2 - Restart

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Buio.
Sento persone che corrono al mio fianco, sento i loro passo e le loro voci ma non posse vederle e neppure toccarle: sono bloccata, come congelata.
Poi il suono di un'ambulanza e ancora voci, alcune di loro le riconosco, mamma, papà e forse Cassandra ma faccio fatica a capire quello che dicono, sono suono troppo ovattati.
E infine lo snervante e monotone suono delle macchine attaccate al mio corpo, l'unica cosa che può tenermi ancora abbrancata a questo mondo.
Apro gli occhi di colpo, respirando a malapena; sono in una stanza totalmente bianca, con dei macchinari al mio fianco e un lettino su cui sono adagiata.
Era solo un dannatissimo sogno, un'altro, uno dei tanti: sono tre settimane che continuano a tartassarmi.
Ma la cosa che lo rende terribile è che è stato reale.
Più di un mese fa sono stata trasportata in questo ospedale d'urgenza piena di fratture sparse per il corpo, un trauma cranico importante e la possibilità che non sarei durata più di un giorno.
Ma dopo una settimana di coma ho compiuto il miracolo ed eccomi di nuovo qui, anche se certe volte preferirei essere morta sul colpo.
I medici dicono che probabilmente non camminerò più quindi addio vita normale e come se non bastasse ho iniziato ad avere attacchi epilettici.
Mi chiedo solo a cosa serva vivere in questo stato.
Mi volto non appena sento la porta della stanza aprirsi, vedo mio padre e mia madre entrare con un medico, quest'ultimo si avvicina a me e dice:
<< Ho controllato le tue cartelle cliniche e stai migliorando, penso che non ci siano più ragione per tenerti qui, quindi verrai dimessa oggi stesso >>
Ad una notizia del genere la tipica reazione sarebbe stata felicità assoluta, è comprensibile che dopo un mese e mezzo passato nella stanza d'ospedale a fissare le stesse pareti bianche per giorni uno abbia voglia di tornarsene a casa sua a condurre la sua vita normale, ma io non accenno nemmeno un sorriso, mi limito ad annuire.
Non mi importava più di tanto tornare a casa, tanto non avrei più potuto camminare: le differenze tra il stare seduta in ospedale e stare seduta in camera mia non erano così tante. Non avevo voglia di tornare a quella falsa normalità perché quella non sarebbe mai stata la stessa vita di prima.
I miei genitori entrano in camera e rapidamente raccolgono le mie cose dalla stanza per poi cacciarle in qualche modo in un valigia: loro sì che erano entusiasti della notizia e volevano portarmi via da lì il prima possibile.
Dopo un'ora mi ritrovo già sul sedile anteriore del suv di mio padre diretta verso casa, i miei genitori sono taciturni; mia madre se ne sta dietro appoggiata al finestrino, sembra dimostrare molto meno dei suoi quarant'anni: i capelli biondi le ricadono a ciocche lungo le spalle mentre gli occhi verdi sono come assenti, mentre mio padre sembra sembra non avere età con i suoi capelli leggermente mossi portati sempre disordinati che gli contornano il volto mentre gli occhi azzurri puntati sulla strada, ha i lineamenti duri, tipicamente maschili e un fisico atletico.
Io invece ho preso gli occhi azzurri di mio padre e i capelli biondi di mia madre che porto lunghi quasi fino alla fine della schiena e che ho schiarito fino a renderli quasi bianchi per tingerli sempre di rosa, da mia ha madre ho preso anche il fisico magro e minuto, non troppo alta me nemmeno bassa.
Ad un certo punto mia madre rompe il silenzio:
<< Pioggia, martedì, come sai, è il primo giorno di scuola... >> inizia, lasciandomi intendere dove vuole arrivare << sai pensavo che dovresti ricominciare anche tu con gli altri, sappiamo che non ti sei ripresa dall'incidente ma ritornare con i tuoi compagni magari ti distrarrà un po' >> fa una pausa poi riprende << Ho sentito il tuo psicologo e ti ha visto particolarmente giù, non vorremmo che con tutto ciò rischi di finire in depressione, quindi anche secondo lui dovresti ricominciare >>
Ricominciare.
Come si fa a ricominciare quando tutto è finito?
Non voglio tornare la, non oso pensare cosa diranno i miei compagni quando mi vedranno in questo stato, non voglio farmi vedere così.
No.
<< Non voglio tornarci >> dico secca.
Mio padre interviene:
<< Lo stiamo dicendo per il tuo bene e ormai abbiamo deciso >>
Sbuffo.
Non voglio litigare.
Accendo la radio della macchina e alzo il volume della musica, poi mi perdo con lo sguardo fuori dal finestrino osservando il paesaggio di campi coltivati interrotti da cascine tipiche della campagna che mi circonda.
La macchina, dopo una buona mezz'ora di viaggio volta verso sinistra prendendo una stradina sterrata circondata da alberi che creano ombra, alla fine di essa c'è una grande villa di campagna, quella della mia famiglia, è di un rosa tenue da sembrar bianco con certi tratti in azzurro, sembra quasi dell'ottocento.
Davanti ad essa di estende un grande giardino ben tenuto, chiaramente da dei giardinieri ma il mio occhio si sofferma sul vasto paddock e sulle stalle di legno accanto ad esso.
È tutto vuoto.
Fino ad un mese fa tenevo qui Danubio e ogni giorno andavo al maneggio che si trovava a pochi passi da casa mia a montare, oppure uscivo in passeggiata con il mio baio a galoppare tra i campi e farmi urlare contro dai contadini perché entravo nelle loro proprietà.
Stavamo anche per compare un altro paio di cavalli, perché tanto abbiamo un po' di spazio e le possibilità ci sono, ma poi è successo quello che è successo.
Mi sembra per un momento di scorgere Danubio che appena mi vede mi corre incontro con le orecchie ritte sul capo e nitrendo per salutarmi come faceva sempre.
Poi mi rendo conto che non c'è altro che erba.
Danubio è stato uno dei miei primi pensieri dopo essermi svegliata, tenevo a lui come un fratello, ho sempre pensato che quando se ne sarebbe andato avrei pianto per mesi, restando sconvolta, insomma un dolore insopportabile.
Invece quando mia madre ha detto che il veterinario è stato costretto a sopprimerlo dopo l'incidente non ho sentito nulla, nemmeno una lacrima, solo un incolmabile nulla.
Forse dopo l'incidente non ero più in grado di provare emozioni, mi ha cambiata ed in peggio.
Ma adesso vedere quel campo in quello stato mi ha fatto realizzare davvero che lui non sarà più al mio fianco: basta vittorie insieme, basta galoppate, basta cadute, basta sorrisi.
Dopo aver parcheggiato dietro la casa mio padre ferma la macchina poi mi aiuta a scendere e a rimettermi sulla sedia a rotella.
Poi prima di scaricare le mie valigie i miei mi portano in camera mia, faticando parecchio sulle tante scale che separano il piano terra all'ultimo, ovvero il quarto.
Camera mia si trova nella parte più alta della casa, accanto alla sala giochi e del biliardo, come le altre camere la mia è abbastanza grande, ci stanno benissimo un letto matrimoniale a baldacchino, un divanetto, una poltrona, una scrivania, gli armadi, la televisione a schermo piatto e la parte più importante: un grande scaffale pieno di libri, perfetto per me che adoro leggere.
Una volta tutte le pareti erano strapiene di poster con cavalieri e cavalli importanti, di coccarde vinte ai concorsi, ferri e di foto mie a cavallo e anche le mensole accanto alla scrivania erano perlopiù riempite da svariate coppe vinte nelle gare di salto o anche di statuine di cavalli da collezione.
Ora non c'è nemmeno la minima traccia di cavalli, sembra la normale camera di una ragazza che snobba totalmente l'equitazione, probabilmente mia madre si era sbarazzata di tutto appena dopo l'incidente; come me non sopporta più lo sport che ho praticato per più di tredici anni.

SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti, vi sta piacendo la storia? Cosa ne pensate?
So che questo capitolo è particolarmente deprimente, ma dovevo farlo così, insomma l'argomento trattato non è dei più leggeri.
Giuro che dai prossimi la storia partirà davvero e sarà più movimentata, si entrerà finalmente nel vivo della storia, abbiate solo un po' di pazienza.
Spero di pubblicare il prossimo capitolo entro mercoledì o giovedì, qui di ci si vede tra poco!
Alla prossima

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