia del portone. Il buio e il silenzio gli davano l'impressione di prolungare suo sonno improvvisamente interrotto dalla sveglia. I mattini erano ancora molto bui, ma, entro qualche settimana, il sole sarebbe stato costretto anche lui ad alzarsi prima e a rischiarare fin da subito il vialetto che collegava la casa al cancello in ferro battuto che dava sulla strada.

L'aria era fredda, immobile, e l'erba riluceva di un sottile strato di ghiaccio. Non aveva piovuto durante la notte, ma le pietre che componevano il vialetto erano scure e bagnate per l'umidità fastidiosa che affliggeva sempre la città in quel periodo dell'anno.

Diego percorse veloce la distanza che lo separava dal cancello, sprofondando nel cappotto marrone e stando attento a non scivolare per la suola liscia delle sue scarpe da ginnastica. Lanciò uno sguardo alla sua sinistra, verso il giardinetto in cui aveva festeggiato il suo quattordicesimo compleanno pochi mesi prima, durante l'estate.

La mamma aveva allestito una ricca tavolata sotto la veranda, con grandi piatti pieni di tramezzini e pizzette, vassoi di pasta e riso e ciotole strabordanti di patatine rustiche e al formaggio. Qualche genitore si era trattenuto a chiacchierare all'ombra del grande ciliegio che ricopriva con i suoi rami gran parte del giardino, mentre i ragazzi giocavano col pallone. Molti degli invitati erano compagni di scuola che Diego avrebbe probabilmente perso per strada negli anni successivi, col passaggio dalle medie alle superiori e l'approdo in una nuova classe. Solo due o tre infatti, avevano scelto di intraprendere i suoi stessi studi. Nonostante quella flebile malinconia che si insinuava tra le chiacchiere degli adulti e all'interno dei cuori inconsapevoli dei ragazzi, era stata una bella festa.

La strada era ancora vuota. Diego notò solo qualche vicino tremante rientrare in casa dopo aver sfidato il freddo mattutino per buttare la spazzatura in pantofole e vestaglia. Ogni tanto cercava di leggere l'ora sull'orologio che teneva al polso, senza togliere le mani dalle tasche.

Una volta arrivato alla fermata dell'autobus si appoggiò al palo che sosteneva un segnale stradale, a circa dieci metri dalla pensilina. Sulla panchina arrugginita sotto la pensilina sedeva una vecchietta. La donna era avvolta fin sotto le ginocchia in una pelliccia voluminosa, sui toni del grigio. Ai piedi portava delle scarpe nere con quell'accenno di tacco che serve alle signore anziane per stare comode e non avere problemi alle caviglie. Sulle ginocchia, ben stretta tra le mani, una vecchia borsa di pelle nera.

La vecchietta salutò Diego con un cenno del capo e un sorriso che increspò il viso rugoso e giallastro sotto gli occhialetti rotondi. Il ragazzo ricambiò il saluto con un movimento approssimativo del capo verso l'alto. La nuova scuola era iniziata solo da qualche settimana, ma non c'era stato ancora un giorno in cui Diego con l'avesse trovata lì, seduta sulla panchina a quell'ora improbabile del mattino. Ad aspettare il bus delle 6.56. Per quanto ne sapeva poteva anche essere lì da ore.

Durante l'attesa, gli capitava di osservarla, voltandosi di scatto dalla parte opposta quando la vecchietta ruotava la testa per guardare la strada nella direzione in cui si trovava lui. Lo incuriosivano le persone anziane. A volte provava tenerezza per loro, gli ricordavano i nonni, quelli che aveva perso e quelli che abitavano in campagna e vedeva raramente, coi quali aveva trascorso le estati più belle. Altre volte, come in quel caso, li trovava misteriosi, esseri alla fine di un viaggio di cui lui era solo all'inizio, custodi di storie e segreti. Dove andava quella vecchietta, da sola, ogni mattina così presto, con l'autobus che portava in centro?

Diego vide in lontananza i fari dell'autobus che si stava avvicinando velocemente. Nella direzione opposta i raggi del sole iniziavano a colorare il cielo, una macchia gialla confinata sopra l'orizzonte. Si staccò dal palo e, con andatura penzolante si avvicinò al ciglio della strada estraendo le mani dalle tasche e afferrando le fasce dello zaino subito sotto le ascelle. La vecchietta non riusciva mai a notare l'autobus per prima e, vedendo Diego muoversi, si tirava su lentamente, imbracciava la borsa e controllava di non essersi sporcata la pelliccia, prima di avvicinarsi al ragazzo, camminando un po' a fatica, forse per il troppo tempo passato a sedere. Le porte automatiche dell'autobus si aprirono sbuffando e Diego balzò dentro, facendo un cenno del capo all'autista.

Dalla zona residenziale in cui abitava alla scuola che si trovava nei pressi del centro, l'autobus impiegava circa una mezz'ora, troppo poco per riuscire a recuperare un po' di sonno. Diego amava trascorrere quel lasso di tempo ad osservare fuori dal finestrino il risveglio della città: donne che escono di casa in fretta e furia, strattonando bambini che non ne vogliono sapere di andare a scuola; uomini di mezz'età in sgargianti tenute da jogging che corrono lungo i marciapiedi col cane al guinzaglio; spazzini che aspirano in grandi sacchi neri le foglie gialle dei platani che costeggiano i viali più ampi. Ogni tanto il suo sguardo torna all'interno della vettura e si sofferma sugli altri passeggeri, quelli che non conosce, e la sua mente inizia ad immaginare chi possono essere, che scuola o che lavoro fanno, qual è la loro destinazione. Come con la vecchietta, che si siede puntualmente dietro all'autista con cui prova continuamente ad attaccare bottone.

Mentre era assorto nei propri pensieri, un tipo si sedette accanto a lui.

"Scusa ma è occupato per una mia amica che sale alla prossima" sussurrò Diego rivolgendosi al ragazzo che avrà avuto quasi la sua età e stava ascoltando la musica con le cuffie. "E' occupato per una mia amica", ripeté sporgendosi in avanti per catturare la sua attenzione. Gli occhi scuri del ragazzo si alzarono e incontrarono i suoi. Con naturalezza si tolse le cuffie e le appoggiò attorno al collo. "Che hai detto?", chiese, aggrottando le sopracciglia.

"Ho detto che sta per salire una mia amica e le stavo tenendo il posto" spiegò Diego.

"Ah, ho capito...però è l'unico posto rimasto, oggi è pieno".

"A me sembra che ci siano diversi posti liberi".

"Allora la tua amica non avrà problemi" concluse il ragazzo con supponenza prima di rimettersi le cuffie alle orecchie, incrociare le braccia e chiudere gli occhi appoggiando la testa al sedile. Portava un cappellino calato fino in fondo alla fronte, ma la musica che proveniva dalla cuffia riusciva a filtrare attraverso la lana.

Diego non aveva avuto il tempo di ribattere ed era rosso dalla rabbia. Quando Cristina salì sull'autobus, la cercò con lo sguardo e con un cenno del capo indicò il tipo seduto accanto a lui. Lei intese subito la situazione e si sedette nel primo posto libero, dopo aver fatto a Diego un sorriso e un gesto della mano come a dire "non importa, tranquillo". 

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⏰ Last updated: Sep 24, 2021 ⏰

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