8. Japanese Lunch

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Capitolo Otto

«È arrivato» la voce poco entusiasta di Nicole mi fa balzare dal divano. È in anticipo di dieci minuti. «Okay, allora vado. Torno stasera. Non aspettarmi!» Prendo la borsa e fiondo verso la porta. «Le chiavi!» urla Nicole riaprendomi. Le prendo dalla sua mano e le do un bacio sulla guancia salutandola di nuovo. «Fai attenzione.» «Non preoccuparti.» Fa una smorfia e richiude la porta. Scendo giù per le scale. Sento le ginocchia molli e le mani tremanti. Esco dal condominio e vedo Nash dall'altra parte della strada con un sorriso a trentadue denti che gli occupa mezza faccia. Sorrido anche io come un'idiota mentre lo guardo. È illuminato dai raggi solari. Le sue ciocche bionde risaltano in quel ciuffo moro. Si stacca dal parabrezza e attraversa senza guardare correndo incurante delle macchine. Qualcuno suona il clacson ma lui se ne frega e corre a braccia aperte verso di me. Mi viene da ridere, mi copro la bocca con la mano per non urlargli. Eccolo, che mi circonda che le sue braccia e mi bacia con dolcezza. Le nostre labbra premono le une contro le altre in una danza ritmica ed elegante. Il sapore di caffè che ha in bocca si unisce al mio di cappuccino. «Mi sei mancata, principessa.» Principessa, mi è mancato. «Anche tu, da morire.» Ci stacchiamo e lui mi fa fare una giravolta attirandomi di nuovo a lui. Ci scambiamo un altro bacio e poi raggiungiamo la macchina avvinghiati attraversando la strada con più attenzione stavolta. «Come stai?» chiede entrando in macchina. Ha quel sorriso bellissimo stampato in faccia. Non mi va di toglierglielo. «Sto bene ora che sei qui. Tu?» Sorride ancora di più. «Anche io.» Finalmente partiamo. «Dove mi porti?» Ridacchia guardando lo specchietto retrovisore. «Un'altra sorpresa, come il nostro primo appuntamento?» Sorrido ripensando alla giornata al lago, il nostro primo bacio, la collina con la vista sulla costa di Miami. Stento a crederci che sono passate solo due settimane da quel giorno stupendo. «No, nessuna sorpresa. Ti sto viziando con le sorprese, eh!» Mi sorride e una volta fermato al rosso, si china per lasciarmi un bacio sulla tempia. Mi acciglio, e lui mi lascia un bacio anche sulla fronte, in mezzo alle sopracciglia, dove mi si forma una ruga a forma di V. «Mentre stavo al museo con Steven, ho visto un quadro che mi ha ricordato i tuoi capelli, neri e lucenti, che poi sotto il sole giocano con mille riflessi di colore tra il rosso e il blu.» Nash che usa un linguaggio così artistico è raro da vedere. Mi stavo chiedendo chi era Steven, ma suppongo sia il produttore di cui mi parlava. E poi cosa ci faceva in un museo? «Lo osservavo pensando a te, quando Steven mi è venuto vicino e mi sussurra in un orecchio il nome del dipinto.» Scoppia a ridere. «Il nome dell'opera era Sushi, e solo in quel momento realizzo che il quadro rappresenta un sushi servito su un piatto bianco. E il nero che guardavo erano le alghe in cui sono avvolti. Ho ripensato a una nostra vecchia chat, quella dove mi hai parlato del tuo amore per i sushi, e così, a pranzo ti porterò nel miglior ristorante giapponese della Florida.» Lo guardo sorpresa e divertita allo stesso tempo. Mi aspettavo un racconto più artistico e creativo, sono comunque felice che si ricordi delle nostre vecchie conversazioni e non dimentichi i miei gusti. «Che c'è? Ho sbagliato, sono le lasagne che ti piacciono?» Scoppio a ridere e gli appoggio una mano sul ginocchio per rassicurarlo. «No, è giusto. Sono i sushi, ma non mi aspettavo lo ricordassi.» «Io ricordo ogni singola chat, mia cara principessa. Non sono sbadato come te!» Lo guardo fingendomi offesa. Lui sorride mentre guarda l'asfalto. È così adorabile anche quando cerca di farmi irritare. Arriviamo al ristorante, e rimango colpita da quanto sia "giapponese". In tutto e per tutto. L'edificio è a forma di tempio giapponese. Ha le pareti rosse con decorazioni e disegni di draghi dorati. L'entrata ha due colonne anch'esse dorate, che tengono un grande blocco che fa da tetto. Lo ammiro dall'interno dell'auto mentre Nash cerca parcheggio. C'è una fila abbastanza lunga che raggiunge l'esterno del locale, ma Nash non sembra preoccuparsene quando glielo faccio notare. Troviamo un posto libero un po' lontano da dove speravo. Ammetto che un altro incontro ravvicinato con paparazzi, giornalisti e ammiratori mi terrorizza. Solo al pensiero mi stringo la maglia che ho addosso e mi abbraccio. «Hai freddo?» chiede Nash allarmato. «No, no.» M'ignora e spegne l'aria condizionata. Scende dall'auto e viene ad aprirmi porgendomi la sua felpa di scorta che tiene nei sedili posteriori in caso di emergenza. L'ultima volta che ho messo una felpa sotto non avevo niente, ed è successo proprio ieri. «Ehi, principessa.» Mi abbraccia mantenendo lo sguardo sul mio viso. «Davvero, che c'è che non va?» Scuoto la testa e lo prendo per mano. Ho accettato la felpa per non farlo insospettire, ma ora che siamo dentro al ristorante ringrazio me stessa per essermela messa addosso. All'interno è bellissimo. Sembra di stare in uno film di Bruce Lee. C'è un giardino interno pieno di piante e arbusti di ogni tipo. Ci sediamo, o meglio, ci mettiamo in ginocchio davanti a un tavolo per due, uno davanti all'altro. Siamo riusciti a saltare tutta la fila grazie alla proprietaria che è una fan di Nash. In cambio vuole una foto con lui prima di andare via. Ebbene sia, ma è il mio ragazzo. Sia chiaro. «Ti piace?» chiede Nash notando la mia espressione persa tra i decori e le incisioni sulle pareti per tutta la stanza. Annuisco entusiasta. «Sembra di essere in un palazzo reale.» «E tu sei la principessa.» «E tu il mio principe.» Ci guardiamo e sorridiamo. Sembra di stare in paradiso. Potrei rimanere qui per sempre. Tanto il cibo ci sta, il ragazzo che amo pure. «Posso prendere gli ordini?» Un ragazzo asiatico in divisa impeccabile nera arriva con un apparecchio tecnologico tra le mani. Nash ed io ordiniamo. Prendiamo entrambi del sushi - ovvio - e in più, un'insalata di mango. «È stupendo qui, Nash. Grazie per avermici portato.» Il suo sguardo brilla mentre mi fissa sorridente. Sei così bello che potrei uccidere il mondo intero per te. «Allora, come va il lavoro?» Si protende verso il tavolo basso che ci separa e vi ci appoggia i gomiti. «Tutto bene. Garrett non è molto severo con noi, quindi è facile lavorare con lui. Poi i miei colleghi sono molto simpatici e socievoli. Mi trovo bene lì.» «Menomale, piccola.» Abbassa lo sguardo e gioca un po' con le bacchette. Sono ancora indecisa se dirgli di ieri o meno. Non voglio farlo preoccupare, allo stesso tempo voglio tenerlo al corrente degli ultimi avvenimenti senza dargli l'impressione di una che presto se la darà a gambe a causa di qualche demente in preda ai suoi ormoni adolescenziali. «Stavo pensando a una cosa tornando a Miami.» Alza il suo sguardo magnifico sui miei occhi. La sensazione è ogni volta la stessa. Sono a disagio e a mio agio allo stesso tempo. «A che pensavi?» chiedo avvicinandomi a lui. Mi abbasso e appoggio il mento ai palmi della mano. I nostri visi non sono molto lontani tra di loro. «Mi chiedevo perché ti arrangi a fare la commessa. Non volevi cantare, fare la cantante, andare in giro per il mondo con in mano un microfono?» La sua voce è velata. Vorrei protendermi di più e tappargli quella boccaccia, ma mi trattengo. «Sto bene qui con te» rispondo raddrizzandomi. «Non ho bisogno di un palco per essere felice. Fare la commessa non è il lavoro più bello del mondo, ma sta iniziando a piacermi.» Sono felice, ma dentro di me so che dico quelle cose per farlo smettere di preoccuparsi tanto di me. «Sicura? Possiamo sempre trasferirci a New York o a Los Angeles, se ti va.» Ridacchio e mi gratto il collo tentata dalla proposta. «No, Nash. Voglio stare qui con te.» «Okay.» Finalmente i nostri sushi e la nostra insalata arrivano. Anche questi semplici piatti vengono presentati con stile e molta cura per i dettagli. Ringraziamo e prendiamo le bacchette. Verso un po' di salsa di soia sul mio piatto e poi passo l'elegante boccetta in vetro contenente la salsa a Nash. «E dimmi un po', com'è andata con Steven?» «Poteva andare meglio.» La sua risposta mi spiazza. «L'ho sempre immaginato come un tipo forte e coraggioso che amava essere se stesso e a cui non importava se gli altri lo giudicavano.» Mi metto in bocca un sushi mentre lui si mangia un'altra forchettata della sua insalata di mango. «Ma mi sono sbagliato.» Noto la delusione nella sua voce, ma quando alza lo sguardo torna di nuovo sorridente e allegro. «Ma basta parlare di lui, dimmi che è successo qui. Qualche inseguimento interessante, una rapina o un'aggressione?» Sapessi. Altro che inseguimento, rapina o aggressione. «Sì, qualcosa è successo.» Si pulisce la bocca con il fazzoletto in raso rosso dall'aspetto costoso. Mi guarda curioso e si sofferma ad osservare la mia reazione. «Racconta» m'incita. Mi schiarisco la voce e finisco il sushi tempura che ho in bocca. «Ieri io e Nicole siamo uscite...» Dall'espressione indecifrabile che aveva ascoltando la prima parte del racconto, avevo capito che la seconda lo avrebbe fatto infuriare. Lui è un tipo paziente fino a un certo punto. Ho paura che questo punto sia stato superato. Un tantino. Sto iniziando a dubitare che la signora Yoshida voglia fare una foto con Nash. Fa quasi paura. È rimasto in silenzio per tutto il racconto e ha smesso di mangiare quando ho iniziato a parlargli di quando siamo uscite. Ho provato a fermarmi ma mi ha ringhiato di continuare. Ho finito di parlare due lunghissimi minuti fa, ma lui non ha fiatato e la cosa mi spaventa. Che ti passa per la mente Nash? Parlami! Ha li occhi dilatati. Non sembrano più due pezzi di cielo rubati dal paradiso. Assomigliano di più a due pozze d'acqua profonda. Stringe le mano in due stretti pugni appoggiati al tavolo. La sua mascella si contrae, riesco a vedere la tensione che lo provoca. Avvicino la mia mano alla sua, ma prima che le mie dita possano toccargli le nocche, lui si alza pulendosi la bocca e buttando poi il tovagliolo stropicciato sul tavolo. Sobbalzo per lo spavento e mo alzo anche io. Ha lo sguardo perso e mi fissa con cosa? Compassione? Dispiacere? Delusione? Insisto e lo accarezzo con la mano sulla guancia. Stavolta accetta ma lo sento irrigidirsi di nuovo sotto il mio tocco. «Nash, non è colpa tua.» Non lo è, lo continuo a ripeter anche a Nicole da ieri. Non è assolutamente colpa tua. «Non è colpa mia? Un bastardo ti ha umiliato davanti a un milione di persone, e la colpa non è mia? Se quel bastardo era lì, ce l'ho portato io con la mia fama.» Mantiene la voce bassa per non fa preoccupare gli altri clienti. Sembra esasperato. No, Nash, non è colpa tua. Si porta una mano davanti agli occhi evitando il mio sguardo. No, Nash! Guardami! «Finisci di mangiare e andiamo.» Ha la voce fredda come i suoi occhi, e fa paura. Obbedisco e mi risiedo. Ho perso appetito, ma non voglio farglielo notare e finisco tutti ciò che è rimasto nel mio piatto. Lui fa altrettanto. «Cazzo!» impreca Nash frenando violentemente al semaforo rosso. «Cazzo, cazzo, cazzo!» È da quando siamo saliti in macchina che fa così. Ogni cosa sbagliata che fa si mette a imprecare. Quando riparte, il motore dell'auto si spegne. Ed eccolo di nuovo ad imprecare. «Dio, la vuoi smettere, Nash?» urlo spazientita. «Capisco che sei arrabbiato, e lo sono anche io, ma non me la prendo con nessuno. Non è colpa tua, non è colpa di Nicole. Non è colpa di nessuno, okay? Sto bene, e nessuna di quelle foto è ancora comparsa in nessuna rivista.» Mi guarda con stupore e ammirazione. «Non ancora.» Poi sospira e sembra rilassarsi. «E comunque, ti ricordo che sei fermo in mezzo alla strada» commento con voce più dolce. Lo sento espirare, segno che gli rubato un sorriso. Sorrido anche io mentre mi gusto di nascosto la soddisfazione. Poco dopo torna di nuovo serio. Il sorriso è svanito, ed ecco di nuovo il Nash arrabbiato di prima. Ha l'aria pensierosa e problematica. Ora capisco l'espressione divertita di Cameron ieri. Vedere qualcuno così spaventato e preoccupato per una cosa che a te invece sembra divertente. Solo ora realizzo quanto è stato stupido e infantile quel gesto di strapparmi la maglietta, anche se non di proposito, e di quanto sia stata esagerata la mia reazione. Lo osservo mentre guida la jeep lasciandola scivolare tra le macchine. Il suo occhio concentrato sulla strada si abbassa per un impercettibile attimo su di me. Scappa un sorriso ad entrambi. «Sicura che non vuoi guardie del corpo?» «Sono sicura, Nash. Ora vado a prepararmi per stasera. Vai anche tu.» Gli lascio un bacio sulle labbra e scendo dalla macchina. Una volta a casa, mi butto sul divano. Ha insistito per tutti gli ultimi venti minuti di viaggio per assumere una guardia del corpo, ma io non voglio nessuno intorno se non lui. Sto iniziando a capire che se voglio Nash, devo prendere tutto il pacchetto insieme a tutto questo casino. Io amo Nash. È l'unica persona che mi ha fatto sentire desiderata in tutti questi anni. L'unica che mi ha accettata per quella che sono e che nei momenti del bisogno c'era. "Se hai bisogno io sarò sempre qui, pronto ad aiutarti, principessa."

Innanzitutto, GRAZIE DI CUORE A TUTTI! Siete tantissime a commentare e votare. Non mi aspettavo tanto successo, anche perché in Italia i Magcon non sono tanto famosi e quindi ero convinta che la mia ff l'avrebbero letta solo due persone, massimo cinque. Invece ecco più di duecento persone che leggono la mia storia. Grazie tante! Volevo scusarmi per la cortezza (?) del capitolo. Ho scritto tutto all'ultimo momento e non volevo aggiornare di nuovo tardi. Ditemi che ne pensate perché ho anche cambiato qualcosina.

- AlessandraDiacos

Life of the PartyWhere stories live. Discover now