23. fault

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Le due fatidiche settimane giunsero al termine e Shawn e Katy tornarono a New York.
La vita di Maya si era ribaltata completamente durante quei giorni di assenza, ed ora aveva proprio bisogno di una pausa per stare con la sua nuova famiglia.
Tutti Matthews si erano riuniti davanti alla porta principale per salutare Maya, compreso Josh. Nonostante fosse impaziente di tornare a casa, fu comunque uno struggimento lasciare tutta la famiglia di Riley, che l'aveva accolta per ben due settimane a casa sua. Erano state tante le volte in cui si era intromessa nella loro famiglia, ma mai per un lasso di tempo così lungo. Li salutò ed abbracciò uno ad uno, escluso Josh, con il quale si scambiò semplicemente un freddo "Ciao". Dopo aver scoperto che lui stava con un'altra ragazza, avevano smesso di parlarsi definitivamente. E forse era meglio così.
Uscì dalla porta e prese l'ascensore, a causa della grande quantità di bagagli che aveva appresso. Sotto l'appartamento vi era Shawn che la stava aspettando. Appena lo vide, Maya non poté fare altro che saltargli al collo e stringerlo in un grande abbraccio, che lo lasciò completamente sorpreso.
«Shawn! Perché non sei salito oggi?»
Effettivamente era strano che non avesse fatto visita ai Matthews, non era assolutamente cosa da lui.
«Dobbiamo andare a casa il prima possibile. C'è una persona che ci sta aspettando.», disse, senza perdere tempo. Velocemente ripose le valige nel bagagliaio e tornò al volante.
Maya era convinta che si trattasse di sua nonna Angela, arrivata dalla casa di riposo. Eppure, appena entrò nell'alloggio, vide sua madre con le mani sulla testa seduta sul divano ed un uomo sconosciuto dietro la penisola della cucina sulla quale mangiavano. Avvicinandosi, con la mano di Shawn sulla spalla, la persona che prima sembrava solo una figura indistinta, si rivelò essere suo padre, quello vero. Lo stesso uomo che dieci anni prima l'aveva abbandonata come se fosse un oggetto. Sbarrò gli occhi dall'incredulità. Aveva lunghi capelli biondi e lo sguardo che assomigliava proprio a quello di Maya, ovvero l'unica cosa che ricordava di lui.
«Cosa sta succedendo?», chiese Maya, stringendo la mano di Shawn per l'agitazione. All'improvviso, suo padre si alzò in piedi, si strofinò le mani sui jeans e si avvicinò a lei. Maya d'istinto retrocedette e si sedette sullo sgabello dall'altra parte del tavolo, lasciandolo di stucco. Non ci poteva credere.
«Cory mi ha chiamato e mi ha detto della lettera che avete scritto ad inglese e, siccome tu hai bisogno di parlare con Kermit ed io devo chiedergli il permesso per una cosa, l'ho invitato.», le rispose Shawn, che si sedette anche lui sul divano, vicino alla moglie.
«No, io con lui non ci voglio parlare.»
Non era pronta per affrontare suo padre in quel momento.
«Maya, prima o poi dovrai farlo. Penso che sia meglio che andiate nella tua camera, magari potrete parlare con più tranquillità.», ribatté sua madre. Maya diede uno sguardo a Shawn, che fece un cenno con la testa per farle capire che sarebbe stato meglio ascoltare Katy. Così, salì al piano di sopra col padre e lo accolse nella sua camera, accomodandosi sul suo letto. L'uomo cominciò a fare un giro per la stanza e osservò ogni elemento che trovava davanti agli occhi.
Nella camera vi piombò un silenzio tombale, fino a quando Maya ebbe il coraggio di parlare:«Scusa se arrivo dritta al punto, ma...» L'attenzione dell'uomo si spostò su di lei, che deglutì dall'agitazione. «Cos'ha fatto la tua famiglia che io non sono riuscita a fare? Non ero abbastanza?», chiese, nascondendo la sua voce, in preda all'alterazione a causa delle lacrime che cominciavano a rigarle il viso.
«Non ero pronto, Maya. Sono stato un egoista. Tu non avresti potuto far nulla per farmi restare. Eri solo una bambina.» rispose.
«Mi dispiace, ma non posso accettare una scusa del genere.», ribatté, lei, senza esitare. Era stanca dei bugiardi, di coloro che non facevano altro che incolpare loro stessi per aver compiuto azioni irrimediabili, senza mai avere davvero dei rimorsi per tutti i loro errori passati. «Voglio sapere davvero come sono andate le cose.» Maya con un solo sguardo riuscì a gelargli il sangue, distruggendogli il solo pensiero di poterla aver vinta su di lei.
«Era arrivato un momento in cui avevo smesso di essere il padre e il marito che vi aspettavate. Continuavo a deludere tua madre, ogni giorno era una lotta contro di lei. Mi ero stancato.», rispose. Continuò ad esaminare la camera, forse fin troppo attentamente. Si fermò un'ultima volta ad osservare i suoi disegni, incastonati nelle crepe dei mattoni che tenevano intatta la stanza.
«Li hai fatti tu?», chiese, ammaliato dalla loro bellezza.
«Sì.» rispose lei, con fermezza.
«Mi dispiace essermi perso tutto questo. Sei una ragazza speciale, Maya.» spostò poi il suo indice su una foto raffigurante lei e Riley. «E lei chi è?»
Maya sbuffò. Nessuno aveva mai osato chiederle una domanda del genere, tutti sapevano quale fosse il legame tra le due, persino i muri.
«La mia migliore amica. L'unica persona che non mi farà mai stare male.» Sentiva davvero il bisogno di lei in quel momento. Riley avrebbe saputo aiutarla.
«Lo vedo. Sembrate molto unite.», commentò, con lo sguardo perso in tutte quelle foto.
«Non c'è giorno in cui non stiamo insieme. È stata Riley ad aiutarmi a scrivere la lettera. Non credo che sarei stata così carina se non fosse stato per lei.», all'improvviso cadde tra i due un silenzio imbarazzante. Il padre silenziosamente si spostò davanti a Maya, piegò le ginocchia e si resse sui propri piedi. La fissò dritta negli occhi. Quella volta fu Maya a doversi sforzare di guardare in basso.
«A proposito...», si strofinò la faccia. «Non voglio più procurarti dolore. Quel che hai scritto mi ha fatto capire di essere stato una persona orribile. E, anche se non voglio ammetterlo, è così. Perciò, smettila di incolpare te stessa. Io ero quel che ero, e non c'era nulla che tu potessi fare per impedirlo.»
A quel punto gli occhi di Maya cedettero alle lacrime. Per tutto quel tempo, per tutti quegli anni, aveva sempre avuto addosso la colpa per quel che suo padre aveva fatto. «Ora, però, sono cambiato. La mia nuova famiglia non sa del mio passato e sono riuscito a non deluderli. Ho trovato un vero lavoro e ho imparato a non perderlo. Spero che un giorno tu mi possa perdonare. Non ti chiedo ora, ma, spero che un giorno capirai.»
«Il tuo lavoro era restare.», lo interruppe. Strinse con forza i denti e provò a cessare le lacrime dallo scendere lungo il suo viso, inutilmente. «Grazie per avermi raccontato la tua versione. I miei amici pensano che se io ti perdonassi, potrei stare in pace. Solitamente Riley ha ragione riguardo queste cose, ma non vedo come possa averla anche anche in questo caso. Il tuo lavoro era restare. Tu non pensi che avrei voluto un padre al mio fianco?
Sono felice di aver potuto chiarire con te grazie a quella lettera e di aver sentito che io non avevo nulla a che fare con quello che hai fatto. Ho sempre pensato che fosse colpa mia in qualche modo, ma... non lo è.», improvvisamente si alzò in piedi e sorrise. «Io non ho fatto niente.» Maya finalmente realizzò che non era mai stata colpa sua. Lasciò l'uomo alle sue spalle e scese nel salone di corsa. Lì vi erano sua madre e Shawn ad aspettarla al tavolo della cucina, con un foglio davanti a loro. Li raggiunse in seguito anche il padre, ancora un po' scombussolato dalle parole di Maya. I due sposi si diedero uno sguardo e sorrisero compiaciuti.
«Kermit, ti dispiacerebbe se adottassi Maya?» Cosa? Il viso della ragazza alterò all'improvviso. Era chiaramente scossa dalla situazione, tant'è che non riuscì a realizzare quello che Shawn aveva appena detto. Non poté fare altro che guardare l'uomo, aspettando speranzosa la sua risposta.
«Credo che sarebbe un buon compromesso. Non meriterebbe di portare il mio cognome dopo ciò che ho fatto.», così, si avvicinò verso di loro e lesse il foglio per l'adozione. Firmò ogni campo richiedente il suo consenso, diede una stretta di mano a Shawn e si voltò verso la porta. Stava accadendo davvero?
«Kermit?», urlò Maya, poco prima che la aprisse. L'uomo si girò verso di lei, un'ultima volta. I suoi occhi color oceano brillarono a causa delle lacrime incastonate in essi e per la consapevolezza che il suo sogno stava diventando realtà. «Grazie.», disse, con voce strozzata. Lui le sorrise.
«Non merito nemmeno i tuoi ringraziamenti.», le rispose, mentre lasciava l'abitazione. Ormai erano rimasti solo loro tre. La sua famiglia. Tutto quello che aveva sempre sognato.
Maya rise per l'incredulità e i due si aggiunsero a lei. Avevano aspettato così tanto quel momento. Non fu facile pensare che fosse tutto reale. Insieme si riunirono in un grande abbraccio che sembrava non finire mai. Quel giorno, nulla avrebbe distrutto quella magia.
«Sono Maya Penelope Hunter


spazio autrice:
ok ho copiato un po' un pezzo di girl meets forgiveness spero che mi perdoniate.
btw scusate se ho descritto male i sentimenti di maya però sono incapace lol

too young ➸ joshaya [REVISIONE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora