II. You already told me

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Liam varca la porta di casa con uno soddisfatto sospiro di sollievo sulle labbra.

Che muore tempestivamente.

Ha trascorso quasi una settimana in Africa, della quale solo poche ore passate a fermare uno spaventoso terremoto e, il resto, nel disperato tentativo di salvare vite umane, che fosse trovando dispersi, impedendo crolli alle abitazioni o anche solo offrendo il proprio appoggio.

Una terribile scossa ha minacciato di ridurre in polvere metà continente; sarebbe accaduto, se non fossero riusciti a intervenire come hanno fatto.

L'Africa non è una zona ad alta attività sismica, eppure è successo, come succedono le catastrofi che non si può in alcun modo prevedere, quelle inaspettate e agghiaccianti che Madre Natura decide da un momento all'altro di mettere in gioco sulla scacchiera.

Ma ci tornerebbe più che volentieri.

In mezzo alla devastazione.

Ha meno paura delle rivolte naturali, che di ritrovare la propria casa in condizioni che gli ricordano tanto il suo poco tempo trascorso al liceo.

Il sollievo dell'essere tornato è stato sostituito dal timore, quello buffo e paralizzante che si fa vivo nel momento in cui si ha a che fare con degli adolescenti.

Dalla cucina provengono imprecazioni poco rassicuranti, mentre dal salotto singhiozzi soffocati. E lui ha già notato l'assenza del suo bellissimo vaso cinese da collezione.

Non pensa di voler davvero sapere che è successo.

Chiude la porta a doppia mandata. Le luci sono tutte accese. Si prepara a urlare, sia per lo spreco elettrico che per la stressante situazione alla quale sa di starsi avvicinando, quando vede Niall impegnato davanti ai fornelli – sempre se possa così definirsi il suo star sbattendo un impasto per niente invitante.

«Ma che cavolo stai facendo?»

Niall deve aver sentito la porta d'ingresso segnalare il suo arrivo, perché non da segni di sorpresa nel sentire la domanda. «Una torta. Per Harry.» Si pulisce il dorso della mano sulla guancia. «Ma le istruzioni su internet non valgono una sega.»

Liam resta qualche secondo immobile, poi si riscuote e inclina il volto. «Tu. Un dolce. Per Harry.» Assottiglia lo sguardo. «È avvelenato?»

«Se dovesse esserlo, ti assicuro che io non c'entro niente.» Niall comincia a girare con più forza la frusta e piccole gocce gli schizzano sulla maglietta.

«Dov'è Harry?»

«Penso a piangere in salotto.»

L'espressione di Liam passa dalla minaccia al terrore. Non può assentarsi per qualche giorno, giusto per evitare la morte di migliaia di persone, che, appena torna a casa, trova il delirio e gente che cucina e piange.

Comincia a contare. «E cosa gli hai fatto?»

Niall evita di guardarlo. «Nulla.»

Cinque. «Che è successo?»

«Niente.»

Dieci. «Se non mi dici immediatamente cosa avete fatto in questa casa, giuro che vi butto fuori dalla porta a calci.»

Niall rinsalda la presa sulla sua ciotola e sorride, sempre senza alzare gli occhi. «Non puoi. Siamo affidati a te.»

Liam apre bocca, poi la richiude per pensare a una risposta sensata.

Vero: glieli hanno affidati perché, due come loro, hanno bisogno di un adeguato addestramento e della guida di qualcuno più esperto e maturo. Ma: «Se vi do per deceduti sul campo, ti assicuro che potrò andare a dormire come un pupo senza che mi succeda nulla.»

The magic in our handsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora