LIBER IX





Teseo, l'eroe caro a Nettuno, chiese ad Achelòo di Calidone
p

erché gemesse e avesse un corno rotto. E il dio, con i capelli,
semplicemente incoronati d'erbe, così prese a dire:
«Triste grazia mi chiedi. Chi racconta volentieri
le battaglie perdute? Ma te le narrerò punto per punto,
e del resto, più che un'onta la sconfitta, fu un onore combattere
e di grande conforto mi è l'autorità di chi mi vinse.
Forse per sentito dire è giunto alle tue orecchie il nome
di Deianira: era una fanciulla di bellezza senza pari,
desiderata e contesa da molti pretendenti.
Entrato insieme a loro nella dimora del vagheggiato suocero,
così gli dissi: "Scegli me come genero, o figlio di Partàone".
E così disse Alcide. Di fronte a noi gli altri cedettero il campo.
Per sé lui vantava di offrire Giove come suocero e la gloria
delle fatiche che, impostegli da Giunone, aveva superato.
Io ribattei: "Mai sia detto che un dio ceda a un mortale."
(Ercole nume non era ancora.) "In me tu vedi il sovrano
del fiume che, serpeggiando, scorre lungo il tuo regno.
E con me non avrai uno straniero venuto d'oltre confine
come tuo genero, ma uno della tua terra, uno dei tuoi.
Unica cosa, e spero non mi nuoccia: la regina degli dei
non mi odia e nessuno per castigo mi ha imposto fatiche.
In più, figlio di Alcmena, tu che vanti la tua discendenza,
Giove non è tuo padre o lo è per via di una colpa:
per averlo come tale accusi tua madre d'adulterio. Scegli:
preferisci che non lo sia o l'esser nato con vergogna?".
Mentre parlavo, già da un pezzo lui mi fissava con occhi torvi
e acceso d'ira si dominava a stento, finché di botto
mi rispose: "Ho il braccio migliore della lingua:
vincimi pure a chiacchiere, a me basta superarti nella lotta!".

E mi si avventò contro inferocito. Dopo l'arroganza mia,
non potevo più ritirarmi: strappai dal corpo la veste verde,
mettendomi in guardia, le braccia tese, i pugni stretti
davanti al petto, e mi preparai al combattimento.
Lui, raccolta una manciata di polvere, me la getta negli occhi,
e a sua volta, coperto di sabbia d'oro, diviene tutto biondo.
Ora cerca d'afferrarmi il collo, ora le gambe che via gli sfuggono,
o finge d'afferrarmi, e dove gli è possibile m'attacca.
La mia solidità mi protegge e vani riescono i suoi assalti;
come accade a una roccia, che con gran fragore i flutti
investono: immobile resta lì, difesa dal suo stesso peso.
Ci stacchiamo per un attimo, poi di nuovo ci scontriamo in lotta,
saldi nella nostra posizione, decisi a non cedere, piede
puntato contro piede, ed io, curvato in avanti con tutto il petto,
incalzo, dita contro dita, fronte contro fronte.
Allo stesso modo ho visto scontrarsi tori immani,
quando la posta del combattimento è la più bella femmina
di tutto il pascolo: l'armento intorno guarda spaurito,
chiedendosi a chi andrà la vittoria di così vasto dominio.

𝐌𝐄𝐓𝐀𝐌𝐎𝐑𝐅𝐎𝐒𝐈 ━ 𝐎𝐯𝐢𝐝𝐢𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora