Seconda parte

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Nella notte che seguì il giorno di questa crudele azione, fui svegliato dal grido: <<Al fuoco!>>. Le cortine del mio letto erano in fiamme. Tutta la casa bruciava. Fu con grande difficoltà che io, mia moglie e una persona di servizio riuscimmo a metterci in salvo. La distruzione era completa. Tutto il mio avere ne fu inghiottito; da allora mi abbandonai alla disperazione.

Sono superiore alla debolezza di stabilire un legame di causa e di effetto fra il disastro e il misfatto. Ma io vado enumerando una catena di fatti, e non voglio trascurarne alcun anello. Il giorno dopo l’incendio, feci il giro delle rovine. Le mura, salvo una eccezione, erano cadute. Era rimasto ritto soltanto un tramezzo, non molto spesso, contro il quale stava il capo del mio letto. Lì l’intonaco aveva resistito in gran parte all’azione del fuoco, e io attribuii questo fatto alla recente intonacatura del muro. Intorno a questo muro si era radunata una gran folla, e pareva che molti ne esaminassero un certo punto con un’attenzione avida e meticolosa. Le parole <<...strano!>> <<...singolare!>> e simili, destarono la mia curiosità. Mi avvicinai e vidi, come scavata dentro alla bianca superficie, l’immagine di un gatto gigantesco. Era resa con una precisione veramente straordinaria. Al collo dell’animale vi era una corda.

Nel primo momento che mi si presentò quell’apparizione – poiché io non potevo considerarla altrimenti – il mio stupore e il mio terrore furono estremi. Ma poi la riflessione mi venne in aiuto. Il gatto, ricordai, era stato da me appeso in un giardino adiacente alla casa. Alle grida d’allarme questo era stato immediatamente invaso dalla folla e l’animale doveva essere stato staccato da qualcuno e lanciato attraverso una finestra aperta, nella mia camera. Ciò doveva essere stato fatto senza dubbio allo scopo di destarmi dal sonno. La caduta delle altre mura aveva schiacciato la vittima della mia crudeltà sull’intonaco del muro rimasto intatto; la cui calce fresca, combinata con le fiamme e l’ammoniaca del cadavere, aveva prodotto quell’immagine come ora si vedeva.

Nonostante avessi così soddisfatto subito la mia ragione, se non proprio la mia coscienza, circa il fatto sorprendente che ho riferito, questo non mancò di lasciare un’impressione profonda sulla mia immaginazione. Per mesi e mesi non riuscii a liberarmi dal fantasma del gatto, e durante questo tempo un lieve sentimento si fece strada nel mio animo che poteva sembrare, ma non era, rimorso. Giunsi persino a deplorare la perdita dell’animale e a cercare intorno a me, nelle miserabili bettole che ora abitualmente frequentavo, un altro gatto della stessa specie che gli somigliasse abbastanza da poterlo sostituire.

Una notte, mentre sedevo semistordito in uno di questi infami locali, la mia attenzione fu attratta da qualcosa di nero che stava sopra a una delle gran botti di gin, o rum che fosse, che costituivano il mobilio principale della sala. Da qualche minuto fissavo quel punto, e ciò che ora mi sorprese fu di non aver notato prima quel qualcosa che vi stava sopra. Mi avvicinai e lo toccai con la mano. Era un grosso gatto nero, un bel gatto grosso: grosso almeno quanto Pluto, che gli somigliava in ogni punto, tranne che in un particolare. Pluto non aveva un solo pelo bianco sul corpo; questo gatto, invece, aveva una grossa macchia per quanto indefinita, che gli copriva quasi tutto il petto.

L’avevo appena toccato che si alzò, si mise sonoramente a far le fusa, si stropicciò contro la mia mano e parve molto contento delle mie attenzioni. Avevo dunque trovato la creatura di cui andavo in cerca. Subito proposi al padrone del locale di acquistarlo; ma questi non lo riconobbe per suo - non ne sapeva nulla - non lo aveva mai visto prima di allora.

Continuai ad accarezzarlo, e quando mi preparai per tornare a casa, l’animale dimostrò di essere disposto ad accompagnarmi. Lo lasciai fare, chinandomi ogni tanto, a fargli una carezza. Quando fu in casa, si ambientò immediatamente, e subito diventò il favorito di mia moglie.

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⏰ Last updated: Aug 12, 2014 ⏰

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Il gatto nero (by Edgar Allan Poe)Where stories live. Discover now