Atto secondo

63 1 0
                                    

Altra sala della villa, contigua a quella del trono, addobbata di mobili antichi e austeri. A destra, a circa due palmi dal suolo, è come un coretto, cinta da una ringhiera di legno e pilastrini, interrotta lateralmente e sul davanti, ove ci sono i due gradini d'accesso. Su questo coretto sarà una tavola a cinque seggioloni di stile, uno a capo e due per lato. La comune in fondo. A sinistra due finestre che danno sul giardino. A destra un uscio che dà nella sala del trono. 

Nel pomeriggio avanzato dello stesso giorno. 
Sono in scena Donna Matilde, il Dottore e Tito Belcredi. Seguitano una conversazione; ma Donna Matilde si tiene appartata, fosca, evidentemente infastidita da ciò che dicono gli altri due, a cui tuttavia non può fare a meno di prestare orecchio, perché nello stato di irrequietezza in cui si trova, ogni cosa la interessa suo malgrado, impedendole di concentrasi a maturare un proposito più forte di lei, che la balena e la tenta. Le parole che ode degli altri due attraggono lo sua attenzione, perché istintivamente sente il bisogno d'esser trattenuta in quel momento.


BELCREDI: Sarà, sarà come lei dice, caro dottore, ma questa è la mia impressione. 
DOTTORE: Non dico di no; ma creda che è soltanto... così, un'impressione.

BELCREDI: Scusi, ma l'ha persino detto, e chiaramente! (Voltandosi alla Marchesa:) Non è vero, Marchesa?

DONNA MATILDE (Frastornata, voltandosi): Che ha detto? (Poi, non consentendo:) Ah sì... Ma non è per la ragione che voi credete. 

DOTTORE: Intendeva dei nostri abiti soprammessi: il suo manto (indica la Marchesa), le nostre tonache da benedettini. 

DONNA MATILDE (Di scatto, voltandosi di nuovo sdegnata.): Puerile? Che dice dottore? 

DOTTORE: Da un canto, sì! Prego; mi lasci dire, Marchesa. Ma dall'altro, molto più complicato di quanto possiamo immaginare.

DONNA MATILDE: Per me è chiarissimo, invece. 

DOTTORE (Con sorriso di compatimento d'un competente verso gli incompetenti): Eh sì! Bisogna intendere questa speciale psicologia dei pazzi, per cui - guardi - si può anche essere sicuri che un pazzo nota, può notare benissimo un travestimento davanti a lui; e assumerlo come tale; e sissignori, tuttavia, crederci; proprio come fanno i bambini, per cui è insieme giuoco e realtà. Ho detto perciò puerile. Ma è poi complicatissimo in questo senso, ecco: che egli ha, deve avere perfettamente coscienza di essere per sé, davanti a se stesso, una Immagine: quella sua immagine là. (Allude al ritratto nella sala del trono, indicando perciò la porta a sinistra.)

BELCREDI: L'ha detto!

DOTTORE: Ecco, benissimo! - Un'immagine, a cui si sono fatte innanzi altre immagini: le nostre, mi spiego? Ora egli, nel suo delirio - acuto e lucidissimo - ha potuto subito avvertire una differenza tra la sue e le nostre: cioè, che c'era in noi, nelle nostre immagini, una finzione. E ne ha diffidato. Tutti i pazzi sono sempre armati d'una continua vigile diffidenza. Ma questo è tutto! A lui naturalmente non è potuto sembrare pietoso questo nostro giuoco, fatto attorno al suo. E il suo a noi s'è mostrato tanto più tragico, quanto più egli, quasi a sfida - mi spiego? - indotto dalla diffidenza, ce l'ha voluto scoprire appunto come un giuoco; anche il suo, sissignori, venendoci avanti con un po' di tintura sulle tempie e sulle guance, e dicendoci che se l'era data apposta, per ridere!

DONNA MATILDE (Scattando di nuovo): No. Non è questo, dottore! Non è questo! Non è questo!

DOTTORE: Ma come non è questo!

DONNA MATILDE (Recisa, vibrante): Io sono sicurissima ch'egli m'ha riconosciuta! 

DOTTORE: Non è possibile... non è possibile...

Enrico IV - Tragedia di  Luigi PirandelloWhere stories live. Discover now