Il principe di periferia

1.9K 113 28
                                    

Alla prima sigaretta del mattino, la città del porto si svegliò.

La bellezza di quell'alba, rosa come il carico di lenzuola di seta sporche del battello notturno, volava lontana come il palloncino dimenticato di un bambino. Scendevano in quei momenti gli uomini incravattati, che già gonfi di vino fin dal primo mattino, lasciavano le donne riccamente vestite, con cui avevano trascorso la notte, a sorreggere i loro passi ondeggianti come le onde. Tra le loro risate sguaiate e il suono dell'acqua che batteva sui remi, il piccolo corteo di malavitosi si dileguava presto in lontananza.

Ritornato il silenzio sul lavoro dei pochi mozzi e marinai presenti, dal battello un solo uomo scese per ultimo. In mano però non aveva nessuna valigetta ventiquattro ore piena di miliardi di yen, ma un'altra mano ancora: quella di una bambina. Era vestita in maniera molto simile alle donne di prima, ma quei costumi tradizionali dell'isola su cui era approdata non camuffavano le sue origini. I tratti occidentali del suo viso e la pelle di porcellana che sembrava rompersi al sole da un momento all'altro erano lì, nel loro acerbo splendore. Un bottino pregiato. Degno del boss della Port Mafia.

Camminavano lentamente, come immersi in un sogno, verso la scia di fumo che li attendeva sulla terraferma. Un giovane bellissimo appena maggiorenne, pieno di bende e dall'odore di polvere da sparo, fumava quieto e li attendeva. Stava seduto sull'orlo della banchina, incurante del pericolo, e anzi desideroso di poter essere spinto da un momento all'altro tra le braccia mortali del mare putrido del porto. Ma questo né l'uomo, né la bambina avrebbero potuto notarlo, nonostante il suo sguardo vuoto e perso nel silenzio, mentre la sigaretta si consumava tra le sue dita: le luci soffuse del nuovo giorno creavano sui suoi capelli bruni il riflesso di un'aureola, di un angelo. Il riflesso di qualcosa che lui non era.

Mentre loro si avvicinavano, egli fece per alzarsi. Il vento soffiava sul suo pesante cappotto nero, lasciando scoperta la camicia scura, chiusa appena all'altezza del nodo della cravatta. Approfittò di quella brezza per buttare via ciò che restava della Winchester: un filtrino consumato dal fuoco dei suoi pensieri, che galleggiava sull'acqua agitata perdendo il suo colore, non più arancione come i pesciolini del Tanabata. La bambina doveva averlo notato, perché mentre gli sguardi dei due adulti, ora entrambi in piedi l'uno di fronte all'altro, si incontravano nel loro ancora burrascoso rapporto cane e padrone, lei aveva cominciato a fissarlo morbosamente, sporgendosi un po', ma senza mollare la mano del suo protettore. Ci mise poco a constatare che non si trattasse di chissà quale rarità, e con velocità fulminea portò i suoi occhi sul nuovo sconosciuto.

«Non ti si addice questo ruolo, Dazai».

La voce di quell'uomo, Ogai Mori, era più profonda del paesaggio stesso, qualunque esso fosse. E qualunque suono emettesse, che fosse il fruscio di un'onda o il colpo sordo di una barca sul molo, non riusciva a scalfire l'autorità che ogni sua parola aveva, se non lasciata stagnare alle orecchie di un interlocutore poco attento. Ma anche fosse esistita una persona del genere, la Port Mafia se ne faceva poco: i suoi discorsi non erano solo ordini, erano leggi che si imprimevano sulla carne e nei ricordi fin dal primo ascolto.

«Se mi permette, nemmeno a lei si addice andare a spasso con una bambina, boss».

Ogai sorrise compiaciuto della risposta. La piccola alzò la testa per osservare meglio come quel volto totalmente inespressivo stesse cambiando del tutto, ma era per lei difficile capire se quel rivelare i denti fosse un sorriso o un ghigno. Anche perché pochi secondi dopo stava già rispondendo affiatato, tra l'ammirazione e la cautela.

«Siamo quasi alla pari allora, ma ne hai ancora di strada da fare per arrivare al mio posto. Nonostante ciò, è stato molto premuroso da parte tua venire per scortarmi fin da qui. E' una cosa che denota molta umiltà da parte di un pezzo grosso della nostra organizzazione, quale tu sei. Lo apprezzo davvero molto».

YokohamaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora