Prologo

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Un colpo. Cassiopea si svegliò con la fronte imperlata di sudore, per una volta non dovuto alla calura estiva, credendo di intravedere nel buio due piccoli occhi scintillanti, rendendosi conto dopo pochi secondi che in realtà si trattava delle spie luminose del portatile che, per l'ennesima volta, aveva lasciato acceso sul pavimento.
Raccolse distrattamente i capelli biondi in uno chignon, operazione resa difficile soprattutto dalle mani sudate. Di sottofondo, il ronzio sommesso del suo portatile.
Si alzò con il cuore che batteva a mille.

L'aveva sognato di nuovo, ma quella notte sembrava peggiore delle altre. Nonostante avesse ormai più di diciotto anni, ebbene, rimaneva comunque vulnerabili agli incubi. Anzi, all'incubo.

«Papa, papà! L'hai vista quella stella, lì, nel cielo? Guarda!»
«Certo, piccola mia. Sai come si chiama la costellazione?»
«Sì, papà, é Cassiopea!»
«Bravissima! Sì, quella é Cassiopea, si chiama come te. Sai anche perché ti chiami Cassiopea?»
«No, papà...»
«Perché tu sei la mia stella. Sei l'unica luce che mi é rimasta e, come una stella, ci sarai sempre.»

Più ci ripensava e più le veniva da piangere. La madre aveva sempre descritto il padre come un mostro, un essere senza sentimenti, ma non si era mai resa conto che Cassiopea temeva più i suoi scatti d'ira che i ricordi dell'uomo. Che lei, la sua bambina, ciò che avrebbe dovuto proteggere come il tesoro più prezioso, la ricordava solo per le brutte parole.

Poteva ancora ricordare quel dannato giorno, quello in cui la polizia si era presentata davanti a casa. Poteva ancora ricordare la disperazione provata in quel giorno. E riusciva a ricordare ogni dettaglio del pianto della madre, che lei aveva sempre creduto inscenato.

Sollevò silenziosamente le coperte e aprì il portatile, aprendo il motore di ricerca e dando una rapida occhiata alla cronologia.

La cronologia é vuota.

Perfetto, non doveva lasciare tracce di quello che faceva. La madre non gliel'avrebbe certamente fatta passare liscia. Odiava la passione della figlia per l'astronomia, riteneva che l'avrebbe rovinata e che sarebbe diventata come il padre.

Non poteva capire che il sogno di Cassiopea fosse quello di diventare come il padre.

D'un tratto il computer si spense, probabilmente per la bassa carica, e la ragazza si ritrovò nell'oscurità assoluta. Non le piaceva per niente quella situazione, le ricordava troppo l'incubo. Era sempre lo stesso, qualunque cosa lei facesse il sogno finiva sempre allo stesso modo.

«Papà, dove sei?»
«Sono qui, piccola mia, non mi vedi?»
«No, é tutto buio. Non ti vedo, dove sei?»
«Tesoro, sono qui, non piangere. Avvicinati.»
«Papà, tu... C'è qualcosa che non va, me lo sento.»
«Qua niente va come dovrebbe andare, amore mio. La vita funziona a scatti, come preferisce, senza tenere conto della razionalità.»
«Papà... Ti voglio bene. Qualunque cosa la vita ci riservi, che sia razionale o meno, ti vorrò sempre bene.»

Un botto, una fiamma che si innalza nell'oscurità. La sua pelle che bruciava, il padre che rimaneva impassibile tra le fiamme e il fumo.
Non urlava, non poteva urlare. Era già morto.

Al ricordo del sogno le scappò un singhiozzo, non riuscì a trattenerlo. Cercò di mascherare il rumore mettendosi una mano sulla bocca, sperando funzionasse.

«Papà...» fu un sussurro nel silenzio. Poi il nulla.

Star Squad - When stars begin to burnWhere stories live. Discover now