CAPITOLO 13

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<<Quanto manca?>>, gli domandai quando il viaggio si fece fin troppo silenzioso.

<<Il mio navigatore satellitare mi dice che manca una mezz'oretta circa prima di trovare il primo autogrill>>, rispose guardando l'aggeggio attaccato al vetro della macchina, <<comunque, mi chiamo Daren>>, si presentò poi.

Mi era dispiaciuto il fatto che non avesse parlato per tutto il tempo. Insomma, era da molto tempo, ormai, che non interagivo più con degli umani veri e propri. Era una cosa che mi mancava, che mi faceva riabbracciare il passato.

<<Bene. Io sono Lidya, piacere mio>>, gli sorrisi guardando per la prima volta nella sua direzione, <<e grazie per il passaggio>>, lo ringraziai, coscienziosa del fatto che fosse comunque stato molto gentile. Tutto il resto delle persone mi avevano sorpassata e guardata in malo modo.

<<Allora, Lidya, come mai ti trovavi al bordo strada?>>, mi domandò in maniera curiosa.

Lo capii. Certo, non era da tutti i giorni ritrovarti una ragazza in autostrada che faceva l'autostop. Come ci ero finita lì?

<<Ecco, io... la verità è che abito con la famiglia del mio fidanzato>>, gli spiegai inventandomi una scusa.

<<Oh, e i tuoi genitori?>>, domandò poi con voce triste.

<<Loro... sono morti>>, mentii e questo mi fece molto male. Era da tanto, ormai, che non li vedevo. Erano loro che credevano che io fossi morta, più che scomparsa.

<<Oh, mi dispiace...>>, scosse la testa e accellerò.

<<Sì, beh, così sono andata ad abitare con la famiglia del mio ragazzo>>, spiegai ancora cercando di arrivare al punto, girandoci un po' attorno.

<<Ma con loro non ti trovi bene?>>, domandò ancora.

Più o meno, ora come ora...

<<No, mi trovo bene. Molto>>, sospirai, <<solo che... il mio ragazzo doveva partire per andare a trovare un suo vecchio amico che abita vicino al lago Tahoe. Lui credeva di partire da solo; ma io gli ho voluto fare una sorpresa e farmi trovare lì all'autogill dove sapevo si sarebbe fermato per fare benzina>>.

<<Quindi hai deciso di fermarti in autostrada per chiedere un passaggio?>>, domandò facendo una smorfia e sorridendo appena, <<saprai anche tu che non è così un'ottima idea chiedere un passaggio agli sconosciuti>>,  m'informò come un padre avrebbe fatto con la propria figlia.

<<Lo so; ma... volevo andare con lui a tutti i costi>>, replicai sicura di me.

<<Sì, beh, forse so il perché...>>, bisbiglio passandosi una mano tra la barba e, successivamente, cambiando marcia.

A quella considerazione, mi voltai di scatto pronta a capire che cosa intendesse.

<<Girano strane voci sul lago Tahoe. Ogni anno scompaiono più di un centinaio di persone. Soprattutto turisti che non conoscono le leggende del posto e che quindi s'addentrano per mangiare vicino al lago>>, mi spiegò con sguardo serio.

Annuii.

<<Sì, è per quello>>. All'incirca, avrei voluto aggiungere, <<tu ci sei mai stato?>>.

Scosse la testa.

<<No, per quanto non credi alle leggende; molte persone sono scomparse sul serio. Quindi, ho sempre pensato che ci fossero altre persone dietro tutti questi morti. Magari, qualcuno che alimenta la leggenda o che vuole semplicemente apparire sui giornali. Sai, il mondo è pieno di persone strane...>>, mormorò allibito.

Annuii nuovamente: <<sì, è vero. Ne è pieno>>.

<<Ma, sentiamo, sei sicura di voler andare fin lì?>>, mi domandò poi.

<<Beh, l'amico del mio ragazzo abita lì vicino e non gli è mai successo nulla; quindi, ho poco da preoccuparmi>>, alzai le spalle trattenendo un brivido.

Allora, la storia della sirene era vera.

<<Beh, spero che vi andrà bene, ragazzi. Sai, potresti essere mia figlia...>>, bisbigliò con fare protettivo.

Sorrisi, facendomi così mancare il tono di voce dei miei genitori. Quello protettivo.

<<E il tuo fidanzato? State assieme da molto?>>, domandò poi.

<<Oh, sì... stiamo assieme da circa tre anni>>, mentii nuovamente.

<<E come si chiama?>>.

Adrian.

<<Jason>>. Su questo non potevo mentirgli o, in caso l'avesse voluto conoscere, sarebbe stato un bel guaio per entrambi.

<<Ti trovi bene con lui?>>, domandò ancora.

Annuii pensando al carattere di Jason.

<<Lui è... dolce. Molto dolce. Ed è anche molto protettivo nei miei confronti>>, gli spiegai sorridendo, <<se non fosse il mio fidanzato sarebbe di sicuro il mio migliore amico>>. Ed era la pura e semplice verità.

<<E tu, Daren, sei sposato? Hai figli?>>.

<<Mia moglie mi ha lasciato sei anni fa per andarsene con un altro, lasciandomi i nostri figli in custodia>>, con una mano acchiappò una foto posizionata sotto a un mucchio di cartacce, <<ecco, sono loro>>.

La presi in mano e sorrisi, accarezzando con l'indice i due bambini.

<<La più grande è Rose, ha dieci anni; mentre il più piccolo, Spencer, ne ha otto>>, mi spiegò poi.

Sorrisi.

<<Sono bellissimi>>, mormorai.

<<Beh, per quello dovresti ringraziare quella stronza della loro madre. Rose ha i suoi stessi capelli biondi e occhi azzurri; mentre il piccolino, ha parte gli occhi presi dalla madre, ha il mio stesso colore dei capelli>>, mi fece notare. E, in effetti, aveva dei bei capelli dal color del cioccolato.

<<Stai andando da loro?>>.

Annuii.

<<Sì, io lavoro in giro per il mondo. Sono in una compagnia che monta i palchi per quando si fanno concerti. Quindi, quando c'è da lavorare devo essere fuori città>>, sorrise rimettendo la foto apposto, <<menomale che in questi casi c'è mia sorella, loro zia. Lei è sposata ed ha anche due bambine; perciò i miei figli rimangono a casa con lei e giocano con le cugine>>, mi spiegò.

<<Quanto devi stare via ogni volta?>>.

<<Beh, anche una o due settimane. Dipende da dove devo andare>>, alzò le spalle e, con un dito, puntò l'autogrill alla nostra destra, <<eccolo! Siamo arrivati>>.

Sorrisi. Ora avrei solamente dovuto aspettare Jason che, in teoria, sarebbe dovuto arrivare di lì a poco. Oltretutto, Daren non era andato molto veloce; perciò Jason avrebbe fatto prima del dovuto.

Accostammo e, con velocità, aprii la portiera fiondandomi fuori e sgranchendomi le gambe.

<<Sicura di volerti fermare qui?>>, domandò preoccupato, abbassando il finestrino e guardandomi dritto negli occhi.

Scossi la testa.

<<Tranquillo. Dovrebbe arrivare tra pochi minuti. Intanto, magari, andrò a mangiare qualcosa>>, lo tranquillizzai.

<<Va bene; allora, io vado>>, mi sorrise, <<e, mi raccomando, fate attenzione non appena sarete lì>>.

Annuii, preoccupata.

<<Senz'altro>>, confermai, <<torna a casa e salutami i tuoi figli. Sei un buon padre, Daren>>.

<<Grazie mille. Buon viaggio!>>. Detto questo alzò il finestrino e fece la retro, uscendo dall'autogrill e partendo velocemente in direzione dell'autostrada.

Ero sola. Sola e con l'assoluta convinzione dell'esistenza delle sirene.

VERBENAΌπου ζουν οι ιστορίες. Ανακάλυψε τώρα