CAPITOLO 1

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"Ci son persone che portano inciso nel proprio corpo malinconici segni, di noia e solitudine, di tragedie e smarrimenti, e per quanto dopo cercheranno di nasconderli ogni tentativo sarà vano, perché nella carne ciò che è stato rimarrà, e nella mente ciò che è stato farà da lanternino a qualsiasi cosa in divenire."

(Hiba Dekhili )



Sono Viktoriya Volkov e sono nata in Russia.
Ho ventiquattro anni ed ho ucciso più persone di quanto un solo terrorista potrebbe uccidere in dieci attentati.

Sono Viktorya, e sono un sicario.
I miei genitori sono Yuri e Pavlina Volkov, ex membri onorari della "Sebak", morti in missione da eroi, o almeno così dicono.
La Sebak è un'organizzazione all'apparenza di solo spionaggio, in pratica ci occupiamo del lavoro sporco di chi ha i vestiti troppo costosi per macchiarsi del sangue altrui.
La Sebak va oltre la mafia russa, oltre il terrorismo, va oltre tutto.
La Sebak è un'organizzazione che, nel modo più invisibile possibile, uccide chiunque tu voglia.


Si uccide in base a delle regole ben precise, un codice inviolabile composto da numerosi divieti e vincoli. I più importanti? Non far saltare la copertura, non instaurare rapporti reali, nessun sopravvissuto.
Chiunque non tenga conto anche una sola di queste regole, allora sarà punito con la morte.

Ci sono solo due modi per poter entrarci: ogni sicario diviene tale per discendenza o per propria volontà, in caso si conosca dell'esistenza della vera essenza dell'organizzazione, ma in quel caso avvengono una serie di accertamenti, per assicurarci che non ci sia nessun infiltrato.
Io, insieme a mio fratello Ermak, sono un sicario per discendenza.
E non c'è nessun modo per poterne uscire.
L'unico è piuttosto difficile da raggiungere: compiere almeno cinquanta missioni.

Noi sicari veniamo addestrati in modo tale da non provare più alcun dolore, né fisico, né psicologico, né morale. Veniamo addestrati per saper sopravvivere a tutto.
Veniamo addestrati per azzerare qualsiasi sentimento possa esserci in noi, ancora meglio se non li hai mai provati, come i miei genitori.

Veniamo addestrati per essere delle macchine da guerra.
Non importa se hai una moglie, dei figli, una famiglia... noi uccidiamo.
Io uccido.

Sono Viktorya Volkov, e sono un sicario.
Sono Viktorya Volkov e sono alla mia quarantaseiesima missione.

 La più importante, la cinquantesima, prevede che mi infiltri nella redazione di un giornale scandalistico, precisamente in quello dei Campbell. Il "The new day", che per anni ha scandalizzato l'America con i segreti più scottanti dei personaggi più noti, da cantanti, a premi oscar, a politici.
Fin qui, non c'è nulla di estremamente importante. O, almeno, niente che a noi della Sebak importi. Ma Richard Ford non sembra pensarla allo stesso modo.
Il motivo per cui è richiesto il mio lavoro è per le informazioni che hanno su Richard Ford, vice presidente degli stati uniti, non solo politico corrotto ma trafficante di armi e tanto altro che, a detta di Conrad, non sono tenuta a sapere.
Il mio obiettivo è verificare se ci sono delle effettive prove contro di lui, distruggerle, accettarmi che non ce ne siano altre, e poi uccidere.
Per questo motivo, al "The new day" sarò conosciuta come "Sydney Evans", un'importante scrittrice e redattrice con qualifiche che nella realtà non mi appartengono, ma questo i Campbell non lo sapranno mai.
Il piano originale era quello di abbindolare Hiram Campbell, figlio di Derrick Campbell, e poi distruggere le prove, il padre, e lui compreso. Ma tutto è stato reso più semplice dalla loro costante ricerca di nuovi giornalisti disposti a tutto per la verità.
Il problema è che la verità viene messa in giornale solo quando, chi è il diretto interessato dello Scoop, non paga l'estorsione. E in alcuni casi, anche quando la pagano. Come succederebbe con Richard Ford.

I Campbell probabilmente sono una delle missioni più logiche che io abbia mai fatto. E per essere libera, ho bisogno della testa di Derrick Campbell sulla scrivania della Sebak. Ad ostacolarmi dalla libertà c'è solo questa missioni, ed altre tre che mi richiederanno poco tempo e che posso benissimo condurre allo stesso momento della cinquantesima.
L'ostacolo più grande, a separarmi dalla libertà, è mio fratello Ermak, che è ancora alla trentesima missione.
É per lui che combatto.
Ermak è diverso, a tratti sembra odiare la Sebak, a tratti amarla. Ma non ha mai dato segni di voler andar via davvero.

«Questa è la tua nuova identità, fanne buon uso.» Conrad mi consegna dei documenti falsi, curriculum super accreditato, storia di una finta famiglia e una nuova casa, che non userò, come tutte quelle affidate per le missioni precedenti.
Preferisco la mia casa, comoda e poco in vista, spaziosa ma non vuota, perfetta per una persona come me.

«Ti ringrazio.» La sua espressione è uguale a quella di tutte le altre missioni: compiaciuta. Sa perfettamente che porterò a termine la commissione, come tutte le precedenti, come la maggior parte delle missioni di Ermak.
Ci voglio fuori di qui, al più presto. E se questo significa uccidere senza pietà, allora ucciderò senza pietà.
Non mi importa di quanti anni abbia la vittima, di quante donne o uomini abbia avuto, quanti figli o parenti ne soffriranno della sua morte, io uccido comunque.
Non ho pietà, non ho tenerezza per l'amore e non ho voglia di tristezza.
Non ho interesse delle loro vite, non ho interesse per nulla.
Per un po' non ho avuto interesse neanche per me stessa, non mi importava se in una missione avessi perso la vita o potessi essere scoperta, non mi importava di nulla. Questo fino a quando non ho realizzato che c'era anche Ermak alla Sebak. E mio fratello non deve vivere le stesse cose che ho vissuto io.
Ho provato il più possibile a proteggerlo, ho badato bene dal tenerlo lontano dagli orrori che mostrano le missioni. Dall'orrore che ognuno di noi ha in sé.
Ma questo non ha impedito di concludere il suo addestramento, di uccidere la sua prima vittima, di aver sbagliato qualche missione... ho solo potuto attenuare tutto questo, ma non l'ho potuto evitare.
Quello che voglio è rendere Ermak e me liberi da questa organizzazione, e non mi importerà poi se dovrò morire qui, o altrove, mi basterà saperlo al sicuro, lontano da Conrad e dai suoi seguaci.

«Ti verrò a trovare comunque, patatina.» Ermak continua a chiamarmi cosi da anni, nonostante io gli abbia fatto presente più volte che odio profondamente questa cosa. Butto gli occhi al cielo quando si avvicina per abbracciarmi. Odio gli abbracci, il contatto fisico, ma se è lui a farlo posso fare un'eccezione.

«L'importante è che la tua copertura non salti, Viktorya.» Annuisco, perché discutere con Conrad è come discutere con un muro, con la sola differenza che al muro, non capire, gli è concesso perché privo di cervello. Inizio a pensare che Conrad sia un muro.

«Andiamo, ti accompagno al tuo primo giorno di lavoro.» Ermak odia questo tipo di missioni e odia il fatto che la gran parte delle sue le abbia compiute io, ma sa che lo faccio per lui, che tutto questo è solo per proteggerlo.
Non sa che ho fatto un accordo con Conrad e che la conclusione di questa missione renderà lui libero della Sebak e di me... beh, di questo se ne parlerà dopo.
Annuisco e mi dirigo all'uscita, fuori dalla Sebak con il mio nuovo nome, il mio nuovo indirizzo, la mia nuova vita.
Per poterne distruggere altre due.

                                                                                   ****
Dopo un'ora sono all'edificio che ospita la struttura del "The new day", a due isolati da quello che è il palazzo dei Campbell. Perché, sì, oltre ad avere un giornale proprio, possiedono palazzi qua e là per Los Angeles.
Sono in anticipo di almeno quindici minuti, di proposito. Non ho tempo da perdere, ho bisogno di guadagnare subito la loro fiducia per poter mettere in salvo mio fratello Ermak.
L'edificio è enorme, ma ben strutturato, con tante via d'uscite e questo significa potersi mettere in salvo velocemente.
Le pareti sono di un bianco splendente e il pavimento nero lucido.

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