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Beatrice
Il giorno successivo alla festa a casa di Veronica, mi risvegliai col mal di testa.
Fuori diluviava e, data la mia acuta metereopatia, attribuii il mio malessere al tempo.
Ammettere a me stessa il fatto che non riuscissi a togliermi dalla testa Bernardeschi dalla sera precedente sarebbe stato troppo facile e per nulla nel mio stile.
Arrivai alla conclusione che mi piacesse particolarmente complicarmi la vita, quindi continuai, imperterrita, a negare anche l'evidenza.
Naturalmente a Chiesa non dissi alcunché. Prima di addormentarsi aveva passato almeno quaranta minuti a parlare dei suoi nuovi compagni di squadra e di quanto si trovasse bene con loro.
Lui era così felice ed io non avrei di certo aperto bocca e rovinato tutto. Che poi che cosa avrei dovuto dire?
Il punto era che non lo sapevo neppure io che effetto mi avesse provocato rivedere Federico dopo quasi un anno.
Sicuramente non avrei parlato di indifferenza.
Indossava, senza neanche farlo di proposito, la camicia azzurra che gli avevo regalato un sacco di tempo prima.
Aveva anche lasciato crescere i capelli, ma non di molto. Quando stavamo insieme, era solito tagliarseli, nonostante i tentativi messi in atto da me e da sua sorella per convincerlo a non prendere appuntamento dal parrucchiere.
Del resto era sempre lo stesso.
Riuscii a scambiarci solo qualche parola prima di andare via.
Avevo conosciuto la sua ragazza ma, neanche mezzo secondo dopo la sua presentazione, la mia memoria aveva efficacemente provveduto a dimenticarne il nome.
I suoi capelli erano biondi, proprio come i miei, ma quell'accenno di ricrescita bruna non passò di certo inosservato ai miei occhi.
Mi sembrò subito una persona con la quale non sarei riuscita ad andare d'accordo.
Ovviamente non perché si trattava della nuova fidanzata del mio ex. La mia opinione era frutto di una breve, seppur attenta, analisi a distanza effettuata durante la festa.
Mi parve frivola ed anche un pò sciocca. Rideva a sproposito e cercava sempre di attirare l'attenzione altrui di continuo.
Certo, non che fossi una profiler o che avessi studiato psicologia...il mio, avrebbe avuto tutta l'aria di un pregiudizio, se non fosse stato per Cristiano, che confermò le mie supposizioni.
'Qui non sta simpatica a nessuno!' mi aveva bisbigliato il portoghese all'orecchio.
'Buongiorno!' mi salutò Chiesa non appena aprì gli occhi. Quasi non lo sentii, talmente assorta nei miei pensieri.
Ero già sveglia da più di un'ora, ma rimanere a letto ad ascoltare il rumore della pioggia fu l'opzione che prevalse sulle altre.
'Vado a preparare la colazione' annunciai, alzandomi.
Lui mi prese la mano e mi riportò tra le lenzuola.
'Resta un pò qua'.
Mi rannicchiai ed appoggiai la testa al suo petto, dove cominciai a tracciare dei cerchi con il pollice.
'Come hai dormito?'
'Bene' risposi, forse con poca convinzione. Avevo a malapena chiuso occhio e, quando finalmente ci ero riuscita, avevo sognato ragazzi tatuati che suonavano la chitarra.
'Volevo chiedertelo già ieri ma poi mi sono dimenticato...com'è stato rivedere Bernardeschi?' domandò con tranquillità, mentre io mi irrigidii di colpo.
'È stato...normale' borbottai.
'Normale?'
'Non mi ha fatto né caldo né freddo. Sono felice che stia con quella Angelica. Sembra simpatica' mentii, sfoggiando un sorriso.
Avrei voluto tirarmi uno schiaffo per le tre bugie di seguito che avevo appena rifilato al mio fidanzato ed uno in più per l'espressione da ebete che avevo assunto.
'Penso si chiami Alessia' mi corresse lui.
'È uguale!'
'Avevo quasi paura che lo rivedessi' confessò sottovoce.
'Perché?'
'Nella mia testa c'era il timore che tu non avessi superato la rottura e provassi ancora qualcosa per lui'.
'Non deve neanche venirti in mente!È passato tanto di quel tempo' lo rassicurai, accarezzandogli i capelli.
'E poi io amo te'.
'Ti amo anche io' sussurrò ed unì le sue labbra alle mie.
Il resto della mattinata lo passai da sola. Chiesa andò ad allenarsi ed io trascorsi le ore a cercare di capire come impostare la nuova lavatrice in assenza del manuale delle istruzioni, ovviamente andato perso chissà dove.
Svuotai gli ultimi scatoloni, rimanendo per l'ennesima volta sorpresa dall'elevato numero di cose inutili che avevamo portato con noi e, soprattutto, dal fatto che, in tutto quel casino, non ci fosse neanche una coppia di calzini appaiati.
Coprii il rumore del temporale con una delle mie playlist e mi diedi da fare per sistemare tutto.
La riproduzione casuale di Spotify non fu chiaramente dalla mia parte o in qualche modo stava cercando di mandarmi un segnale.
La canzone mia e di Bernardeschi partì a tutto volume, facendomi fermare all'istante.
Non misi in pausa né mandai avanti. Ad essere sincera, non l'ascoltai neanche.
Centinaia di immagini e sensazioni occuparono i miei pensieri, facendomi perdere la cognizione del tempo e dello spazio.
La mia mente iniziò a vagare tra i ricordi, incapace di trovare una via d'uscita dal labirinto che avevano creato.
Si soffermò proprio su uno dei più dolorosi: quando, circa un anno prima, incontrai il numero trentatré della Juventus al Franchi.
Nonostante ci fossimo lasciati già da tempo, quell'incontro sarebbe rimasto nella mia memoria come il nostro vero addio. Come uno di quelli al termine di un film drammatico, di solito all'aeroporto o in una stazione. Tralasciando il fatto che non fossimo in un film e che quello fosse uno stadio, l'atmosfera creatasi era la medesima.
Lui mormorò un 'ciao' e mi rivelò che non si era ancora abituato a giocare nel vecchio stadio.
Io gli parlai di Chiesa, ma lui sembrò già essere al corrente dei fatti. Evitò di guardarmi negli occhi per tutto il tempo, fino al momento in cui entrambi ce ne andammo e, girandomi un'ultima volta, scoprii che anche il suo sguardo era su di me.
Fu come dirsi tutto senza neppure aprir bocca.
'Stiamo facendo la cosa giusta?' domandai a me stessa.
Per un attimo quasi dimenticai che a lasciarlo non ero stata io.
Era palese che per lui fosse stata la scelta giusta, ma, in quell'istante, avrei giurato il contrario, anche solo per il suo modo di guardarmi.
Gli si leggeva in faccia che avrebbe voluto dire qualcosa, proprio come me.
Poi trovai la forza di andarmene via, perché era finita e tutti e due lo sapevamo benissimo.
Qualunque cosa avessimo detto o fatto non avrebbe cambiato niente.
Al tempo pensavo che se l'avessi rivisto sarei scoppiata a piangere. Fui fiera di me per non aver versato neanche una lacrima.
Non riuscii a fermarmi a vedere la partita.
Quello sarebbe stato troppo.
Erano passati tantissimi mesi ed io, ripensando a quel giorno di settembre, non ero ancora in grado di dare un nome alla sensazione che avevo provato, ritrovandomi davanti ai suoi occhi.
Continuavo a ripetermi che certe cose è meglio non saperle. È meglio lasciarle perdere.
Le nostre strade si erano incrociate di nuovo ed io stavo bene.
Lui mi aveva dimenticato. Io lo avevo dimenticato.
Lui era felice ed io pure.
Tra noi due le cose non avevano funzionato e me ne ero fatta una ragione.
Non potei fare a meno però, di interrogarmi sul perché nel cuore sentissi una tale nostalgia.

Back to you | Federico BernardeschiWhere stories live. Discover now