Capitolo venti.

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«Hai di nuovo la febbre?» Claudio rise, seduto a gambe incrociate sul suo letto, tenendo il cellulare fermo tra l'orecchio e la spalla destra, mentre controllava dei documenti del bar.

Dall'altro capo del telefono sentì un borbottio in risposta, e forse Mario l'aveva anche mandato a quel paese. «Ma è già la quarta volta che succede, in due mesi e mezzo!» Claudio lasciò perdere i fogli e si sdraiò di schiena sul materasso.

«Non è colpa mia!» disse Mario, alterato, per poi tossire fortemente.

Claudio sospirò e si passò una mano in faccia. Voleva andare a cena fuori quella sera, e aveva appunto chiamato il moro per proporglielo ma gli rispose una voce nasale, interrotta da uno starnuto. Quindi la cena fuori era automaticamente saltata.

«Vengo da te» decise, alzandosi con uno scatto dal letto.

«No, che poi te la passo» mormorò Mario.

«Non m'importa, vengo a prendermi cura di te perché sono sicuro che tu non lo stai facendo» lo derise, ridendo, chiudendosi la porta di casa alle spalle.

«Vaffan..» un altro colpo di tosse lo interruppe.

«Tra una ventina di minuti sono da te, compro anche la cena e la mangiamo sul divano. Tu non devi far altro che sprecare le tue poche energie per scegliere un film» diceva, mentre scendeva velocemente le scale. Chiuse la telefonata senza neppure dargli la possibilità di rispondere, perché sapeva che gli avrebbe lanciato un altro insulto.

Circa quindici minuti dopo Claudio era sotto casa di Mario, col dito premuto sul campanello. Il moro sbuffò leggermente, alzandosi dal divano portandosi sulle spalle tutto il groviglio di coperte.

Gli aprì la porta e tornò sul divano, senza salutarlo. «Ma buonasera eh» lo salutò Claudio, ridacchiando mentre entrava in casa, chiudendosi la porta alle spalle con un calcio.

«Mh, ciao» borbottò Mario, già sdraiato sul divano. «Che hai portato?» chiese, dando un'occhiata alla busta che Claudio stringeva.

«Panini del McDonalds» rispose, poggiando la busta sul tavolo della cucina.

«Mi viene di nuovo da vomitare solo al pensiero di mangiare quella roba» si lamentò Mario, socchiudendo gli occhi.

Claudio si avvicinò per guardarlo meglio, accovacciandosi sulle ginocchia per essere alla sua stessa altezza. Osservò il suo volto ed era parecchio smunto, pallido, con due profonde occhiaie a contornare i suoi occhi neri.

«Hai vomitato?» gli chiese, preoccupato.

«Due volte» borbottò il moro, ad occhi chiusi. «E mi sa che tra poco lo rifarò» aggiunse, toccandosi la pancia e facendo una smorfia.

Claudio sospirò, allungando una mano per togliergli i capelli dalla fronte e approfittò per accarezzargli una guancia. «Domani vai dal medico.»

«Cla, è una normale influenza.»

«Si ma non è normale che ti venga in così poco tempo, Mario. Domani andrai dal medico, e non si discute» affermò, serio.

Mario respirò profondamente, annuendo. «Ora ti sdrai vicino a me, per favore?» gli chiese, a voce bassa, aprendo leggermente gli occhi.

Claudio sorrise all'istante a quella visione, a quegli occhi neri che lo stavano guardando con tutta la dolcezza possibile. Forse era dovuto all'influenza, dato che Mario rare volte era dolce con lui, ma Claudio non si lasciò perdere quell'occasione.

Si affrettò a togliersi le scarpe e a sdraiarsi al suo fianco, sotto le coperte. Aveva caldo, ma se quello era il prezzo da pagare per avere Mario sul suo petto, il suo respiro caldo sul suo collo, i suoi capelli a solleticargli il volto, l'avrebbe pagato ad ogni costo.







The tale of us. // clarioWhere stories live. Discover now