Capitolo 1 - Siamo sempre noi

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Quarant'anni esatti, stesso caigo di allora, stesso naso che cola, stessi piedi e mani fredde ma forse questa volta più per l'emozione.

Non ho ricordo di questo minuscolo ma incantevole boschetto vicino al quale ho parcheggiato l'auto. L'area giochi per i bambini, presumibilmente qui da qualche anno, è ancora intatta così come le panchine, incredibile, a quei tempi non era certo così. La sensazione che avevo prima di attraversare lo stradone, ora perfettamente corredato di marciapiede da entrambi i lati, era di un brivido che correva su dal fondo schiena. Per un ragazzo di allora che, come me, abitava nelle villette, indicatore di differente status sociale, passare il confine, ovvero lo stradone che delimitava il quartiere dei palazzoni popolari, comportava un certo rischio.

Necessitavo di sguardo da falco al fine di individuare con anticipo qualcuno di loro, ossia i temibili fioi dei paeassoni. Dal punto di vista puramente statistico il 95% delle volte filava tutto liscio, riguardo il rimanente 5% preferisco sorvolare. Purtroppo per me non funzionava la frase "Attento a mio fratello che, (seguiva l'elenco dei precedenti penali), ti spacca il culo", inutile bleffare, sapevano benissimo che avevo solo due sorelle e per giunta più piccole di me.

A parte l'incoscienza e la spensieratezza tipiche di quell'età che ti fanno vivere tutto come un avventura dovevo per forza correre quei rischi perché lì, nei palazzoni, avevo tutti i miei migliori amici, in primis Tiziano detto Tito o più volgarmente Titomorti. Quasi nessuno era conosciuto per il proprio nome io Roberto sono Bebo a causa di quella testarda di mia sorella Sonia che, a tre anni, non riusciva a dire Bobo come affettuosamente mi chiamavano i miei, per lei ero Bebo e, Bebo sono rimasto a vita. Qualche anno dopo a causa del mio inseparabile impermeabile beige, nonché della passione che nutrivo per il poliziesco, mi venne affibbiato l'appellativo di Sheridan.

Manca ancora un bel po' all'ora dell'appuntamento, non so perché forse a causa del mio lavoro, alle commemorazioni credo molto; celebrare il ricordo di qualcosa, bello o brutto che sia, che comunque ha lasciato un segno nella tua esistenza, è qualcosa che continua a emozionarmi molto. Per questo sono venuto qui di buonora, sono tanti anni che manco da questo posto, voglio stare un po' di tempo in compagnia del mio vecchio quartiere.

Che comoda 'sta panchina non me la ricordavo così, bella intera con tutti i suoi pezzi quasi senza scritte. E' tutto così diverso, pur nella nebbia, i bellissimi colori autunnali dei molteplici alberi, cavolo quanti, contribuiscono ad abbellire il posto. Il silenzio è interrotto solo dal furtivo passaggio di uno scoiattolo fra il coloratissimo manto di foglie, non mi ci ritrovo più, che fine hanno fatto le pantegane? Quel tipo un po' curvo, che sta armeggiando con la macchina fotografica, emulo di Cartier Bresson, spaccerà sicuramente le sue foto come fatte in un quartiere residenziale di Parigi.

A proposito di spaccio una volta questo era uno dei quartieri più malfamati ora, ironia del destino, ti da una sensazione di profonda intimità e sicurezza, lo posso affermare con certezza io che professionalmente ho più volte dovuto sbattere il muso contro il disagio e il degrado più profondo, con la frustrazione tra l'altro di non riuscire sempre a porvi rimedio.

Però che voglia avrei, se non altro per tirarmela un po', di squarciare questo bel silenzio: "Icio, Deni, Maci ... sono il vice questore aggiunto della Polizia di Stato dottor Roberto Baldin, venite giù che regoliamo i conti". "Tasi mona, che i deinquenti veri xè a Roma", sarebbe stata probabilmente l'unica reazione da parte di quell'anziano che sta portando a spasso il cane.

Henri Cartier Bresson nel frattempo ha inforcato la bici, avrà la mia età e ci accumuna anche un filetto di pancia. Altro che bici allora, questo viale centrale era praticamente consumato dalle ruote dei motorini; sorrido pensando a Gioni Stecca, il nome non è sbagliato qui lo si pronunciava e addirittura scriveva così, si esibiva quotidianamente col suo CIAO, "ottimizzato", per usare un termine elegante, dalla premiata ditta F.lli Zanon. Iniziava la sua impennata in fondo al viale, "Beboooooo .... Incuattamareeeeeee!!!", la potenza del suo grido era tale da coprire il casino di quella marmitta di dubbia provenienza. Stessa potenza, ma grido diverso, lo si poteva udire di tanto in tanto nei corridoi del reparto di ortopedia.

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