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Bruto aveva visto morire tanti uomini, in vita sua. Buona parte li aveva uccisi lui stesso. Aveva visto ferite e mutilazioni di ogni tipo; teste spiccate dal collo, moncherini sanguinolenti, corpi dilaniati scossi dalle convulsioni mentre esalavano l'ultimo respiro. Ormai nulla, della morte, poteva sconvolgerlo.

Ma non era preparato a quello.

Non era preparato a vedere il petto immobile di sua moglie riversa nel suo stesso sangue. Era stata colpita alla testa: grumi collosi le avevano impastato la nuca, quando l'aveva sollevata. Le aveva tastato il battito premendole due dita sulla gola, ma non aveva avvertito alcuna pulsazione.

Non aveva emesso un fiato, malgrado dentro stesse combattendo la battaglia più dura della sua esistenza. Aveva sdraiato Dora a letto, piegandole le mani sottili in grembo.

Oltrepassando la schiava sgozzata, Bruto si era diretto subito al suo tablinum.

E lì aveva trovato il bastardo che aveva distrutto la sua unica ragione d'essere.

Ora che l'aveva persa, lo sapeva. Senza di lei, senza il suo raro sorriso, senza le sue battute pungenti e persino la sua abitudine di contraddirlo sempre, la sua vita non aveva più senso.

Rimase qualche istante ad osservare Silio trafficare con le pergamene, i pugillares e le tavolette di legno, gettando tutto all'aria con disprezzo.

Alla fine, dovette rendersi conto che qualcosa non andava. Si voltò di scatto, ma non fece neanche in tempo ad aprire bocca prima di venire schiantato contro l'arca spalancata in cui Bruto riponeva i suoi documenti privati. Silio colpì forte la testa contro la parete, emettendo un gemito. Sollevò le braccia per difendersi da un nuovo attacco, ma Bruto lo spazzò via come un moscerino, gli occhi offuscati dall'ira più tremenda che avesse mai provato. Lo afferrò per il collo e lo strinse fino a fargli arrossare la faccia. Gli occhi si ingrandirono, come preparandosi a schizzare fuori dalle orbite. Bruto lo spinse contro la parete, mozzandogli il respiro, ma stando bene attento a non distruggergli la gola.

Era troppo presto per uccidere quell'infame.

Lo lasciò andare solo per devastargli la faccia di pugni. Con uno gli dissestò il setto nasale, con l'altro gli fece saltare via svariati denti. La bocca piena di sangue, gli occhi pesti, Silio urlò, imprecò e tentò di sottrarsi a quella gragnola di colpi, ma era come tentare di fermare una valanga.

Bruto lo colpì allo stomaco e, quando si piegò in avanti per il dolore, gli spezzò il ginocchio.

Silio lanciò uno strillo lancinante, crollando in avanti. Bruto non si fece impressionare. Gli afferrò il braccio che aveva allungato verso l'osso esposto della gamba e glielo torse fino a fargli uscire la spalla. E continuò a piegarlo, desiderando di poterglielo spezzare e staccare dal tronco e fare così anche con l'altro, e con le sue gambe e i suoi testicoli, e ridurlo a un manichino senza arti prima di gettarlo nel Tevere e lasciarlo annegare.

Ma un grido penetrò la foschia cupa dei suoi pensieri di morte.

Uno scalpiccio di passi leggeri lo raggiunse nello studio. Una mano si posò sulla sua spalla. Un viso gli comparve davanti al volto. Due occhi sgranati, orripilati, pieni di terrore. Una bocca spalancata, urlante parole che Bruto ci mise un po' a comprendere.

«Bruto, fermo! Lo ammazzi! Lascialo andare! Bruto!»

Quella voce... Ma non poteva essere. L'aveva vista morta!

Lasciò andare quell'ammasso di frattaglie insanguinate. Silio si accasciò a terra col rumore di uno straccio inzuppato.

Bruto tenne i suoi occhi sgranati fissi in quelli di sua moglie. Il respiro gli si accorciò, la vista si offuscò. Per la prima volta, si sentì quasi svenire.

La vestale e il gladiatoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora