Through my wings

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Freddi fiocchi di neve cadevano sul terreno innevato di un piccolo villaggio montuoso dell'Oriente, situato nella parte più povera del Giappone. L'aria era fredda ed il giovane contadino poteva notare le nuvolette del suo respiro, mentre provava a riscaldarsi con il calore del focolare stringendosi alla sua amata nella loro piccola casa di legno.
«Anche il giorno in cui ci siamo conosciuti nevicava.» sussurrò il contadino, osservando il danzare delle fiamme dinanzi ai suoi occhi ambrati.

L'amata sorrise e annuì dolcemente, lasciandosi cullare dalle sue carezze e ricordando con nostalgia quel giorno: aveva chiesto riparo per la notte e, da quel momento, la fanciulla non era riuscita a fare a meno della premura e della gentilezza di lui, ma quello che il contadino non sapeva, era che non era stato il loro primo incontro.
I giorni passarono tranquilli, la neve si sciolse e permise ai due di coltivare i campi; la primavera portò con sé germogli colorati ed un sole splendente che, nel cielo sereno, illuminava la fanciulla, la quale canticchiava una dolce melodia accompagnata dal cinguettio delle rondini in un pigro pomeriggio.

«Hai una voce bellissima.» affermò il contadino, che aveva poggiato il capo sulle gambe della fidanzata per riposarsi sotto il piccolo terrazzo della casa di legno. Quelle semplici parole, pronunciate con affetto, bastarono per rallegrare l'animo della giovane, che arrossì.
«E se un giorno non avessi più una voce così bella, mi ameresti ancora?» chiese lei.
«Certo che lo farei.»
Il contadino allungò una mano verso la guancia della fanciulla e la accarezzò dolcemente. Quella mano che tanto amava e che nel freddo dell'inverno l'aveva salvata: anni prima, il giovane aveva trovato infatti una povera gru con la zampa impigliata in un cappio tra la neve e, avendone avuto compassione, l'aveva liberata con un tocco gentile, osservandola prendere il volo e sparire tra la nebbia.

Arrivò l'estate, i raggi del sole battevano sul capo dei due innamorati mentre questi lavoravano la terra, fino a quando la fanciulla, accortasi di uno strano tonfo alle sue spalle, si voltò trovando l'amato accasciato al suolo; dalle sue labbra fuoriusciva sangue color cremisi, mentre il viso impallidiva rapidamente: la giovane si rese conto che il contadino si era gravemente ammalato.

La vivacità di una coppia innamorata, seppur cosa prodigiosa e lodevole, da sola non era sufficiente per poter pagare un medicinale capace di guarirlo; così osservandolo riposare sul letto vecchio e scomodo con il viso contorto in una smorfia di dolorosa espressione, la fanciulla giurò di impegnarsi affinché il fidanzato potesse star meglio. Giorno e notte ella lavorava da sola nei campi e tesseva la tela per poterla vendere in città ed ottenere abbastanza denaro da poter comprare il medicinale; per compiere in maniera egregia il suo lavoro non utilizzò del semplice filo, ma pregiate piume di gru.
La stagione passava. Le foglie scivolavano dagli alberi rendendoli nudi, ma la fanciulla non avrebbe lasciato che la vita scivolasse via dal corpo dell'amato allo stesso modo.
«Hai delle dita bellissime.» mormorò il giovane tossendo, ma la mano che accarezzava le dita ferite dell'amata era troppo fredda.
«E se un giorno le mie dita non fossero più così belle, mi ameresti ancora?» domandò l'altra, mentre una lacrima solitaria solcava il suo bel viso.
«Certo che lo farei.» rispose il contadino.

L'autunno era ormai alle porte e le condizioni di salute del giovane peggioravano a vista d'occhio; disperata, la fanciulla non smetteva di coltivare i campi se non per fornire cibo caldo al fidanzato, rinunciando ella stessa alle piccole porzioni di cibo giornaliere. Tesseva, strappava piume senza mai lamentarsi, proteggeva le dita con cerotti e stoffa mentre queste si muovevano veloci sul telaio.
In fretta, doveva fare più in fretta.
Gli alberi aridi segnarono il primo giorno di autunno. La giovane corse nel corridoio della piccola casa di legno stringendo tra le mani la medicina che aveva acquistato dopo tanta fatica.

«E se un giorno non fossi più umana, mi ameresti ancora?» sussurrò la fanciulla accanto al contadino, mentre strappava la sua ultima piuma. Nella stanza calò il silenzio, nel quale l'unico suono udibile era forse quello del cuore agitato della giovane.
«Certo che lo farei.» rispose affaticato il contadino, prendendo la piuma. Voltò lo sguardo verso la fidanzata ed un dolce seppur stanco sorriso si formò sulle sue labbra.
La fanciulla cominciò a piangere, sapeva di essere arrivata troppo tardi e che la sua medicina non avrebbe ottenuto alcun effetto.
«C'era una bellissima gru in volo quel giorno e l'ho sempre ricordata, così come la ricordo ora.» raccontò il contadino, allungando una mano tremante verso la guancia dell'amata per asciugarle il volto.
«E, come sempre, ti amo.» sospirò per l'ultima volta, abbandonando il braccio al suo fianco.
La piuma si adagiò al pavimento e la fanciulla, o meglio la gru, strinse a sé il corpo del giovane contadino, mentre in un pianto straziante gli diceva addio.

[ Angolo autrice ]
Salve, poveri malcapitati e grazie per essere arrivati fin qui! È la prima volta che pubblico una storia scritta solo con le mie mani, quindi ho un po' di ansia onestamente. Voglio specificare che non è un racconto originale, ho solo riscritto la storia narrata in una canzone di Rin e Len Kagamine, chiamata "Seasonal Feathers", tratta a sua volta dalla leggenda giapponese "La gratitudine della gru". Nonostante ciò, spero possiate comunque apprezzarla; fatemi sapere cosa ne pensate con un commento od una stellina!
Alla prossima! <3

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