Capitolo 1

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«Harold! Muoviti che tra poco dobbiamo andare!» mi richiamò mia madre dal piano di sotto.

Io odio il mio nome.

Sbuffando, presi ed indossai le prime cose che vidi: un paio di jeans neri ed una maglietta dello stesso colore. Misi ai piedi un paio di stivaletti bassi e presi la mia giacca di pelle, prima di scendere al piano di sotto, dove trovai i miei genitori in piedi ad aspettarmi.

«Perché devo venire anche io?» chiesi irritato.

«Perché abbiamo deciso così, va bene? Se ti lasciamo a casa, uscirai e tornerai a notte fonda e Winter capirà di avere un fratello inaffidabile fin dall'inizio, almeno il primo giorno che é qua, fai finta di essere responsabile e bene educato.» mi sgridò mia madre, come al solito ed io sbuffai, alzando gli occhi al cielo.

A causa del loro lavoro nel governo i miei non c'erano quasi mai, era già un miracolo che fossero presenti durante le festività natalizie ed ora, con l'arrivo di questa Winter, di cui non sapevo nemmeno l'età, riuscivano a prendersi addirittura una settimana di ferie.

«Andiamo» tubò mio padre, mentre usciva da quell'enorme villa che era casa nostra.

«Lo sai vero, papá, che senza le guardie del corpo potrebbero farci saltare in aria da un momento all'altro?» chiesi con strafottenza «E sarebbe un vero peccato se "Winter l'orfanella" perdesse la famiglia... Di nuovo» continuai.

«Harold Edward! Smettila immediatamente o ti ritroverai sul serio in un collegio scozzese!» mi rimproverò mia madre.

«Ho vent'anni, non mi accetterebbero» dissi ovvio, alzando gli occhi al cielo mentre mi sedevo sul sedile posteriore dell'auto di papà.

Era una delle auto più ordinarie che avevamo, dato che nel garage sotteraneo la maggior parte dello spazio era occupato da limousines.

«Be' allora ti diserediamo» asserì mia madre una volta dentro l'auto.

«Ma sono il vostro unico figlio»

«Non più» Potei vedere un ghigno sulle labbra di mia madre che mi scherniva attraverso lo specchietto retrovisore, mentre il veicolo usciva dal viale alberato e superava il cancello d'ingresso.

Stupida Winter, chiunque tu sia.

«Harold, a proposito, dobbiamo dirti una cosa su Winter» esordì mia madre facendosi seria.

«Cosa? Che devo essere carino e coccoloso?» sbuffai, alzando gli occhi al cielo.

«Quello lo sai già. Quello che dobbiamo dirti é che Winter... Non parla» disse.

«É muta?» chiesi sorpreso e per la prima volta interessato alla mia "nuova sorellina".

«No, il suo é un rifiuto. Lei potrebbe parlare, ma non lo fa da quando i suoi genitori sono morti, sei anni fa, si pensa sia dovuto ad uno shock emotivo» spiegò.

«Quindi vedi di essere gentile con lei» asserì mio padre con fare autoritario, parlando per la prima volta da quando eravamo in auto.

«Ci proverò» feci spallucce, anche se quel discorso aveva vagamente suscitato strane sensazioni in me.

Per il resto del viaggio i miei genitori parlottarono tra loro su questioni riguardanti l'adozione di Winter e su cosa si sarebbe dovuto cambiare in casa, mentre io ascoltavo della musica.

Dopo circa sette canzoni intravidi in lontananza, a qualche centinaio di metri di distanza, un imponente edificio grigio chiaro, o bianco sporco, che si confondeva con l'ambiente circostante ed il cielo vestito di nuvole lattee e gonfie.

Era l'unica costruzione nel raggio di kilometri, tutt'intorno c'erano dei campi coltivati.

Nel giro di qualche decina di minuti avevamo oltrepassato un'enorme cancello in ferro battuto e stavamo percorrendo una stradina ricoperta di ghiaia e ciottoli, costeggiata da alberi non troppo alti e dalle foglie rosso carminio, che portava all'entrata di quello che doveva essere l'orfanatrofio.

«Giusto per curiosità, quanti anni ha Winter?» chiesi quando ormai mio padre stava parcheggiando l'auto.

«Sedici» asserì mia madre, aprendo la portiera.

Wow. Mi aspettavo che adottassero una bambina che al massimo avesse dieci/ undici anni.

Senza aggiungere altro li seguii verso la grande porta dell'edificio.

Appena entrati ci ritrovammo in una hall spaziosa, con il pavimento di marmo, una grande scrivania a destra alla quale vi era una donna sulla trentina. I suoi occhi erano rivolti verso un libro piuttosto massiccio, dalle pagine ingiallite e coperte di scritte fitte, ma alzò lo sguardo verso di noi quando entrammo.

«Voi dovete essere la famiglia Styles, non é così?» sorrise cordialmente.

«Esattamente» proferì papà.

«Bene, Winter arriverà tra poco, intanto, dovete firmare gli ultimi documenti e dobbiamo darvi il suo certificato medico» spiegò la donna.

Nel frattempo io mi guardai un po' attorno, osservando come sui muri dei quadri come quelli di Botticelli erano stati affiancati a opere molto più recenti di artisti complessi come Escher. In realtà non mi importava un granché della composizione, ma era un po' per far passare il tempo e un po' per abitudine, dato che i miei genitori erano estremamente sensibili all'arte.

Mi avvicinai ai quadri, girovagando un po' mentre tentavo di trovare qualcosa di divertente o ironico in quei capolavori di artisti ormai tutti morti.

Stavo osservando Metamorfosi3 quando una porta che distava da me di pochi metri si aprì.

Mi voltai in quella direzione e fu allora che la vidi per la prima volta.

I miei occhi s'incatenarono ai suoi, quando si fermò sulla soglia, leggermente intimidita.

Aveva dei grandi, lucenti e scintillanti occhi color argento, con qualche scaglia di bianco, talmente lucenti da sembrare diamanti. Erano sicuramente i più begli occhi che avessi mai visto.

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N.d.A.

Io non sono capace di scrivere le 'note d'autrice'. Non so cosa dire, a parte il fatto che la mia storia mi sembra alquanto scadente, per non dire obbrobriosa.

Ma... ok.

Ah, scusate gli errori.

Ciao,

- Pygeonxx

Il resto è silenzio (SOSPESA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora