«Mi piacciono i suoi occhi.» mi disse lei all'improvviso.
Mi voltai verso di lei, cercando di smascherare la mia ansia con uno stupido sorriso stampato in faccia.
«Oh, ehm, la ringrazio. Probabilmente è l'unica cosa bella che ho.»

Lo pensavo sul serio. Non ero mai stato una persona con molta autostima, ma il colore dei miei occhi l'avevo sempre adorato. Anche mio padre aveva gli occhi azzurri, infatti li avevo ereditati da lui. Mamma, invece aveva gli occhi scurissimi, proprio come mio fratello. Per il resto, sia io che Jonathan avevamo i capelli rossicci e la pelle molto chiara. In più, lui aveva una spruzzata di lentiggini sulle gote, cosa che ho sempre amato. Anche Holland aveva delle leggere lentiggini sulle guance e mi piaceva sempre pensare che le avesse ereditate dallo zio Jonathan.

«Sul serio? Io invece penso che lei abbia molto altro di affascinante e bello.» aggiunse facendomi arrossire leggermente, cosa che cercai di nascondere abbassando il capo.
Ero così imbarazzato, come quella volta quando, a 15 anni, chiesi ad una ragazzina di uscire e lei mi rispose di no.
Fu ancora lei a farsi avanti, perché adesso si era avvicinata a me e me la ritrovai a poco meno di un metro da me. Le sorrisi impacciato mentre aspettavo quel dannato ragazzino con le dannate scarpe. 

«Sono Elizabeth.» mi porse la mano.
«Io sono Jared.» risposi io ricambiando il gesto.
Finalmente il ragazzino era appena ritornate con le scarpe numero 45. Le poggiò sul bancone poi, dopo avermi fatto un sorriso decisamente falso, girò i tacchi e riprese a giocare con la sua console blu, che era quello che stava facendo prima che arrivassi io ad interromperlo.

«Ok, beh, vado a riprendere la partita.» le risposi prima di allontanarmi da lei.
«Buona fortuna.» mi disse alle mie spalle.

Di colpo mi bloccai. Pensai che forse avrei dovuto provarci a voltare pagina, ma provarci sul serio. Pensai che non avrei concluso un bel niente se avessi continuato a fare l'idiota con qualunque donna accanto a me che non fosse Sheri. Feci un lungo respiro, convincendomi che dovevo solamente invitare quella donna di nome Elizabeth ad uscire, nulla di più semplice. 


Mi voltai verso di lei, notando quanto fosse confusa dal mio comportamento non molto normale.


«Ti andrebbe di uscire con me?» le domandai rompendo quel silenzio imbarazzato che si era creato.

Lei si sorprese un po'. Si passò una mano sui capelli e sorrise. Sembrò quasi che, in quel momento, il tempo si fosse fermato. Mi sembrò che ci stesse mettendo un'eternità a rispondermi.

Perché ci metti tanto, Elisabeth?

«Sì,» mi rispose qualche secondo dopo, «mi piacerebbe molto.»

Ok, adesso che devo fare?

«Oh, beh, se mi scrivi l'indirizzo ti passo a prendere io.» le dissi cercando di non balbettare.

Elizabeth mi annuì, poi si alzò dallo sgabello e andò a prendere una penna al bancone delle scarpe. Ritornò al suo tavolo, il suo indirizzo e il numero di telefono su un pezzo di carta.

«Ti andrebbe bene venerdì sera alle otto?» mi chiese passandomi il foglio su cui aveva scritto.
«Ehm, sì certo.» le annuii.
Adesso che non sapevo cos'altro dire, pensai che fosse giunto il momento di ritornare da Steve e da suo figlio Benjamin.

«Ok, beh, adesso vado.»
Lei mi sorrise e mi salutò con la mano. Questa volta andai via sul serio.

Una volta ritornato sulla pista di Bowling, trovai lì Steve che mi aspettava con un sorriso.

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