Fiori.

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In fondo al corridoio ci sono delle infermiere che parlano e sorridono. Una di loro ha i capelli rossi e credo poco più di trent'anni. Si accorge di me, mi guarda e mi fa un cenno di saluto; poi va a disinfettarsi le mani con un dispenser attaccato alla parete.
In camera lei sta leggendo un libro dalla copertina gialla. Non riesco a leggere il titolo. Poggio i fiori su un tavolino bianco al centro della sala. Nel vaso ci sono ancora quelli di ieri.
Lei non mi degna di uno sguardo: è presa dal libro e sfoglia le pagine in modo vorace, poi torna indietro di cinque e avanti di due. Ha sempre fatto così e io questa lettura disordinata non l'ho mai capita.
Mi vede.
- E lei chi è?, - mi fa con uno sguardo sorpreso.
Le dico che passavo di lì per caso ed era bellissima e non potevo non portarle dei fiori.
Sorride e sorrido anch'io.
- Lei è troppo gentile. Ma non ci siamo già visti?
- Dice?
Poi non parliamo più.
Sul comodino c'è l'anello che le ho regalato. Ha un sottile strato di polvere e capisco che non lo mette da tanto. E che in quell'ospedale non pulisce nessuno.
Quando si fa tardi esco e saluto in modo cordiale.
- Le fa bene, sa?
Ora è l'infermiera con i capelli rossi che mi parla. Deve aver appena finito di disinfettarsi le mani perché se le sta ancora sfregando.
- Non ricorda ancora niente?
- Non molto di più. Ma, mi creda, le fa bene che lei venga qui ogni giorno. La vedo più serena quando la vede, e dice sempre che quelli sono i suoi fiori preferiti.
Adesso è buio.
Esco dall'ospedale e prendo un taxi.
L'infermiera ha ragione, penso: lei è ogni giorno più serena, e io ogni giorno un po' più solo.

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