quindici

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but London is calling to me

and I never thought that Id find somebody

never be caught so easily

«Alan - chiamai, entrando nella sua stanza - Sto uscendo, vado al bar.»

Mio fratello mugugnò, mandandomi poco gentilmente a quel paese, per poi rigirarsi nel letto e coprirsi la testa con il cuscino. Scossi la testa, divertita. Alan quella sera - o meglio, quella mattina - era tornato tardi e il fatto che fosse ancora a letto alle due del pomeriggio non mi sorprendeva affatto. Fino a quella sera a cena, non l’avremmo visto alzato, ne ero certa.

«Nel caso arrivasse la mamma, o il papà - gli dissi, conscia del fatto che non stesse ascoltando veramente - Di loro che torno fra un po’.» Uscii dalla sua stanza, sbattendo la porta e scendendo le scale di corsa, infilandomi la giacca e le scarpe, per poi chiudere la porta d’ingresso, facendo scattare la chiave due volte nella toppa. Mi guardai intorno, notando un uomo appostato davanti a casa mia, che non appena mi vide cominciò ad avvicinarsi con passo rapido, una macchina fotografica stretta nella mano destra, mentre con la sinistra cercava di attirare la mia attenzione. Ormai stavo cominciando a farci l’abitudine, a quei paparazzi appostati pronti ad immortalare ogni mia gaffe, ma nessuno si era mai approssimato per farmi domande. Mi fermai appena fuori dal cancello, aspettando che lui mi raggiungesse. Era solo, eravamo soli per la strada, solo qualche macchina passava disinteressata, spruzzando la neve ormai disciolta sulle nostre scarpe.

«Zoe, posso farti qualche domanda?» mi chiese, sorridendomi ed immortalandomi con la sua macchina fotografica digitale. Probabilmente mi stava filmando. Mi sistemai un ciuffo di capelli dietro le orecchie, in imbarazzo.

«In realtà sarei un po’ di fretta, ho un’appuntamento.» gli dissi cortese. Lui sembrò non sentirmi, cominciando a farmi domande su Louis e su Eleanor, sul fatto che lei fosse tornata e stesse alloggiando temporaneamente a casa Tomlinson, poi mi chiese del giorno di Natale, delle foto che erano state scattate la mattina in cui ero andata a portargli il mio regalo. Scossi la testa, evitando di rispondergli e di diventare scortese. Sapevo che quello era il suo lavoro, ma non ero intenzionata a raccontare la mia vita a nessuno, come se dovessi discolparmi da qualcosa che non avevo fatto.

«È Santo Stefano - dissi soltanto - Dovresti essere a casa a festeggiare. Io devo andare.»

Lui continuò a farmi le stesse domande, imperterrito. Cominciai a camminare sempre più velocemente, ma lui mi era alle calcagna, tenendomi nell’occhio della sua digitale. Cosa c’era di così interessante in me da essere filmato? Perché dovevano farmi domande sulla mia vita privata? Che cosa poteva interessare al mondo quello che pensavo di Eleanor e Louis? Scossi la testa, fermandomi e voltandomi verso l’uomo.

«Eleanor e Louis sono soltanto amici - risposi cercando di non mostrare la mia seccatura - Almeno, per Louis è così. Come siamo buoni amici io e lui, non c’è altro da aggiungere. E ora, se non le dispiace, dovrei proprio andare, una mia amica mi sta aspettando.»

Lui mi ringraziò, spegnendo la digitale e allontanandosi. Scossi la testa, alzando gli occhi al cielo coperto da un banco di nuvole nere. Infilai le mani nella giacca, nascondendo la bocca dietro la sciarpa di lana, camminando per le strade deserte di Doncaster. Mi infilai in vari vicoli, che sapevo mi avrebbe fatto da scorciatoia, per poi arrivare nella piccola piazza nella quale vi era anche il bar dei genitori di Dana. Feci una breve corsa, entrandoci e salutando a gran voce la mia amica, intenta a parlare con il padre dietro il bancone. Entrambi si voltarono verso di me e subito Dana fece il giro del bancone, venendomi ad abbracciare.

«Pensavo ti fossi persa!» disse divertita, prendendomi per mano e facendomi sedere ad uno dei tavoli più appartati del locale, nel quale era presente solo un gruppetto di anziane che parlottavano fittamente tra loro. Dana mi fissava, mentre toglievo la giacca lasciandola da parte. Il padre di Dana si avvicinò, porgendomi una cioccolata calda con un sorriso gentile. La presi, ringraziandolo, quando il mio telefono cominciò a vibrare nella tasca dei pantaloni. Lo afferrai, non badando in quel momento a Dana che mi guardava incuriosita. Un nuovo messaggio. Lo aprii, ormai sapendo chi fosse il mittente: Nathan. 

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