airplane; one shot

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Non era mai stato un tipo che amava viaggiare, cambiare abitudini, eppure ora si ritrovava con entrambe le mani sulla vita a pensare a ciò che aveva dimenticato e ciò che invece era all'interno di quella valigia nera, quasi quanto il suo stato d'animo. Ripeteva a memoria ogni singolo oggetto presente all'interno di essa, quasi come se avesse avuto una lista sotto i suoi occhi. Cercava di trovare qualcosa che tenesse a bada la sua mente troppo triste e incasinata ripetendo gli orari del volo, parlando tra se come solo un pazzo sapeva fare. Che forse lui lo era, pazzo. Pazzo per una persona che aveva deciso di andarsene e abbandonarlo. Pazzo perché non l'avrebbe potuta riavere, ch'era sparita, scomparsa. Morta. In poco tempo aveva perso ciò che di più amava, la sua famiglia. Prima sua madre, assassinata dallo stesso marito. Poi suo padre, ora a marcire in una cella. Ed ora sua sorella, la sua dolce anima, portata via da una vita che di felicità donava poco, troppo occupata a seminare tristezza e terrore per il mondo.
E lui ci aveva sofferto, per la perdita della madre, ma mai come ora stava facendo per Ruth, troppo giovane per perdere la vita. Che certe notti la incolpava pure, le urlava nell'oscurità della stanza, che non doveva andarsene, ch'era un'egoista perché s'era permessa di abbandonarlo. Schiavo di se stesso, dei suoi incubi. Che lui aveva dannatamente bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi, che odiava questa dannata solitudine. A volte pareva pure che volesse inghiottirlo, attirarlo a se e non lasciarlo andare più; e lui lottava, si dimenava tra le coperte inodore, cercando di sfuggire da quella mano maligna, e c'erano notti in cui riusciva a scappare, notti in cui veniva scalfito e notti in cui si salvava solo per un pelo. Perché diciamocela tutta, lui di vivere e combattere non aveva più voglia.
Ma ora stava comunque qui, ora con la valigia in mano, con la speranza di poter scrivere un nuovo capitolo della sua vita, forse più bello di quello che continuava a scrivere qui.
Sarebbe andato in Australia, un posto lontano dal Regno Unito. Si ripeteva che sarebbe andato tutto bene e che nel peggiore dei casi sarebbe andato a fare compagnia alla sua adorata sorellina e a sua madre, cosa che non gli dispiaceva per niente.

Guardò l'orologio che portava al polso, uno che gli aveva regalato tempo fa il suo ex ragazzo, anche lui scappato per paura del passato turbolento del fidanzato. Di tutto ciò che gli stava capitando. Ridicolo, no? Quasi quasi Liam si metteva a ridere, divertito dal fatto ch'era lui ad aver paura, lui che non appena sarebbe rientrato a casa sua avrebbe trovato una madre ai fornelli, un padre sul divano e i suoi fratelli a giocare per casa.

Scosse la testa, non volendo farsi carico anche di questi pensieri negativi, già spaventato da un volo imminente. Non sopportava l'aereo, l'altitudine ed il fatto di stare seduto accanto ad uno sconosciuto. Tutto ciò era solo fonte di ansia per lui. Tuttavia si fece coraggio, gonfiò di aria il petto e si diresse fuori da quella che non sarebbe più stata casa sua.

Fuori vi era un taxi ad aspettarlo con all'interno una donna più o meno della sua età, se non con qualche anno in più. La salutò con educazione per poi posare la sua valigia nel cofano e salire in auto. Ammirò la ragazza, constatando che fosse davvero bella. Era strano vederne una lavorare in questo campo ma tuttavia non ci fece molto caso, occupato ad ammirare i suoi tratti che tanto gli ricordavano la sorellina. Poi girò lo sguardo, le lacrime che minacciavano di uscire dagli occhi scuri.

Dal canto suo, la ragazza non pronunciò nemmeno una parola, troppo concentrata nella strada da percorrere per arrivare all'aeroporto e Liam gliene fu grato, incapace di mantenere una conversazione lineare ora come ora. Arrivarono poco più di un quarto d'ora dopo, il cielo non prometteva niente di buono e quasi quasi ebbe l'idea di rimanere ancorato a quel sedile nero e confortante. Ma si fece coraggio e scese in strada, non prima di averle lasciato i soldi.

La salutò poi con un lieve "ciao, arrivederci" per poi lasciarsi alle spalle la strada ed entrare all'interno dell'enorme struttura che l'avrebbe poi ospitato per un paio d'ore. Era arrivato decisamente prima, forse in anticipo di quattro ore; non vedeva l'ora di allontanarsi da quei opprimenti muri di un colore così triste e morto. Fece una smorfia al solo pensiero di rimanere lì un altro minuto in più, terrorizzato a tratti. Era schifato da come la vita gli avesse tolto anche il piacere confortante di casa sua, ora troppo carica d'incubi. Gli veniva da accasciarsi e di portare le gambe al petto, come se fossero una protezione, al solo pensiero di non aver più una casa. Di non aver dei ricordi per i quali valeva la pena sedersi e raccontare a qualcuno. Non aveva nemmeno più nessuno con cui parlare delle leggerezze della vita, nessuno che volesse o che potesse ascoltarlo. Era solo in balia di una vita che pareva più una mietitrice di felicità che altro.

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