| tempo e spazio |

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Dovrai salutare quella lontana casa sotto la montagna. Passerà tanto tempo, prima che tu possa rivederla di nuovo, così com'è -- correva con una foglia rossastra in mano, immergendosi nel calore dell'arancione più assoluto intorno a lui. Da lontano, fuochi perenni non smettevano di brillare contro un cielo stranamente cristallino. E lui correva, guidato da un'euforia sconosciuta e pura, verso un grande albero d'argento ormai morto.

"Astéri!" sentì la voce di sua madre, da lontano. Il fanciullo si voltò senza smettere di muoversi. Non vedeva il punto in cui lo stava chiamando.

"Astéri!" lo richiamò con urgenza, sua madre. Lui rallentò la corsa per guardarsi meglio alle sue spalle, da dove sentiva provenisse il richiamo. Non riuscì a scorgerla nemmeno con un'occhiata più attenta -- il modo straordinario in cui tua madre ti sorrideva... non saprai mai come si cresce, fin quando non lo fai. Non saprai mai come affrontare la gioia e la tristezza... la gioia e la tristezza... fin quando non le affronterai -- sussurrò all'improvviso nella sua testa, una voce portata dal vento sferzante che gli scompigliò i capelli e il cuore. Il fanciullo si guardò intorno, cercando di non sprofondare nella paura senza nome che saliva piano piano dentro di lui.

Astéri aprì gli occhi.

Non c'era traccia di agitazione sul suo volto illuminato da un raggio arancione. Nessun rumore aveva fatto il vento, nessuna voce lo aveva chiamato da lontano, né un sussurro gli aveva parlato dentro. Nessun rumore assomigliava ai fuochi perenni lì, nella grande camera condivisa dove regnava il silenzio piatto del mattino.

Non c'era traccia di agitazione, né di paura, né di dolore sul suo giovane viso. Eccetto dentro il cuore.

Nessuno poteva sentire la corsa del suo cuore che sembrava scappare in tante direzioni opposte, come se non avesse altra alternativa che correre, correre lontano all'impazzata, senza fare il minimo rumore.

Sua madre non lo chiamava così. Sua madre non lo aveva mai chiamato con quello stupido nome che gli aveva assegnato il Sorteggiatore. Il rancore contro di lui cresceva a dismisura, insieme ai battiti incontrollabili. Era colpa di quegli occhi di vetro, se si sentiva così spaventato, vulnerabile, disperato e solo. Se faceva sogni tanto angoscianti, quelle poche volte che riusciva a prendere sonno.

Quella mattina, più di tante altre mattine all'Accademia, avvertì una miserabile sensazione di solitudine che non aveva provato mai. E gli mancò così tanto quella casa sotto la montagna, che credeva di non sopportarlo più... cercò con difficoltà di scacciare quest'orribile sensazione prima che potesse raggiungere la via degli occhi. Prima che fosse troppo tardi.

Il secondo sole era ormai alto nel cielo, quella mattina. Riflessi d'argento picchiavano sui suoi occhi, senza che lui se ne curasse. Totalmente assente, seguiva la fila di compagni diretti chissà dove. Era sicuro che qualcuno li stesse guidando. Sicuro che qualche Time Lord avesse parlato loro prima di mettersi in marcia.

Aveva rimosso tutto, o meglio: non gli aveva prestato attenzione fin dal primo momento. Non aveva idea di dove li stessero portando, tutto intorno a lui non lo scalfiva minimamente e le voci dei suoi compagni erano sorde, lontane.

Non era lì insieme a loro, perché la sua mente era rimasta in quei rimasugli di sogno dove aveva sentito la voce di sua madre. Sua madre che lo chiamava con quel nome assurdo, ma era lui che chiamava dopo tanto tempo...

"Respira." sentì all'improvviso un sussurro sconosciuto dentro di sé. Astéri sbatté gli occhi senza capire, ridestandosi lentamente dallo stato di torpore. Intorno a lui i compagni continuavano a procedere ordinatamente, li vide raccogliersi intorno a un alto masso su cui, fiera, si stagliava in piedi una Time Lady dai lunghi capelli grigi. Aspettò che tutti gli studenti si raccogliessero in un semicerchio intorno a lei, poi parlò.

le storie della ladra del tempo | Doctor whoWhere stories live. Discover now