Capitolo 3

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(CREDITI @hugmejameshoran)

“Quando combatte?” mi informai lamentandomi.

Accettai un drink, analcolico, visto che avrei dovuto guidare per tornare a casa. Mack mi guardava strano ogni volta che tornavo a fissarlo dopo aver ispezionato per la terza volta la stanza. Era per precauzione. Sapevo che Harry se ne fosse andato; un’uscita brusca, stordito, attraverso una folla ed un avversario senza inconscio era abbastanza conclusiva. Ma continuavo a rimanere lucida.

“Huh?” si sforzò sopra il rumore.

“Harry, quando combatte di solito?”

“Quasi tutti i fine settimana, di tanto in tanto durante la settimana” gridò quasi in risposta Mack.

“Vieni dietro, è più tranquillo.”

Gli andai dietro, schivando le persone che non riuscivano a rimanere in piedi per colpa dei troppi drink. Mi sentivo stranamente privilegiata a seguire Mack attraverso la porta ‘PRIVATO’. Era stata utilizzata come ingresso e uscita per i combattenti poco prima, e ancora una volta fui sopraffatta da un senso di ansia. Un breve tratto di corridoio ci portò in un ufficio sul retro. Non era eccessivamente grande, ma lo spazio era usato bene, scrivania, computer, armadietto, e una cassaforte non ben nascosta. 

“Senti, se vuoi incontrarlo posso organizzare qualcosa, Bo.”

La mia testa si girò così in fretta che probabilmente sbattei da qualche parte. Mi strofinai il collo cercando di alleviare il disagio. Mack era seduto alla scrivania, spostando dei fogli cercando di recuperare il cellulare che aveva appena ricevuto un messaggio emettendo un suono.

“Con Harry?” chiesi, inarcando vertiginosamente le mie sopracciglia.

Lui non alzò lo sguardo, stava frugando nei cassetti dei mobili.

“Sì, voglio dire, potrebbe essere un po’ difficile”, si fermò con una smorfia. “Non è davvero una persona popolare. Ma so che potrebbe avere qualcosa da fare. Da quando ha cominciato i combattimenti, la quantità di donne che gli vanno dietro durante le notti di lotta sono aumentate.”

“No, va bene.” Scossi la testa.

“Sicura? Posso dirgli che sei una fan. So che il…” gesticolava nell’area di fronte al suo viso, lasciandomi perplessa prima di continuare. “E’ un po’ intimidatorio, ma è tranquillo.”

“No, grazie.” “Che cos’è?”

Dalla raccolta di fogli sulla scrivania, ne presi uno scritto a mano. Parole e frasi intere erano scarabocchiate. L’aspetto raggrinzito, era ovvio che l’attenzione per quel foglietto era stata maggiore di altri. Se la riprese prima che riuscissi a leggere il nome del destinatario.

“Una lettera” rispose Mack seccamente.

“A chi stai scrivendo?”

Fece un sospiro pesante, trascinandosi sullo schienale della sedia, estraendo un pc di fronte a lui.

“La mia ragazza.”

Parlò un po’ a disagio.

“E’ una lettera d’amore?” chiesi, sorridendo molto più di quanto dovessi.

Scosse la testa con un colorito roseo sulle guance. Era tenero.

“Sta leggendo questi libri di un Dio-terribile, dove i personaggi confessano il loro amore attraverso le parole scritte.”

Il suo naso si arricciò come se la frase appena pronunciata lo disgustasse. Il romanticismo spesso è assente in alcune persone, come una lingua sconosciuta, quindi non fece nessun commento a riguardo.

“Non è che non le parlo mai al telefono al giorno. Vuole che scriva i miei sentimenti e che glieli mandi.”

“Penso che sia una cosa dolce.”

Un sentimento di gioia si propagò, felice nel sentire che l’amore esiste all’infuori delle mie pericolose esperienze. Mise via il suo telefono quando mi sedetti tranquillamente ad osservare. C’erano un paio di foto incorniciate, una lavagna piena di date di calendario e una piccola piantina in un vaso che aveva bisogno di acqua.

“Certo che sì” alzò gli occhi al cielo.

Riconobbi a pieno il sarcasmo nella sua voce, abituata a vivere con persone come Tiff. Il suo temperamento non smorzò il mio spirito.

“Dov’è?”

“A studiare a Manchester.”

I suoi occhi si posarono sul telefono che aveva appena ricevuto una serie di messaggi, e dal sorriso che portava doveva essere lei.

“Potrei aiutarti, se vuoi.”

Mack levò l’attenzione dallo schermo del suo telefono, attirato dalla nostra conversazione che a quanto pareva aveva preso una piega interessante.

“Cosa vuoi dire?”

Mi spostai in avanti, sul bordo della sedia, rimettendo a posto il cuscino patetico per alleviare la durezza del sedile.

“Con la composizione. Se ti stai sforzando, potrei darti la prospettiva di una donna.”

“Lo faresti?” chiese un po’ stupito.

“Certo, se mi lasci sedere ai combattimenti.”

Sperai fosse una richiesta abbastanza casuale da non sollevare il sospetto, ma non ero sicura che quel silenzio fosse per il fatto che stesse pensando all’offerta, o se stesse cercando di capire se fossi pazza.

“Va bene.”

“Perfetto.” Sorrisi, appoggiandomi alle carte sulla scrivania per stringergli la mano. “Solo, per favore, non dirglielo.”

“Di cosa?”

“Di me.”

***

A quanto pare non ero abbastanza competente per portare il carrello della spesa, così mi limitai a camminare affianco a Tiff come un bambino, prendendo dagli scaffali ciò che mi elencava. Avevamo portato Rob a fare la spesa con noi, dopo aver scoperto che aveva mangiato una pentola intera di tagliatelle per colazione e pranzo. Fece una smorfia quando avevamo cercato di spiegargli che il “cibo” aveva molti più carboidrati di un cartoncino d’acqua.

“Stai andando di nuovo a casa?”

Misi i barattoli di mais sopra la catasta di alimenti messi nel carrello.

“Sì.”

Il carrello intruppò, una vecchia signora aveva sterzato bruscamente verso di noi. Gli occhi castani di Tiff mi guardarono in disapprovazione, inarcò le sopracciglia e continuò ad andare avanti.

“Perché? Dovevamo andare al cinema. Ricordi? Ho questo buono sconto solo per sabato sera, non posso usarlo in altri giorni.”

“Merda. Mi dispiace davvero” scossi la testa con dispiacere.

“Ugh” brontolò Tiff, gettando una scatola di cereali nel nostro carrello. “Oh Dio, dovrò portare Rob.”

“Dove mi porti?” disse Rob con la bocca piena di uva e le braccia piene di pasti spazzatura per il microonde. “Stiamo andando ad un appuntamento, Tiff?”

Le diede una gomitata sulla spalla, facendo ballare le sopracciglia in modo civettuolo.

“Ti piacerebbe” sputò, mettendo fine al suo comportamento.

“Dovresti pagare, prima di iniziare a mangiare la spesa” gli feci notare, prendendo la busta quasi vuota di frutta e mettendola in cima a tutto.

Non mi sorprese che ignorò il mio rimprovero e corse lungo il corridoio per vedere se ci fossero altre offerte. Se era un pasto normale, i costi venivano divisi. Se si trattava di gelato, non veniva condiviso, caso chiuso, c’erano solo dolori di stomaco per aver finito una vaschetta piena da soli.

“Beh, Bo doveva venire con me a vedere il film, ma non può più, quindi verrai te con me.”

“Perfetto! Cosa andiamo a vedere?”

***

“Beh, cosa vuoi dirle?”

L’inchiostro della mia penna scavò nella pagina, facendo degli scarabocchi al margine. Stavo disegnando un prato pieno di fiori, completo di prato e farfalle. Siamo stati seduti dietro la scrivania per 40 minuti, e ancora non avevamo deciso come iniziare la lettera. Immaginavo che da qualche parte ora, Rob stesse assillando Tiff per condividere i suoi popcorn, o sostenere chi dovesse stare appoggiato sul bracciolo centrare.

“Voglio che lei sappia che mi manca.”

“Beh, è un inizio” dico, strappando i miei disegni senza senso ed iniziare a scrivere in una nuova pagina. “Cosa ti manca?”

“Tutto.”

Mi tirai indietro per non turbarlo, sapendo che l’avrebbe messo in imbarazzo, stando attenta a non tirarmi di nuovo avanti. Per combattere il formicolio nel mio piede destro, lo spostai sotto la coscia sinistra e mi concentrai di nuovo. Mack si muoveva come uno yo-yo mentre stavamo insieme, e stavo arrivando a capire che la sua capacità di attenzione era probabilmente il fattore principale del fatto che non riuscisse a finire la lettera. Un paio di occhiali grandi erano appoggiati sulla punta del suo naso e non potevo fare a meno di paragonarlo a James, quindi ebbi un disgusto a vederli indossati. James li teneva al sicuro dentro la sua borsa, li portava solo per guardare la TV. Il fatto che le sue ciglia lunghe toccassero l’interno delle lenti, mi affascinava.

Disegnai una stella all’interno del margine del foglio a righe, pronta per la raffica di idee che seguiranno. Probabilmente eravamo a buon punto, quando Mack prese il diario degli appuntamenti in grembo.

“Mack” un grido echeggiò da fuori.

La sua testa scattò all’istante, gli occhi balzarono da me alla porta come un boomerang.

“E’ Harry.”

La sua voce era bassa, sufficiente per avvertirmi, ma non per attirare l’attenzione che fossimo in due in ufficio. Quando realizzai, misi la penna tra i miei denti, mi allontanai dalla scrivania e mi rotolai a terra. Non avevo idea di dove mettermi, di dove nascondermi.

“E’ in anticipo.” Sibilai.

Il suono dei passi in corridoio erano come un tuono per le mie orecchie, avevo il cuore in gola e strisciavo il più possibile nel piccolo spazio tra lo schedario, al sicuro. Sentivo le mani sporche e probabilmente avevo sporchi di polvere anche i jeans per colpa del pavimento mai pulito. Non era il migliore dei nascondigli, quindi mi strinsi in me stessa in segno di sicurezza. Sbattei la testa sul piano della cassaforte sopra di me, ma la maledizione fu ricacciata in gola per non farmi scoprire. Dal mio nascondiglio potevo vedere le gambe di Mack, dal ginocchio in giù, mentre raccoglieva tutti i fogli che avremmo usato e li cacciasse dentro un cassetto. Il mio stomaco si lamentava e in silenzio mi rimproverai per il pacchetto di Bourbon che avevo mangiato con James giovedì notte. Riuscivo a malapena a respirare, e non volevo succedesse proprio in quel momento, quando la porta dell’ufficio si aprì.

“Harry” Mack salutò un po’ a disagio, probabilmente perché stava permettendo al ‘clandestino’ di nascondersi tra i suoi mobili.

Ingoiai la bile in aumento in gola.

“Ho bisogno dei miei soldi” chiese Harry burbero.

Mi spinsi più indietro nel mio nascondiglio. Probabilmente c’erano dei ragni in agguato con me, ma non avevo intenzione di uscire per controllare. Ero più a disagio col pensiero di farmi vedere.

“Li hai già avuti.” Rispose Mack, appoggiandosi casualmente contro la scrivania.

“Non quelli della scorsa notte.”

Non lo vedevo ancora, non era entrato del tutto in stanza e mi sentii ancora più infantile nel nascondermi di più; celando i miei problemi invece di affrontarli. Era un’idea stupida. La mia agitazione non doveva pesare su altre possibilità, non c’era tempo. Ed ora che ero seduta, incastrata in un piccolo spazio, non significava che avvicinarsi ai venti anni di età potesse togliermi dalla testa una domanda, sarebbe stato davvero così brutto se lui mi avrebbe visto?

Non potevo uscire in quel momento, però, sembravo pazza per nascondermi.

Un lamento mi uscì dalle labbra, tappato dal palmo della mano, non appena Mack si accucciò quasi di fronte a me. Per un paio di orribili secondi mi preoccupai che mi stesse per tirar fuori. Ma non lo fece. Gli occhi comunicano parole non dette e continuò, attendendo fosse accettata la combinazione in cassaforte.

Le note erano infilate in una busta bianca, che lui dispiegò dalla sua posizione accucciata, la porta venne chiusa da un calcio. Ci fu una breve pausa per la paura di essere scoperta.

“Hai una donna qui dentro?” chiese Harry.

La mia bocca si asciugò e mandai indietro l’idea di stritolarmi le budella. Mi tolsi dalla mente l’idea che potesse sentirmi dal profumo, come un predatore con la sua preda. Ma noi non stiamo giocando al gatto col topo, nonostante fossi rintanata e fuori dalla sua vista.

“No” rispose Mack troppo in fretta.

“Quindi questo è tuo?”

Tirai giù la testa il più possibile, guardando ciò che stesse indicando da fuori. Il mio burro cacao era schiacciato tra il pollice e l’indice di Harry, risultava piccolo in confronto alle sue mani da orso. Mi fece sentire più vulnerabile, sapendo che avesse qualcosa di mio, che avevo usato solo dieci minuti prima.

Era troppo alto, non riuscivo a vedergli il viso; il mio unico punto di vista del suo corpo erano i suoi piedi, che mi rassicurarono per la familiarità. Quella parte era Harry. Era il tono pungente che mi faceva oscillare tra la calma e il mettermi in guardia. Era un miscuglio di qualcosa che avevo conosciuto e qualcosa di diverso, inquietante. Jeans attillati e gambe lunghe, Harry. La postura severa e un pugno chiuso appartengono a qualcuno che forse non avevo mai incontrato prima.

“Forse è una delle ragazze del bar, qualcuna era qui prima, per lo stipendio.”

Anche se non conoscessi la verità, non sarei convinta di ciò che aveva appena detto Mack. Non era un attore nato, a cinque anni avrebbe avuto un risultato migliore.

“Guarda, non è mio compito giudicare.”

“Non sto tradendo la mia ragazza.” Affermò subito Mack.

Adesso potevo crederci.

Mack gli diede i soldi e fui grata che lo stesse facendo per liberarmi il prima possibile. Harry se n’era andato, e probabilmente era tempo di andare, troppo.

“Era tutto qui?”

Raccolsi la mia borsa e la giacca dal cassetto, dove li aveva messi Mack prima del nostro agguato. Un tubetto di burro cacao poteva passare inosservato, ma tutto il resto avrebbe sollevato bandiera rossa sventolata in faccia ad Harry.

“Te l’ho detto, non voglio che lo sappia.”

“Probabilmente non avrebbe voluto vederti comunque” disse con irritazione.

Lottai nel mettermi la giacca mentre Mack si pizzicò la punta del naso.

“Non rimani per l’incontro, allora?”

“No, ma ci vediamo presto.”

Diede una sbirciata fuori il corridoio, per poi scortandomi lungo le scale antincendio alla fine di esso. L’aria della notte si spegneva, riflettendo le luci notturne sulla mia pelle, mentre mi dirigevo verso la mia macchina parcheggiata. Il nome di James apparve sullo schermo del mio cellulare e gli risposi prima di guidare verso casa.

Knockout (sequel to Dark)Where stories live. Discover now