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Accadde a fine Novembre.

Una serata come tante altre, forse la più tranquilla fra tutte: eravamo fermi all'angolo tra la nostra - ormai faceva parte di noi - pasticceria e un vecchio negozio di fiori; ci raccontavamo la giornata, perché ci eravamo visti qualche minuto soltanto quando ero passato dalla libreria del signor Martínez per dargli appuntamento lì e avevamo bisogno di trascorrere più tempo assieme.

Faceva freddo. Me lo ricordo perché Liam tremava sotto il cappotto pesante che indossava ma io non potevo scaldarlo col mio corpo perché avremmo dato troppo nell'occhio. Eravamo vicini, ma non ci stavamo toccando. Facevano eccezione solo le nostre mani, che si scambiavano di tanto in tanto una sigaretta condivisa. Non eravamo due fumatori: era il gesto che ci sembrava importante, e quindi lo compivamo per sentirci più grandi, per sentirci più forti. Un po' idioti lo eravamo.

Si aggirava per strada qualche barbone in cerca di un posto in cui passare la notte: un portico, una panchina, qualsiasi cosa sarebbe andata bene per loro che non avevano più nulla da perdere perché avevano già perso tutto. Uomini ubriachi facevano schiamazzi, disturbavano il silenzio di cui, nel mio immaginario, la sera era portatrice; deturpavano la quiete che io e Liam tentavamo di costruire attimo dopo attimo, da soli, spaventati, meno audaci rispetto alla nostra recente abitudine.

C'era un vento fastidioso, non troppo forte ma tanto gelido da bruciare a contatto con la pelle. Mi davo calore fingendo che la fiamma della nostra sigaretta fosse l'abbraccio fra i nostri corpi: non funzionava, ma era bello illudersi.

Liam guardava davanti a sé. Gli passai la sigaretta e lo osservai mentre aspirava. Era profondamente sensuale in quel momento, sembrava risucchiare tra le labbra l'essenza di qualcosa di importante; quando buttava via il fumo, poi, socchiudeva gli occhi, e a me pareva l'essere più erotico del mondo. Mi incendiava vederlo fumare una sigaretta pessima: avrei voluto esserci io fra le sue labbra.

Gli dissi che mia madre mi aveva mandato una lettera. Mi domandava se stessi continuando a vedere quella persona di cui le avevo parlato nella mia lettera. Lo riferii a Liam e lui ridacchiò, probabilmente pensando che, se mia madre avesse saputo quale genere si nascondesse dietro il mio generico persona, le sarebbe venuto un colpo. Mi disse che prima o poi avrei comunque dovuto farglielo presente, perché non poteva restarne all'oscuro per sempre.

«Neanche i tuoi genitori lo sanno.»

«Ti ho già assicurato che prima o poi lo sapranno.»

Accesi un'altra sigaretta perché faceva freddo e avevo voglia di illudermi ancora un po' di fronte a quella fiamma.

Un uomo ubriaco ci passò davanti e ci urlò qualcosa che non capimmo. Poi si sedette a terra e, prendendosi la testa fra le mani, cominciò a singhiozzare. Piangeva come un bambino, e tremava come una foglia: sembrava disperato. Mi avvicinai per chiedere se stesse bene o per cercare di calmarlo, ma mi spinse via sollevano il braccio destro; voleva stare da solo, ci disse.

Tornai dov'ero prima, pentendomi di essermi mosso perché il vento mi penetrò fin dentro le ossa. Faceva troppo freddo per stare fuori. Avevo già proposto a Liam di andare nella sua vecchia casa o nella pensione in cui alloggiavo, ma aveva detto di no: voleva guardare il cielo di notte, vedere le stelle e magari contarle, assaggiare il sapore della notte che, per me, sapeva solo di gelo. Lo accontentai perché volevo stare con lui, perché mi era mancato per tutta la giornata e volevo realizzare ogni suo desiderio.

Restammo qualche minuto in silenzio, ad ascoltare il pianto di quell'uomo che pareva calmarsi secondo dopo secondo. Si rimise in piedi presto e riprese la sua passeggiata notturna, certamente annebbiato dalla quantità di alcol in circolo nel suo corpo e stordito da tutto quel freddo che, apparentemente, non avvertiva.

TibidaboWhere stories live. Discover now