Capitolo 5

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(CREDITI @hugmejameshoran)

Motivazione!

La macchina sbatté non appena chiusi la portiera, lanciando la mia borsa sul sedile del passeggero, mentre cercavo di accendere l’auto senza successo. Stava urlando, e il rombo mi stava innervosendo. Sarei stata inutile in una fuga.

“Bo!”

Il motore perse i colpi, lamentandosi ogni volta che spostavo il cambio in prima. La cintura mi impedì di scattare via dalla paura quando un palmo batté sul finestrino. Ero scioccata al punto di chiudermi dentro. Non mi preoccupai guardando fuori, perché le strade erano tranquille in questo momento della notte e non avevo voglia di chiedere aiuto. La mano colpì di nuovo il finestrino, questa volta con più urgenza. Mentre mi allontanavo, rimase un’ombra di polpastrelli sul vetro, una macchia di tutte le promesse fatte.

Non riuscivo a mettere la seconda, perché il mio cervello era scollegato da piedi e la meccanica della macchina si lamentava sotto una marcia sbagliata. L’auto sobbalzava ancora e ansimava passando accanto a un’altra ferma. Le mie mani arrivarono a coprirmi la faccia, con la filosofia del “se non lo vedo, non è lì”. Non potevo farcela, così mi fermai e rimasi seduta a singhiozzare.

Tirai su cautamente il freno a mano, girando la testa per guardare un punto cieco. Lui non c’era. Non c’era fino a quando non slacciai la cintura e scesi dalla macchina guardando con attenzione. Harry stava seduto sul marciapiede appena fuori la luce del lampione. Perso nei suoi pensieri, con le ginocchia al petto e la testa piegata verso il basso. Tutto rannicchiato non dimostrava più la sua altezza.

Con il cuore pesante lo raggiunsi, sedendomi alla sua destra; abbastanza lontano da sembrare due estranei per chi fosse passato di fronte a noi in quel momento. La testa di Harry si alzò come se potesse sentire nell’aria che il mio corpo si fosse spostato. Non mi guardava. Lo spazio tra noi si era riempito di tutte le cose che non potevo dire. Avevo paura che qualsiasi movimento o parola avrebbero fatto chiudere ancora di più a riccio Harry. Non potevamo rimanere lì tutta la notte.

“Mi dispiace”, respiro.

Il ronzio del mondo attorno a noi cadde in silenzio come se fossimo noi la vetta dell’esistenza. E lentamente mi uccide non appena Harry tolse la distanza tra le parole. Per favore, dì qualcosa.

“Per cosa?” chiese, come se ci fossero un milione di cose per cui chiedere scusa. Probabilmente non c’era ragione.

“E’ stato sbagliato andarmene. Non avrei dovuto.”

Annuì con delicatezza, non so se per una conferma o perché mi aveva ascoltata, o se fosse d’accordo sul fatto che non dovevo scappare. Ero solo felice per la sua risposta data dal movimento della mascella, prendendosi il labbro inferiore da mordicchiare tra i denti. Il miglior profilo laterale mai offerto.

“Sei tu-“ comincio, ma la mia domanda cadde nel vuoto.

“Perché sei qui?”

Anche se guardavo per terra, mi sentii crollare esternamente.

“Non lo so”, ammetto.

Curiosità credo, la mancanza di forza nel dire: “basta, basta così”. Non sarei più tornata.

“Bo, questo non è il migliore dei posti durante il giorno.”

In quel momento guardavo in fondo alla strada per osservare un paio di donne che ridacchiavano passeggiando lungo il marciapiede, le borse che oscillavano dagli avambracci, ci ignoravano. Spostai lo sguardo. A dire il vero ero un po’ confusa, perché tutto quello lo riguardava. Mi sedetti ancora di più accanto a lui e tutto quello che pensai di dire fu che non dovevo essere lì al buio. Si strinse in sé stesso.

“Sono passata prima” dissi con disinvoltura, strofinando il sudore delle mie mani sui jeans.

“Lo so” ingranò Harry.

Fui sorpresa di sentire il suo tono scontento e vederlo vulnerabile. Non volevo ingannare me stessa nel credere che si stesse aprendo, nonostante col corpo mostrasse fiducia e certezza in quella situazione. Raddrizzarsi, guardare avanti, prendere coraggio. Stronzate. E’ una maschera che sembra aver perfezionato.

“Non l’ho fatto per sconvolgerti.”

“No, sei venuta per far rimanere tutti a bocca aperta, vero? Ne valeva la pena?”

Aveva quasi preso coraggio per guardarmi, ma spostò lo sguardo prima di fare qualsiasi progresso. C’era un vantaggio nelle sue parole, con le quali si stava facendo spazio nella situazione.

“Di cosa stai parlando? Ho appena-“

“Cosa?” interruppe nuovamente.

“Volevo vedere se stavi bene.”

“Beh, cazzo” morse Harry “ti sembra che sto bene?”

Il sarcasmo si incastrava nella sua domanda ed io stavo facendo del mio meglio per stargli a passo. Era un turbinio di risposte brusche e commenti volgari, tutto mi faceva pensare che non fosse lo stesso ragazzo che ricordavo. Dandomi la schiena, era come se mi stesse a svariati passi di distanza.

“Non ti stai comportando bene. Smettila di fare lo stronzo e parla con me.”
Lo seguii con lo sguardo, cercando la sua mano che si muoveva in avanti e mentre le parole volavano tra di noi. Le mie dita avevano appena preso possesso delle sue, ma la scintilla che mi aspettavo di sentire non uscì fuori. Non c’era rimasto molto da salvare.

“No, non…non essere crudele.” Harry parlava con disgusto, quando cercai di girargli intorno. Immaginavo un cipiglio di disapprovazione quando strappò via la mano dalla mia. “Non farlo” quasi sputò.

Era terribilmente doloroso pensare che non poteva guardarmi. Le sue mani in tasca, una difesa contro di me.

“Quando mi lasci qui” scosse la testa. “Bo, non sarò in grado di…per favore…non toccarmi.”

Stavamo andando indietro così veloci che era una sfida da superare. Non si aspettava nessuna risposta mentre si allontanava da me. Ben presto ci fu l’intera strada a separarci. Restai da sola a fissarmi le mani come se tenessero la risposta che Harry non poteva darmi nel non voler toccarle. Ma sono solo delle mani, con delle linee marcate nei palmi, come affluenti di un fiume. Non gli faranno del male.

Pensai di lasciarlo lì. Di non dargli più il mio tempo. Pregai nella pioggia e che si inzuppasse.

Nonostante i miei auguri di incuria, mi ritrovai a seguirlo di nuovo. Non feci l’errore di andare di nuovo direttamente verso di lui, il mio corpo non poteva prendere un altro attacco dal nemico. Rimasi dietro di lui.

“Dov’è la tua macchina?” chiesi piano per non spaventarlo. “Ti ci accompagno.”

“Non ce l’ho.”

“Ti porto a casa, poi-“ parlai velocemente. “O posso portati da qualcuno, io-“

“Casa.” Rispose Harry.

“Ok.”

Era un po’ strano averlo dietro di me dopo lo scambio di parole avute poco prima. Era tutto così familiare mentre mi passava la borsa dal sedile del passeggero e si metteva la cintura incrociando le mani in grembo. Partii un po’ meglio di prima. Non volevo rovinare quel momento, quindi non accesi la radio. Giocherellò con una parte dei jeans strappati, e dovetti mettere a tacere la parte materna in me che voleva rimproverarlo.

“Dove stiamo andando?”

La sua voce rompeva il silenzio ritmicamente. Stavamo girando a destra in un incrocio. Non importa quanto rimanemmo fermi allo stop, non c’era nessuno dietro che avrebbe suonato il clacson.

“Ti sto portando a casa, al tuo appartamento.”

Dita nervose ruotavano continuamente la fascia argentata tra l’indice e il medio.

“Non vivo più lì.”

Tolsi la freccia.

“Dove abiti?”

***

Guidai fino a che non fui accolta dalla vista minacciosa di tre grandi blocchi di appartamenti. La luna faceva capolino tra il primo e il secondo piano, quasi sollevata nel rifugiarsi ogni tanto dietro le nuvole di passaggio. Socievolezza e gentilezza erano due parole completamente assenti in quel posto.

Harry attardava a scendere dalla macchina, la testa china abbattuto dal saluto che stava per arrivare. Presi coraggio.

“Verrò se vuoi.”

“Sì” disse senza pause.

Misi le chiavi in borsa mentre camminavo a grandi passi con Harry. Era a pochi passi davanti a me, quando si rese conto che ero indietro ricordandosi che avevo le gambe più corte delle sue, quindi rallentò per starmi accanto.

La porta d’ingresso col blocco del numero venne tenuta aperta e ringraziai Harry mentre mi faceva passare per prima. La hall puzzava un po’ di umido e feci caso al disadattamento del color ciliegio sul soffitto in un angolo. Un ronzio mi fece capire che non c’era modo di uscire o entrare liberamente dagli sconosciuti.

“Ci metto solo un minuto” disse Harry “Devo pagare l’affitto.”

Sparì dietro una porta ed io rimasi sola a camminare nell’atrio. Una luce sul muro traballante tremolava, il ‘crick’ di un vetro ogni secondo accompagnava la musica a tutto volume di un ragazzo fuori. Eravamo passati lì davanti, ma non avevo voluto dire il mio nome. Volevo controllare la mia macchina; probabilmente mi stavano rubando il motore o staccando i freni.

Aprii la porta di ingresso e rimasi sorpresa che il manico fosse ancora intatto. La mia osservazione si fermò su due ragazzi e una ragazza. La loro conversazione cessò non appena mi notarono.

“Tu vivi qui?” chiese la donna.

Non fui sicura della risposta giusta da dare, per la paura di dire ‘sì’ o ‘no’. Pensai velocemente.

“No.”

Uno degli uomini fece un passo in avanti, era più basso della donna con i capelli color miele. Nonostante avesse la cintura ai jeans, questi erano calati nella sua figura tarchiata.

“Ti sei persa, allora?”

“No” ripeto.

La sensazione di disagio mi scavava lo stomaco e si intensificava dal loro passaggio di sorrisi. Con grande sforzo mi avvicinai ancora di più alla porta d’entrata del palazzo, in modo da non sembrare più un obiettivo.

“Il mio amico è entrato qui, sono venuta per vedere se riesco a trovarlo.”

I miei avambracci premevano la maniglia di legno poco igienica. Ma in quel momento l’igiene era l’ultima delle mie preoccupazioni, ora che uno di loro mi seguiva. Posso dirlo perché sentii la porta chiudersi dietro di me.

“E in che piano abita il tuo amico?”

Guardai a lungo i corridoi da una parte all'altra. Era un labirinto, cazzo.

“Non lo so, non me l’ha detto.”

La mia risposta fu tagliente quando mi girai di nuovo verso di loro. La donna e uno degli uomini erano presenti in sala con me; l’altro era appoggiato allo stipite della porta con un sorriso d’intesa. Il loro divertimento mi scivolava addosso e non riuscivo a capire come mai ridessero e fossero così pallidi.

“Lei non lo vuole quello che stai vendendo.” La voce di Harry echeggiò.

La donna sobbalzò e gli uomini si tirarono indietro. Potei sentire la presenza di Harry dietro di me, con uno strano senso di superiorità nel vedere le persone avere paura di lui. “è il ragazzo del ventotto, il ragazzo del ventotto” borbottò improvvisamente nell'atmosfera fredda. Lei abbassò la testa in segno di sottomissione, seguita dagli altri che uscirono dietro di lei.

Guardai la porta dopo che se ne andarono e mi girai quando sentii Harry a un passo di distanza. Sembrava che passavo la maggior parte del tempo a conversare con la sua schiena.

“Cosa stavano vendendo?”

C’era solo il ronzio di sottofondo mentre continuavo a seguirlo. Le porte dell’ascensore si aprirono non appena Harry aprì un’altra porta che probabilmente conduceva alle scale. Non so quanto in alto stessimo andando.

“Non prendiamo l’ascensore?” chiedo mentre attraverso la porta.

Potevo vedere Harry fermarsi dall’altra parte attraverso una finestra, prima di salire le scale. Si girò poco per affrontarmi.

“Io non lo prenderei” risponde. “Ci sono dei bambini che amano bloccare le porte. Non abbiamo garanzia di arrivare al terzo piano.”

Non volevo di certo trascorrere la notte dentro una scatola di metallo appesa per dare a dei bambini il gusto del divertimento. Salii in fretta, raggiungendo Harry alla prima scala. Era una brutta salita arrivare fino al terzo piano.

“Quei tre prima, di sotto, ti hanno visto e detto ventotto. Che cosa vuol dire?”

Passammo per delle porte verdi fino ad arrivare al corridoio deserto. Il rumore di alcuni televisori si sentiva provenire da alcuni appartamenti, altri erano silenziosi.

“Ehm, io vivo al numero ventotto” Harry concluse.

Ci fermammo fuori una porta identica alle altre e Harry mise la mano in tasca per cercare le chiavi. Non appena le luci del corridoio si spensero, entrammo nell'appartamento e il mio primo pensiero fu quello che questa non era casa sua. L’ingresso portava direttamente al salotto. Era piccolo. Presunsi che l’unica fonte di luce veniva portata da una finestra sul retro, probabilmente dalla cucina. Sebbene lo sporco del vetro non portava alcun beneficio.

Harry era di lato al divano, la testa leggermente chinata, come fosse fuori posto in casa sua.

“Sembra bello, Harry” dissi gentilmente.

“Non c’è bisogno di essere educati” disse ridendo debolmente. “Mia mamma e mia sorella non vengono nemmeno a farmi visita qui, ed io non voglio. So che è un buco di merda.”

Ero a corto di parole così misi a guardarmi intorno. La tv era piccola, non c’era traccia di console di giochi e la lampada sul lato aveva bisogno di una lampadina. Non appena i miei occhi vagarono sopra il divano, notai una mazza da baseball poggiata al suo braccio.

“Me lo sono rotto tempo fa” cercò di spiegare. “Non è lo stesso da allora.”

“Merda” fu la mia risposta immediata.

Gli stivali di Harry vennero tolti prima che arrivasse in cucina. Come legata a lui da un filo, faccio lo stesso e lo seguo. Lo guardai recuperare un bicchiere dalla credenza.

“Vuoi qualcosa da bere?”

Mi avvicino alla sua destra. La mia mano lo sfiorò debolmente sul fianco, facendolo reagire in un senso di cui ormai mi ero abituata. Proprio come prima, Harry prese le distanze. Nocche bianche stringevano il bicchiere ed io ero preoccupata per la pressione che potevano avere intorno ad esso.

“Sto bene” rispondo.

Il rubinetto della cucina venne tirato su, l’acqua scorreva sopra la sua mano, in attesa che si freddasse. Stava crollando, potevo vederlo. Gli tremava la mano e potevo sentire il respiro aumentare il ritmo. Si afferrò al piano della cucina per tenersi in piedi.

“Va tutto bene” dico. “Te lo porto io.”

Il bicchiere di vetro venne posato sul bancone, per evitare che cadesse. 

“Vado a sdraiarmi” disse Harry a sé stesso.

“Va bene.”

Lo osservai finché non lo vidi sparire verso la camera da letto. Posai la giacca e la borsa sul divano prima di tornare in cucina. Pensai di portargli qualcosa da mangiare, ma aveva solo latte e cibo cinese. Volevo buttarglielo via, ma non volevo interferire con ciò che aveva comprato lui per sé stesso.

C’era un aroma affumicato quando entrai in camera da letto. Il letto era vuoto e vedo Harry giocherellare con oggetti presi dai cassetti. Ero sicura di averlo spaventato presentandomi subito da lui, creandogli confusione. Dallo spavento del suo movimento mi cadde il bicchiere, mandando pezzi di vetro e acqua in giro per il pavimento.

“Bo, Bo, mi dispiace” disse disperatamente. “Non l’ho fatto- non ti ho vista.”

Era agitato, glielo si leggeva in volto. Quando lo raggiunsi capii che si sentiva in colpa per quello che aveva fatto. Presi in mano il suo mento, prima che potesse fermarmi.

“Non lo fare”, protestò con leggerezza. “Bo, fermati.”

I palmi delle mie mani erano al lato del suo viso. Harry si bloccò quando il mio pollice sfiorò la sua cicatrice e questo mi riportò quando quella ragazza cercava di approcciare con lui. “Non mi dà fastidio” aveva detto, e fino a quel momento non aveva avuto senso. I suoi occhi erano chiusi e non c’era dubbio che la ferita fosse guarita ormai. Non era una linea regolare, la parte superiore era un po’ frastagliata e faceva precipitare il mio stomaco.

“Aprili.”

Harry non aveva più paura del mio tocco, era solo testardo in quel momento.

“Aprili.” Esigo.

Le mie mani caddero a peso morto, indietreggiando col corpo. Non riuscii a capire la risposta del mio corpo, perché ero scioccata.

“Sì, di solito è questa la reazione.” Affermò amaramente.

L’allievo era stato danneggiato, non era più perfettamente allineato e si perdeva un po’ nell’iride, tra il verde scuro e il blu. L’intero occhio era leggermente offuscato in un bianco lattiginoso, sentii crollarmi il mondo addosso.

“Io non…”

Harry continuava a rimanere fermo per farmi elaborare meglio la situazione.

“Ipovedenti.”

Sorrise debolmente.

Scossi la testa, cercando di prendere fiato che sfuggiva dai miei polmoni.

“Non capisco” lo supplicai.

Guardò un attimo in basso, prima di prendere coraggio e guardarmi direttamente per la prima volta.

“Bo, io sono mezzo cieco nell'occhio sinistro.”

Knockout (sequel to Dark)Donde viven las historias. Descúbrelo ahora