Anxiety

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Il respiro affannoso, lo sguardo che vagava ovunque senza mai soffermarsi su niente, la musica forse un po' troppo alta nelle cuffiette, le gambe che premevano contro il petto e i capelli sparsi sul cuscino candido. La camera troppo piccola, il silenzio troppo assordante, i pensieri troppo rumorosi e la musica troppo poco per coprirli. I polmoni necessitavano sempre più aria, e nonostante la finestra e la porta fossero aperte sembrava che ormai in quella stanza vi fosse solo anidride carbonica. La sensazione di bruciore dentro il petto si espandeva, così come quel senso di oppressione allo stomaco che diventava sempre più insopportabile.

Ansia.
L'unica sensazione che provavi in quel momento. Non sapevi che fare. Uscire? Rimanere lì? Agire? Aspettare? Combattere? Arrendersi? Chiamare qualcuno? Rimanere solo?

Ansia.
Ti divorava dall'interno. La sentivi, si nutriva di te come un tarlo del legno, logorandoti quel poco che ti era rimasto di umano. Non sapevi se avevi voglia di alzarti o di rimanere lì, così, come un ammasso di ossa, carne e pelle. Ti era indifferente.

Ansia.
I capelli avevano perso la loro consueta morbidezza, gli occhi la loro solita vivacità. Le labbra il loro solito colore roseo e le lentiggini il loro distacco in genere evidente sul coloro chiaro della tua carnagione.

Ansia.
Sotto gli occhi spenti figuravano due occhiaie violacee. Non dormivi da giorni. Avevi perso la tua forza. Le gambe a stento reggevano il tuo peso. Avevi perso chili, forse fin troppi. Le ossa della spina dorsale e della gabbia toracica si percepivano al contatto. Gli zigomi più sporgenti. Tutto ti donava un'aria più fragile.

Ansia.
Ti stava riducendo a un fantasma, a un foglio di cartapesta, allo scheletro di una foglia, che al minimo contatto potrebbe cadere a pezzi. Sembravi un fiore appassito prima del tempo.

Ansia.
La voce che a ogni lettera diminuiva, fino a diventare un sussurro che non ha nemmeno il tempo di accarezzarti le labbra che già è stato portato via da un vento freddo di metà inverno.

Ansia.
Ti rendeva ancora più pallido del solito, bianco come la neve che si accumulava sul vialetto di quella che, nonostante tutto, chiamavi casa. Come la neve che da piccolo ti divertivi a lanciare addosso a tuo fratello mentre ridevate spensierati, come se per un po' i problemi non esistessero.

Ansia.
Tuo fratello ne provava più di te. Philip. O Lip, come si faceva chiamare, solo perché la tua prima parola era stata "Lip". Ti voleva bene, lo sapevi. Lo vedevi ogni volta che riuscivi ad alzarti dal letto e lo osservavi, mentre cercava di capire qualcosa di quei libri universitari, trattenendo le lacrime. Perché non poteva perderti. Non poteva sopportarlo. Perché tu eri quel bambino che da piccoli lui proteggeva dai bulli, eri quel bambino al quale cedeva la coperta quando faceva troppo freddo. Eri quel bambino che, dopo tanti e tanti litigi, aveva comunque perdonato. Eri quel bambino con cui aveva condiviso la stanza, i vestiti, i problemi e la vita. Eri suo fratello. E nonostante tutto lui ti voleva bene.

Ansia.
Carl aveva rinunciato all'Accademia Militare per un bel po' per te, perché eri il suo fratellone e avrebbe passato gli ultimi mesi della tua vita con te, a qualsiasi costo, nonostante faticasse ad ammetterlo. Ogni tanto lo vedevi piangere seduto sul divano a lucidare le sue medaglie in modo maniacale,tentando di tenere la mente occupata. Ma quando era davanti a te, riusciva sempre a farti ridere.

Ansia.
Debbie ne era invasa. Eri uno dei pochi che l'aveva sempre capita. E improvvisamente rimpiangesti tutte le sere passate a parlare con lei, seduti sul portico di casa Gallagher. Ricordi come non ti aveva fatto pesare il fatto di essere gay, e spettegolava con te sui ragazzi della sua scuola, facendoti sentire un po' una ragazzina in preda agli ormoni. Quanto avresti voluto che quelle serate durassero per sempre, mentre si parlava di tutto e di niente con un sorriso in volto.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 02, 2017 ⏰

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