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<Eren Yeager, del terzo edificio, ha tentato il suicidio...>
<È il figlio dei plutocrati Yeager. Sembra che questa storia vada avanti da parecchio>
<corre voce che sia una famiglia fredda, ma non capisco proprio come si possa fare qualcosa di così egoistico...>

Certo, che ogni tanto potrebbero anche inventarsi qualche nuova storiella.
Ogni volta che vengo qui sento sempre le stesse voci, i stessi pettegolezzi raccontati dalle stesse persone.
Eren Yeager per loro non è altro che un borioso ed egoista ragazzo, che fa di tutto per far disperare i suoi cari e ricchi familiari.
Tsk.
Non dico di essere in disaccordo con il loro parere, magari è proprio quello che sono. Un ragazzo difficile, in cerca di attenzione.
Quello che non sopporto sono le persone che continuano a giudicare, a puntare le loro dita contro di me senza nemmeno sapere il motivo delle mie gesta.
Insomma, non gli si spezza il collo a furia di guardare per tutto il tempo le persone dall'alto in basso?

Guardo fuori dalla finestra, rifugiato come la maggior parte del mio tempo fra i miei pensieri, tanto che non mi accorgo della porta della mia stanza d'ospedale che si apre producendo quello scricchiolio che tanto odio.

<che strano> esclamo, voltandomi sorridente verso la persona che ha fatto il suo ingresso nella stanza e che ora sta a pochi passi dal mio letto con il mento alzato e le braccia incrociate <anche se sono finalmente sveglio, quando vedo la tua faccia vorrei morire di nuovo, mamma>

La donna emette un leggero sbuffo irritato e alza gli occhi al cielo. Come sempre.
<pietoso. Alla tua età pensi ancora che sia divertente litigare con tua madre?>
Non rispondo, riprendendo a guardare l'albero secco davanti alla mia finestra.
<comunque, sembra che tu possa lasciare l'ospedale domani, farò venire una macchina a prenderti. Vedi di farti trovare> continua lei, pronunciando le ultime parole con un tono annoiato, come se fosse quasi abituata a ripetermelo e oramai non nutrisse più molte speranze nei miei confronti.
<ora scusami, ma è da stamattina che ho una tremenda emicrania> dice, posandosi una mano su una tempia e arricciando il naso.

Solo a quel punto, continuando a fissare il soffito di un bianco immacolato con il solito sorriso, le rivolgo la parola <il tuo attaccamento alla vita è lo stesso di sempre. Anche se hai stressato papà fino alla morte, tu continui a vivere>

La donna appare infastidita solo superficialmente dalle mie parole, ma si volta lo stesso verso di me con il suo solito sguardo amaro <ti interessa davvero sconvolgere le persone? Sei patetico> dice scandendo le parole molto lentamente.
Mi metto a sedere sul letto, aggrottando leggermente le ciglia <ho scelto di morire perchè se avessi continuato a vivere ti avrei sicuramente uccisa!> esclamo con un tono di voce poco più alto <dovresti essermi grata>

Non si degna nemmeno di guardarmi in faccia e riprende a camminare verso la porta della stanza <sarebbe stato meglio se tu non fossi mai nato> dice solo, varcando la porta e allontanandosi sui suoi tacchi alti.

Rimango così, sul mio letto con le lenzuola strette fra le dita, guardando il ciglio della porta bianca che mi divide dal corridoio.
Fin da quando sono nato ho sentito quelle parole così tante volte...
Mia madre era una famosa pianista. Tuttavia rimase incinta di me, dopo aver già dato alla luce mio fratello. Non volendo correre rischi, vista la sua età avanzata, disse di non voler partorire.
Soltanto mio padre fu felice della mia nascita.
A causa del parto però, la mano destra di mia madre rimase paralizzata, mentre mio padre morì quando ero ancora un bambino.

Non molto tempo dopo la discussione con mia madre ricevo un'altra visita, del tutto inaspettata.
<zia Monica...> mormoro, guardando la donna anziana che mi sorride gentilmente <sono passati tanti anni... è stato prima che partissi per studiare in Francia, dovrebbero essere dieci. Sono passati così in fretta...> continuo <sono molto più vecchio di allora. All'inizio del prossimo anno ne avrò trenta>

Mia zia continua a stare davanti a me, ma la sua espressione è ora diventata malinconica <ma non sei neanche tanto vecchio da morire> dice sottovoce. La sua voce è roca, molto consumata. È da molto che non la sentivo.
Prendo una sigaretta dal pacchetto posato sul comodino accanto al mio letto e la porto alla bocca, posizionandola fra le mie labbra delicatamente.

La donna ha invece un pezzo di qualcosa fumante fra le mani. Penso sia uno di quei bastoni che si usano in chiesa per fare purificazioni o robe del genere. Non sono molto esperto in questo campo.
<le persone maturano col tempo. Anche non affrettandoti, un giorno la morte ti sarà accanto> dice, spostandosi il velo da suora dalla faccia.

Mi accendo la sigaretta con un accendino nero lucido, che poi ripongo sul comodino accanto al pacchetto. <non sto aspettando. Per me, ogni ora del giorno che passa è solo un'agonia di cui voglio liberarmi> le rispondo.

<Eren... cos'è successo quel giorno?> domanda lei, con tono preoccupato. Continua a farmi questa domanda. Non le passa per la testa che forse non le voglio rispondere?
<è passato parecchio tempo dall'ultima volta che ci siamo visti, non parliamo di questo. Piuttosto, cosa hai fatto per tutto questo tempo? Hai continuato a fare volontariato con i condannati?> chiedo sorridente, cambiando discorso.

Mia zia abbassa la testa per qualche secondo, per poi guardarmi dritto nei miei occhi color smeraldo <Eren... tua madre ha detto che ti vuole mandare in terapia per un mese>
Rimango leggermente sorpreso sul momento, ma poi mi ricordo che la donna di cui stiamo parlando è mia madre. Sorrido con scherno <è proprio da lei. Quando non riesce a gestire la cosa la passa a qualcun altro. Ormai ci sono abituato>
Faccio uscire del fumo dalla mia bocca e guardo nuovamente fuori. In realtà non guardo, però. Io vedo. Non guardo niente in particolare, osservo la finestra come se fosse un quadro nella sua interezza.

<"n. 3987."> esclama ad un tratto la donna anziana, mentre si avvicina anche lei alla finestra. La guardo, aggrottando la fronte.
<è un condannato a morte> mi spiega lei <anche se gli ho scritto molte lettere, non ha mai voluto incontrarmi. Quell'uomo ha tentato il suicidio tantissime volte in prigione, proprio come te>

Spengo la sigaretta nel posacenere trasparente posato sopra il davanzale della finestra e osservo la donna continuare a parlare.
<Eren, perchè non mi dai una mano?> chiede speranzosa, guardandomi di nuovo negli occhi.
Spalanco di poco questi ultimi, ed emetto una lieve risata roca <stai scherzando, vero? Non so vivere decentemente la mia vita, come potrei dare dei consigli a qualcun altro?>

La vecchia questa volta sorride anche lei con scherno <se preferisci restare chiuso per un mese in un ospedale psichiatrico... non ti metterò pressione, ma...> lascia in sospeso la frase, lasciandomi il tempo di riflettere.

Sbuffo leggermente <che cosa ha fatto?> chiedo infine.
<non ha niente a che fare con il passato. Niente a che fare, Eren>

Zia Monica è stata una cappellana per qualche decennio, incontra e scrive lettere ai carcerati che non ricevevano alcuna visita. In realtà, non avevo nessun interesse ad avere un legame del genere.
Vivere la tua vita sostenuta da ipocriti sermoni... mi fa sentire a disagio.
Ma mia zia, conosce la solitudine.

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⏰ Last updated: Jun 09, 2018 ⏰

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La Nostra Felicità  |ereri|Where stories live. Discover now