Capitolo 1: 𝓔𝓼𝓪𝓼𝓹𝓮𝓻𝓪𝔃𝓲𝓸𝓷𝓮

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Un tonfo, seguito dallo strillo di mia madre dall'altra parte della stanza, mi distrae dalla mia travagliata partita a Tetris.

«Dannazione, mamma! Starei cercando di concentrarmi!», sbraito con gli occhi ancora fissi sul display, sperando che quel dannato mattoncino riesca ad incastonarsi con i restanti.
Il materasso sul quale sono adagiata si scuote.

Capisco che mamma sta cercando di raggiungermi gattonando sul letto, e quando mi sfila dalle mani il cellulare lanciandolo sulla poltroncina dietro la scrivania ne ho la conferma.

«Ehy, ma che fai?», corrugo la fronte.
Quando, però, incontro i suoi occhi supplicanti e il labbruccio inferiore che sporge, capisco dove vuole andare a parare.
«Avanti, tesoro! Solo un consiglio!», mi implora.

Alzo agli occhi al cielo, ma nonostante ciò mi sollevo controvoglia sbattendo volontariamente la testa contro la testiera del letto.
«Hai cinque minuti...». biascico osservando la sua espressione mutare radicalmente da speranzosa ad entusiasta.

Si fionda di fronte all'imponente armadio, raccogliendo da terra un agglomerato di tessuti e colori differenti.
Fruga tra di essi alla sfrenata ricerca dei due abiti prescelti.
«Non è questo... Nemmeno questo!», commenta lanciando a destra e a manca un vestito dopo l'altro, nel tentativo - decisamente vano - di intrattenermi nell'attesa.

Mia madre è una fanatica della moda francese, o più in generale della cultura stessa.
Non a caso ha scelto per me un nome francese... Anche se non saprei dire quanto mio padre fosse d'accordo a riguardo.

Finalmente scatta in piedi con aria soddisfatta.
«Bordeaux con questi dettagli dorati», mi mostra accarezzando la fibbia della cintura alla vita, «O questo grazioso cobalto?»
«Se trovi che quello cobalto sia grazioso, non credi di avere già tutte le risposte?»
«Ti spiacerebbe limitarti a rispondere?», domanda fissandomi attraverso lo specchio all'interno dell'anta del guardaroba.
«Quello cobalto, senza alcuna ombra di dubbio», delibero infine spazientita, quando il suono del campanello irrompe.

«Oh, grazie al cielo!», sobbalzo avvicinandomi alla porta, ascoltando mia mamma lamentarsi del mio scarso interesse in materia.
Drew fa il suo ingresso: la camicia floreale che indossa risalta notevolmente la sua carnagione scura. In ogni caso, non posso fare a meno di guardarlo stranita.

«Siete consapevoli del fatto che non ci spetta una serata di gala, bensì una semplicissima inaugurazione di uno street food?», domando, cominciando a sentirmi a disagi nei miei jeans e nella mia scialba maglietta bianca.

Drew scuote la testa. «Bisogna sfruttare ogni occasione per indossare una camicia floreale!»

La testa di mamma sbuca dalla soglia della porta di camera, infondo al corridoio.
I vaporosi boccoli biondo cenere fanno da cornice al volto sorridente e ben truccato.

«Salve, signora Hall!», esclama Drew addentando una mela che raccoglie dal cestino della frutta, sul bancone della cucina.
«Bordeaux o cobalto?», domanda lei senza nemmeno ricambiare il saluto, coscienziosa di poter contare sul ragazzo.
Gli occhi del mio amico si illuminano, dopodiché si fa strada verso di lei per esaminare al meglio il tutto.
«Vada per il cobalto», afferma infine.

Mamma inarca un sopracciglio nella mia direzione. «Lo sapevo!», strilla per poi sbattere la porta in faccia a Drew, che, abituato a tutte queste sceneggiate, continua a morsicchiare la sua succulente mela come fosse un puledro affamato.

«Io mi avvio!», avviso a voce alta, cercando di evadere da questa gabbia di matti.
Poco dopo sento i passi di Drew alle mie spalle, che mi segue sulla strada per il King's Head, un nuovo locale di New Hope, qui in Pennsylvania.
Pare che, per l'occasione, offrano salsicce grigliate e anelli di cipolla a chiunque si presenterà.
Ovviamente Drew, da ingurgitatore seriale di schifezze quale è, non ha potuto rifiutare l'offerta.

«Oh, Lorraine... Quasi dimenticavo!», ansima ancora affannato dalla corsa. «Sono stato a scuola, per ritirare i risultati degli esami finali e... Guarda cosa ho trovato appeso alla bacheca!».
Infila una mano nella tasca posteriore dei jeans attillati, e ne estrae un foglio piuttosto colorato.

«Un corso di pittura!», esclama, ma l'entusiasmo si affievolisce non appena nota la mia espressione piuttosto restia.
«Avanti... non è quello che hai sempre voluto? Inoltre, non hai molti progetti degni del loro nome per poter passare quest'estate in maniera produttiva...»
Drew mi offende, ma tento di non darlo a vedere. «Beh, l'idea del giardinaggio si prospettava buona!», tento di giustificarmi, ma lui sogghigna divertito.
«Se innaffiare il tuo orto di due metri quadri per due giorni di fila può essere definito "giardinaggio", allora sì. Si tratta di una buona idea.»

Sbuffo, e, nel tentativo di farlo tacere, prometto che ci penserò.

Poco più tardi, siamo sorpresi di trovare il nuovo locale piuttosto interessante: i divanetti rossi ricordano molto l'atmosfera degli anni '50, per non parlare degli innumerevoli dischi in vinile appesi alle pareti, ciascuna di un vivace colore differente.
Inoltre, come previsto, le salsicce sono la fine del mondo e Drew pare esserne d'accordo, dato che le divora nell'arco di due minuti.

Mamma, poco dopo, fa il suo ingresso, zampettando agilmente sui tacchi, seguita da Tom, il suo compagno, che ci sorride a 32 denti.
Gli occhi di tutti sono puntati su di lei, che pare esserne fiera, dato che solleva gli occhiali a gatto sul capo per poi farci un occhiolino.

Solo ora noto che indossa l'abito bordeaux dalla fibbia dorata.
Affondo la testa tra le mani, certa che ora scoppierà un interminabile dibattito tra lei e Drew sul perché della sua scelta.
Come previsto, il mio amico non è affatto d'accordo e sospetta si sia trattato di una provocazione nei suoi confronti.

Ad un certo punto, però, ho un'illuminazione per evadere nuovamente da questa assurda situazione.
Afferro Drew per il polso e mi faccio strada verso l'uscita del locale, tentando di oltrepassare mia madre, che però mi blocca.
«Tesoro, dove te ne vai?», domanda, stringendo l'avambraccio di Tom.
Sorrido all'uomo, poi rispondo: «Mi iscriverò ad un corso di pittura. Divertitevi, ragazzi!», faccio io, per poi catapultarmi al di fuori.

Drew sembra essere molto fiero della mia "decisione", se così si può definire, tanto che per tutto il viaggio dal King's a scuola canticchia canzoncine di Beyoncé, trattenendosi dall'inscenare le coreografie correlate.

Rivedere i corridoi vuoti, pensando che fino a poche settimane fa erano stracolmi di studenti di genere o età, è decisamente strano. Confortante, ma pur sempre strano.

«Forza, fannullona, iscriviti!», mi incoraggia Drew.
«Beh, lo farei, se solo ci fosse qualcuno disposto a dirmi come cavolo funziona, qui», esclamo scrutandomi attorno.
Drew mi indica un ragazzo di fronte alla bacheca, intento a leggere volantini attaccati ad essa, poi mi spinge nella sua direzione. «Detto, fatto!»

Gli lancio uno sguardo minatorio, ma obbedisco: mi avvicino a passo lesto, e tento di attirare la sua attenzione.
«Scusa, per l'iscrizione al corso di pittura?», domando ancor prima di averlo raggiunto.
Solo ora mi accorgo del fatto che impugna una penna, e che sta firmando su uno dei fogli dei vari corsi.

Si volta lentamente verso la mia direzione, mi scruta da capo a piedi, per poi concentrarsi sui miei occhi, senza proferir parola.
Che problemi ha, questo maniaco?

Mi schiarisco la gola. «Il corso di pittura...», ripeto.

Indica proprio il foglio su cui ha appena passato l'inchiostro, per poi fare retro-front e allontanarsi.
Definire quel ragazzo inquietante sarebbe un eufemismo.

Lo osservo ancora una volta, prima che scompaia dietro la porta in vetro, imitata da Drew, incantato dal suo atteggiamento, o probabilmente più dal suo aspetto misterioso.

«Che gran bocconcino!», commenta lui, levandomi ogni dubbio.

Alzo gli occhi al cielo, ma, inconsciamente, do una sbirciata al suo nome.
La calligrafia decisamente troppo fine per essere attribuita a quella di un ragazzo: Newt Benson.




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