TWO.

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TWO

"Dannazione!" imprecai.
Frugai nella tasca esterna della borsa per prendere la mia agenda, ma le mie mani cercarono invano. L'agenda era sparita.
"Non posso credere che tu l'abbia persa." disse incredulo, poi rimase in silenzio per qualche secondo prima di aggiungere "Tu non perdi mai nulla!"
Sbuffai e guardai di nuovo nella borsa, tastandola e palpandola più volte, ma ovviamente il diario non era lì.
Ignorai le beffe di Ivar e cominciai a camminare freneticamente avanti e indietro per la nostra stanza a vuoto, cercando di valutare le varie opzioni: potevo dare di matto e urlare tutta la mia frustrazione fino a perdere l'uso delle corde vocali, o concentrarmi e ricordare dove diavolo l'avevo visto l'ultima volta.
"Non posso farcela." Dissi a me stessa.
"Ehi, Grace." mi chiamò, avvicinandosi e mettendo entrambe le sue mani sulle mie spalle così da fermare la mia camminata nevrastenica. Io respirai profondamente, cercando di riprendere il controllo "Era solo un vecchio quadernino, ne ricomprerai uno nuovo!" disse incurante.
Sollevai le sopracciglia e la rabbia prese nuovamente a montare dentro di me "Solo un vecchio quadernino?!" esordii acida.
Ivar alzò gli occhi al cielo, come se ne stessi facendo una questione di stato a vuoto "Andiamo a dormire, mi sgridi domani" suggerì lui, il tono non era per niente serio e il suo atteggiamento mi infastidì particolarmente. Mi scostai dalla sua stretta, chiaramente irritata dalla sua noncuranza.
"Sei veramente fastidioso." non avevo la forza di continuare a combattere contro di lui, ma in me ancora si insidiava il desiderio di spingerlo e farlo cadere a terra, ogni volta che si comportava da stronzo.
"Oh, andiamo!" disse lui con un sorriso malizioso continuando ad avvicinarsi mentre mi spostavo leggermente a sinistra, rifiutando di arrendermi alle sue provocazioni.
"Dammi un bacio" disse tirandomi di nuovo a se, avvicinando il suo viso al mio e appoggiandosi alla mia fronte.
"No." arrossii inevitabilmente, allontanandomi ancora una volta "Sono incavolata con te!"
Ivar si riavvicinò a me afferrando una mia mano e scortandomi verso il letto; con l'altra mano libera afferrò il mio mento inclinandolo di lato. Le sue labbra entrarono in contatto con il punto in cui la mia mascella incontrava il mio collo, succhiando la pelle calda. Un'umida scia di baci fu lasciata lungo la mia mascella, mentre le sue dita scesero per fermarsi sui miei fianchi.
"No." Ansimai.
Si fermò, abbassando lo sguardo sulle mie labbra. Sentii il suo naso sfiorare la mia guancia prima che mi lasciasse un lungo bacio sulla pelle. Le labbra di Ivar si mossero leggermente, lasciando un altro bacio all'angolo della mia bocca. Quando si rese conto del fatto che non avevo intenzione di allontanarlo seriamente, catturò le mie labbra con le sue. Il bacio fu leggermente più urgente rispetto ai precedenti: le mie dita s'infilarono nei folti capelli corvini dietro la sua nuca, mentre la sua mano cominciò a scendere verso la mia coscia. 
Le mie dita si spostarono dal loro posto dietro al suo collo portandole sempre più in giù, lungo il suo petto. Sentivo scemare sempre di più il malumore mentre le sue labbra piene premettero in un punto appena sotto il mio orecchio. Chiusi gli occhi e strinsi forte il materiale sottile della maglietta che fasciava a pennello il suo torace.
"Sei carina quando ti arrabbi." mi sussurrò.
Sapevo perfettamente quali erano le sue intenzioni. Stava tentando di distrarmi e il suo piano aveva avuto successo per qualche secondo, prima che realizzassi ciò che stava cercando di fare.
Indietreggiai quando la sua mano si sollevò per accarezzarmi la guancia, "Sei incredibile!"
"Qual'è il tuo problema?" lui digrignò i denti, chiaramente scocciato.
"Il mio problema, Ivar? Sei superficiale!" sbraitai in risposta.
"E cosa avrei dovuto fare? Non vedo l'utilità di piangersi addosso per una stupida agenda." rispose con ovvietà.
Ribollii di rabbia nel sentire quelle parole.
"Come scusa?!" sbraitai "Hai idea di quanto tu possa essere insensibile? Sai che era importante per me, che in quella stupida agenda ci fosse tutto il mio duro lavoro. I miei appunti e i miei pensieri, tutto perduto! Ti rendi conto di quanto tu possa ferire una persona con il tuo atteggiamento da stronzo egocentrico?" sbottai.
Io ed Ivar eravamo letteralmente come poesia e matematica.
Lui era numeri e pragmatismi. Viveva la sua vita come un'equazione e scriveva equazioni che potessero spiegare logicamente la sua vita; io ero parole ed emozioni. Vivevo la mia vita come la trama di un libro e scrivevo libri raccontando in essi i miei pensieri.
In quei momenti la differenza stava in chi dei due non riusciva a trovare il punto di unione e non sempre eravamo capaci di uscirne.
"Non ho intenzione di star qui a farmi insultare." alzò la voce.
"Bene!" risposi bruscamente.
Era arrabbiato, potevo dirlo dal modo in cui strinse i pugni e tese la mascella. I suoi occhi bruni sembrarono più scuri della pece quando mi guardò, ma decise di lasciar perdere. Non disse nient'altro. Camminò verso la porta, superandomi senza nemmeno degnarmi di uno sguardo, percorse il corridoio poco illuminato dove si trovava il bagno e scomparve lungo la rampa di scale che conduceva al piano giorno.
Rimasi ferma e con il respiro pesante quando udii il tonfo della porta d'ingresso rombare dal piano di sotto, poi quando rimasi sola, lasciai andare il respiro che non mi ero accorta di aver trattenuto per tutto quel tempo e lentamente saltai sul letto.
Non riuscivo a non pensare a quanto fosse menefreghista il suo comportamento, ma chiusi ugualmente gli occhi lasciandomi trasportare da un profondo torpore.

Lifeblood//h.s.Where stories live. Discover now