XXXVII. Manumissio testamento

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Quintilia entrò nel tablinum con gli occhi rossi, dopo aver passato gli ultimi minuti a piangere. Non aveva quasi notato il gladiatore che usciva dalla stanza, neanche quando si scontrarono, troppo sconvolta da quello che aveva appena saputo tramite una massiva, direttamente da Castria. Nonostante fosse così sorpresa di vedere quel nome scritto su quel pezzo di carta, una parte di lei lo aveva sempre saputo. 

Da quando Crisante era morta, quel presentimento la tormentava ovunque andasse. Non riusciva neanche più a rivolgere la parola a suo marito e si sentiva a disagio a dormire con lui nello stesso letto. Eppure aveva scelto di non vedere, perché la verità era come un pugno nello stomaco. Faceva male, rivoltava le viscere e ti lasciava senza fiato. 

Proprio in quello stato Quintilia decise di affrontare il marito, chiudendosi la porta alle spalle per restare da soli e fissando la sua figura alla luce fioca di una lucerna. Non riconosceva neanche più l'uomo che aveva sposato tanti anni prima e non solo a causa dei tanti chili presi.

Lo schiavo che aveva conosciuto e che l'aveva amata non c'era più. Al suo posto riusciva a vedere solo un falso patrizio avido, con le mani sporche di sangue e le tasche piene. E se prima lo sopportava a mala pena, ormai lo disprezzava con tutto il suo cuore.

"Quintilia, che ci fai ancora in piedi?", le chiese ingenuamente, non conoscendo i pensieri che tormentavano la moglie. Era così preso da se stesso che non era neanche in grado di vedere la tristezza e il turbamento negli occhi di sua moglie. Oppure li vedeva ma non se ne curava.

Lei cercò di rimanere calma, per non aggredirlo e saltargli alla gola immediatamente. Aveva un piano, un discorso prefissato in quei pochi minuti che le erano serviti per raggiungerlo e voleva a tutti i costi una confessione. Non perché non credesse alle parole di Castria, ma perché voleva sentirlo dire da lui. Voleva che ammettesse di averle portato via la cosa più bella che aveva.

Quindi si forzò di sorridere al marito, interpretando ancora per poco il ruolo della moglie perfetta, prima di dire: " Non riuscivo a dormire, tanti pensieri mi riempiono la testa ". Si fece avanti, guardandosi intorno in cerca di qualcosa da usare contro di lui. Qualcosa di pesante ed affilato.

"Non hai nulla di cui preoccuparti, donna, tuo marito si prenderà sempre cura di te", lo sentì dire quasi si stesse vantando di essere un consorte modello. Ma la realtà era ben altra e solo loro due potevano sapere. Solo lei poteva capire come ci sentiva a vivere al fianco ad un uomo che non riusciva neanche a stimare. A guardarsi intorno e a trovare inutili tutti quei lussi che possedeva. Ad osservare gli schiavi con la consapevolezza che un tempo anche lei era così, eppure non si era mai sentita così triste come in quel momento.

Sembrava strano anche ammetterlo, ma da schiava era stata più felice che da liberta. Da schiava sapeva sempre chi era, da liberta invece si era persa, pian piano nel corso degli anni. E solo una persona l'aveva rimessa sulla strada giusta.

"Hai ragione, ma ci sono cose che neanche tu sei riuscito a darmi", lo accusò velatamente, continuando ad osservare con i suoi occhi tutto ciò che era all'interno della stanza. Era stata guidata fin lì dalla rabbia e dal dolore, senza sapere bene che cosa voleva, e quindi non era pronto ad un eventuale attacco.

Apollonio raddrizzò la schiena, come se quel semplice gesto bastasse a farlo sembrava più alto e di conseguenza più forte. Ma era tutta scena, Quintilia conosceva molto bene l'uomo che si nascondeva dietro a quelle apparenze e al denaro. Non era mai riuscita ad ingannarla.

Risentito per le sue parole, si affrettò a dire, quasi a scusarsi: " Vivi in una bella casa, vesti con gli abiti più pregiati e i gioielli più preziosi, ti servono così tanti schiavi che sembra quasi di essere la famiglia del princeps. Non c'è nulla che ti manca", era perfino sprezzante mentre elencava tutte le cose che le aveva dato nel tempo. Non aveva mai capito che la felicità si raggiungeva con ben altro e fino a quel momento gli aveva sempre fatto pena. 

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