Otto

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Giorno 10
24 Ottobre

MAIA

Il cielo azzurro era il tipico cielo azzurro d'ottobre, quello che ti devi godere fino a che non tramonta il sole perché poi arriverà novembre, e a novembre non c'è spazio per il sole. C'è spazio per le foglie secche, per il vento gelido, la pioggia acida delle città affollate e l'aria umida che puntualmente ti fa ammalare. Ottobre è un addio e novembre è quello spazio temporale fra un addio e una rinascita deturpato dal dolore folle e dalla pazzia di chi soffre. E poi arriva dicembre, con l'amara consapevolezza che un addio è per sempre.

Il cielo azzurro di quell'ottobre lasciava che i leggeri raggi del sole si posassero sul mio corpo ed incrociassero le iridi scure dei miei occhi che, lentamente, si schiarivano lasciando intravedere i piccoli punti neri vicino alla pupilla.

Mi lasciai scaldare ignorando la fastidiosa sensazione delle sbarre di metallo su cui era pigiata la mia schiena.

E lo sentivo che dietro di me c'era qualcuno. Sentivo il suo sguardo attraversarmi la pelle.

O mi ammazzano, o mi hanno beccata, pensai.

La figura fece un passo avanti, io presi coraggio e mi voltai. Il ragazzo che non mi aspettavo assolutamente di vedere ghignò divertito. Le mani infilate nelle tasche dei pantaloni grigi della tuta, la maglietta nera che fasciava alla perfezione il suo busto, stringendosi, grazie alla posizione delle sue braccia tese, nei punti giusti. Era un bel vedere che io mi ero imposta di non ammirare troppo a lungo. Inutile dire che questa mia auto privazione mi infastidiva più del suo carattere irritante e prepotente.

«Cosa c'è, pensavi fossi uno stupratore? Un cannibale?» appoggiò i gomiti alla ringhiera.

«Perché? Non ci vai vicino?»

«Touché»

«Non pensavo saresti venuto» lui sospirò.

«Nemmeno io, ma non avevo nulla da fare»

Era la prima volta che lo vedevo dopo l'incidente e la curiosità mi mangiava più dell'irritazione.

«Mex?» lui si girò e mi guardò negli occhi per la prima volta. Aveva qualche graffio sul viso e delle borse viola sotto agli occhi, non doveva aver dormito molto.

«Si?»

«Come stai?»

«Bene suppongo»

«Non hai capito, intendo dopo quello che è successo, l'incidente Mex. Ti ricordi dell'incidente?»

«Pensi che sia scemo? Sì che me lo ricordo»

«E allora dimmi come stai, per davvero»

Chiedendo ciò diedi spazio a quella mia zona empatica che scalciava per venire fuori, una particolarità che mi lasciava il coltello dalla parte del manico.

A lui glielo leggevo negli occhi che qualcosa non andava, che voleva dire qualcosa che si imponeva di non dire, forse per non sembrare il tipo in cerca di aiuto.

«La risposta è sempre la stessa, sto bene»

«Non voglio bugie»

«Non te ne sto raccontando»

Pronunciando questa frase non mi guardò negli occhi, lasciandomi intuire che non stava dicendo la verità, non del tutto.

«Allora ti credo ma sappi che non ho intenzione di far finta di nulla, ciò che è successo fa parte di me come fa parte di te, se smettiamo di far finta che non sia mai accaduto niente è meglio, tanto comunque ti devo un favore»

ADESSO CHE NON CI SEIWhere stories live. Discover now