| prologo |

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Il Pensatore distolse lentamente lo sguardo dalle alte finestre dalle quali filtrava una perenne luce arancione.

"Turbine." disse con una tenera inclinazione nella voce severa, posando finalmente gli occhi sul figlio.

Rimase a guardarlo per pochi secondi, indagando silenziosamente con lo sguardo particolari che sembrava non aver notato mai. Erano sempre stati di questo viola acceso, gli occhi del suo bambino? Erano sempre stati così attenti?

"Turbine..." ripeté, cercando di ricacciare indietro gli improvvisi angoscianti pensieri, di ciò che stava per comunicargli.

"Mi hai fatto chiamare, padre?" chiese il bambino con la voce chiara e curiosa che lo contraddistingueva.

Il Pensatore rimase immobile nello stesso punto in cui il bambino lo aveva trovato. Immobile fuori, immobile dentro. Non osava distogliere lo sguardo da lui, per paura di tradirsi. Ma doveva dirglielo, doveva saperlo...

"Tua madre... da molto tempo non abbiamo più segnali dalla sua navicella." disse con voce grave, concedendosi il lusso di un'ombra angosciata negli occhi. Il bambino rimase a guardarlo, senza dire nulla. Il suo sguardo adesso era confuso, le sue sopracciglia si erano aggrottate.

"Ma..."

"Abbiamo provato di tutto, figlio mio." la voce del Pensatore si ruppe dissolvendosi come fumo nella grande sala.

"Mia madre è morta?" chiese il bambino. La sua voce acuta sembrò ergersi potente come un'accusa, remota come un'eco.

Il Pensatore abbassò il capo e le sue mani si alzarono inesorabilmente come scudo sopra gli occhi, a formulare silenziosamente la risposta che temeva così tanto di dare.

Di quel momento, il ricordo più doloroso della sua lunga esistenza, nella mente del Pensatore sarebbero sempre echeggiate le urla e il pianto di suo figlio. Un pianto alto, straziante e doloroso quanto l'Universo.

Non parlarono più di quella giornata, nel tempo a venire. E se c'era una cosa che il Pensatore non era riuscito a perdonarsi mai, erano gli occhi viola di suo figlio, ormai spenti.

Mentre la notte scendeva sulla cittadella, un giorno, bussò alla porta della sua camera.

"Turbine?" chiamò, piano.

Il ragazzino non rispose. Non rispondeva più alle sue chiamate, da molto tempo.

Il Pensatore spinse piano la porta e la prima cosa che vide, fu la luce danzante della candela sulla parete di fronte a lui. Un più attento sguardo intorno, gli mostrò suo figlio intento a leggere nel buio. Ad aiutarlo, la sola flebile luce della candela.

"Turbine?"

"Mh?" rispose lui distratto, per evitare di perdere la concentrazione.

"Sei pronto?"

Il ragazzino alzò finalmente lo sguardo verso suo padre, cercando di metterlo a fuoco nella quasi oscurità.

"Per cosa?"

"Lo sai per cosa." sospirò il Pensatore.

Suo figlio abbassò nuovamente il capo, deciso a finire l'ultima parte del paragrafo.

"Sì sono pronto, padre."

"Hai preparato le tue vesti? E i tuoi libri?"

"Quasi."

"Turbine." chiamò deciso ma calmo, il Pensatore. Il suo tono di voce, spinse il figlio ad abbandonare nuovamente il libro.

"Manca da impacchettare solo questo libro e poi sono pronto." disse lui con tono innocente, indicando il volume tra le mani.

Il Pensatore sbuffò leggermente, prima di voltarsi.

"Ci vediamo al mattino." disse, ormai alla porta.

"Padre."

Il Pensatore si fermò qualche istante, prima di voltarsi a fronteggiare il figlio che si era alzato in piedi.

"Mi dispiace, padre." mormorò lui, sincero.

Il Pensatore abbassò lo sguardo e annuì in silenzio. Non seppe cosa dire: non aveva mai trovato le giuste parole per parlare al figlio. Quel bambino con la testa sempre in alto, sempre alla ricerca di stelle, sempre silenzioso. Così simili ma così lontani.

"Dormi un po'." disse solamente, con la tenerezza appena accennata di un tempo, prima di lasciare la stanza.

In realtà nessuno dei due dormì, quella notte. Nemmeno un po'.

Al mattino il Pensatore bussò di nuovo alla porta della sua stanza e com'era prevedibile, non ricevette alcuna risposta. Spalancò piano la porta per paura di svegliare il figlio, ma già prima che fosse completamente aperta si accorse della sua assenza. Suo figlio non c'era e non c'erano nemmeno i suoi libri. Per qualche istante, si guardò intorno confuso. Poi veloce, un pensiero si affacciò alla sua mente. Richiuse la porta e s'incamminò verso le alte scale alla sua sinistra.

In quella sala da molto tempo non era più entrata la luce. Le finestre erano schermate e la porta bloccata; la polvere sembrava adesso regnare sul grande tavolo di vetro al centro.

Eppure quella mattina, uno spiraglio andava a bagnare il pavimento quasi interamente buio e lì al centro stava suo figlio, con lo sguardo rivolto fuori dalla finestra.

"Turbine?"

Il bambino non si voltò.

"Non è ancora l'ora." proseguì il Pensatore.

"Lo so, padre, ma non riuscivo a dormire."

"Già, nemmeno io."

Suo figlio si voltò a guardarlo da lontano, solo il viso era illuminato dalla luce arancione dell'esterno.

"Vieni, ci sono delle cose che devo dirti prima che tu parta." disse il Pensatore, facendo un cenno con la mano.

Il bambino sospirò, ansioso.

"Dovrai essere pronto, Turbine." parlò con un tono pratico suo padre, quando furono entrambi all'esterno nel grande cortile. "Ti aspetteranno anni importanti per la tua formazione. All'Accademia guarderai nella breccia del grande Scisma e ti verrà assegnato un nome dal Sorteggiatore. Alla fine dei tuoi dieci anni di formazione, potrai applicarti per servire l'Alto Consiglio. Io...mi aspetto grandi cose da te. Tua madre...si aspettava grandi cose da te."

Il bambino trattenne l'impulso di guardare il padre, per paura che i suoi grandi occhi potessero tradire tutta l'ansia e la tristezza che avevano preso il sopravvento. Annuì, forse un po' troppo frettolosamente.

Il Pensatore se ne accorse.

"Andrà tutto bene." mormorò con un accento burbero. Era davvero orgoglioso di quel bambino ma, allo stesso tempo, era consapevole di non essere mai riuscito a dimostrarglielo davvero.

"Starai bene." furono le ultime due parole che il Pensatore disse a suo figlio, quando ormai la luce era alta intorno a loro e i due si trovarono in prossimità del cancello.

"Padre." disse il fanciullo, guardandolo finalmente negli occhi. "Per favore, riapri quella stanza."

Il Pensatore rimase a guardarlo, colpito e commosso da quella preghiera. Non aveva parole adatte per rispondergli, nemmeno questa volta.

Annuì, senza dire nulla, cercando di trattenere le lacrime.

Turbine lanciò un ultimo sguardo alla grande casa vicino alla montagna e prese tra le mani il suo piccolo baule. Fece qualche passo, poi si voltò a fissare un'ultima volta il viso del Pensatore.

"Non vi deluderò." disse con una voce stranamente chiara, gli occhi lucidi di un viola più acceso.

le storie della ladra del tempo | Doctor whoWhere stories live. Discover now