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«Allora Ambra, come stai oggi?»
«Come sempre»
«Riesci a dormire la notte?»
«Solo qualche ora»
«Hai ancora gli incubi?»
«Sì, e sono peggiorati»
«Gli attacchi di panico invece?»
«Idem, quelle pillole non servono a un cazzo»
«Modera il linguaggio»
«Dai, Claudio, non iniziare a farmi la predica» sbuffo.
«Va bene, va bene. Esco un attimo a prendere dei documenti e torno»
«Fai con comodo»

Approfitto dell'assenza di Claudio per guardarmi attorno. La grande stanza bianca è quasi del tutto spoglia, vi sono soltanto alcuni piccoli quadri, una sedia e un divanetto beige, una lampada e una scrivania color panna e una grande finestra dalla quale si intravede Firenze, la città che un tempo amavo.
Non avrei dovuto farlo. Tutto questo bianco mi sta dando alla testa, sento che potrei impazzire da un momento all'altro.

Immersa nei miei pensieri non mi sono nemmeno accorta di Claudio che è rientrato nella stanza e che adesso mi sta parlando senza che io presti attenzione a ciò che sta uscendo dalla sua bocca.
«Ambra, mi stai ascoltando?»
Appunto.
«No, scusa. Dicevi?»
«Stavo dicendo che ti ho prescritto nuovi medicinali sia per gli attacchi di panico che per l'insonnia. Dovrebbero essere più forti dei precedenti, quindi più efficaci, ma scopriremo l'esito più avanti» dice finendo di compilare dei fogli.
«Com'è la situazione in casa?»
«Sempre la solita: mia zia che non mi caga di striscio e mio zio che tutte le sere torna a casa ubriaco fradicio. Per fortuna so come difendermi» dico freddamente.
«Tuo cugino invece?»
«Mi odia, ma come biasimarlo»
«Perché dici questo?»
«Non ne voglio parlare» rispondo con tono fin troppo duro.
«Ambra, come posso aiutarti se non mi parli dei tuoi problemi?»
Faccio una piccola risata amara.
«Come se tu non fossi a conoscenza dei miei problemi»
Sento che si sta formando un nodo in gola, e questa cosa non va per niente bene.
Claudio sospira rassegnato, poi ricomincia a parlare.
«Va bene, per oggi basta così. Prima di andartene passa dalla farmacia qui sotto e prendi le medicine segnate su questo foglio» dice porgendomi il foglio in questione.
«Lo farò. A presto Claudio»
«Ciao Ambra»

Oggi l'aria è pungente, sebbene siamo agli inizi di maggio. Non c'è un'anima viva in questa zona. D'altronde, chi potrebbe esserci alle nove di mattina davanti ad uno studio psichiatrico?
Beh, io.
Entro nella farmacia indicatami da Claudio e compro le pillole da lui prescritte per poi metterle dentro il mio zaino nero dell'Eastpack.
Adesso dove vado?
A casa no di certo, e non perché ho timore di incontrare i miei zii, ma perché se non distraggo la mente dai miei pensieri questi prenderebbero il sopravvento, e li sì che impazzirei.

Salgo a bordo del mio skate e perlustro la città. È strano poter andare in giro senza avere gli sguardi di tutti puntati addosso. Già prima ero abbastanza conosciuta tra i miei coetanei, e dopo quello che è successo è inevitabile ritrovarsi gli occhi di tutti puntati addosso. Chi per dispiacere, chi per disprezzo, chi per invidia, chiunque trova un valido motivo per fissarmi.
Essere al centro dell'attenzione un tempo mi faceva sentire quasi importante, mentre adesso mi fa sentire a disagio e fuori luogo. Vorrei poter passeggiare tranquillamente senza che nessuno si accorga della mia presenza, essere solamente io e i miei pensieri. Forse questa è la volta buona per riuscirci.

Mi fermo davanti ad un piccolo parco poco fuori dal centro. Entrando noto che è molto malandato: le poche panchine presenti sono mezze sgangherate e piene di scritte, così come lo scivolo situato al centro del piccolo prato incolto.
L'unica cosa non ridotta tanto male è la piccola altalena situata poco lontana dallo scivolo.
Prendo posto in uno dei due sellini e inizio a dondolarmi leggermente, emettendo un fastidioso rumore dovuto probabilmente dalla ruggine formatasi sulle catene di ferro.
Ed ecco che i pensieri si rifanno spazio nella mia mente. Non va per niente bene.
Estraggo dallo zaino un pacchetto di Marlboro rosse dove ho precedentemente aggiunto anche qualche canna per evenienze come questa.
Dopo qualche tiro va già meglio, ma sento che non basta.

I battiti aumentano velocemente, il respiro si fa affannato e la vista offuscata.
Porco dio.
Velocemente tiro fuori il pacchetto contenente le pillole comprato poco prima e ne estraggo una, poi con movimenti svogliati afferro la bottiglietta dell'acqua e tento di aprirla. Dopo qualche secondo ci riesco e mando giù la pillola rovesciandomi un pò d'acqua addosso.
Non riuscendo più a reggermi in piedi mi accascio a terra portandomi le ginocchia al petto e nascondendo il mio volto tra di esse.

Fatico a respirare, mi sento come se fossi sott'acqua: incapace di risalire verso la superficie.
Sento delle voci nella mia testa ripetermi che sono una merda, e io non posso che dargli ragione.
Dio, quanto mi manca la mia vecchia vita, quanto mi mancano loro.
Avevano ragione su tutto, e io non ho mai voluto ascoltarli.
Ho perso tutto per colpa sua. O meglio, per colpa mia. Perché sì, è mia la colpa. Ero io quella che non aveva il coraggio di aprire gli occhi, ero io quella troppo orgogliosa per arrendersi, ero io quella che credeva in qualcosa che non è mai esistito, ero io quella sbagliata.
Ho fatto tante cazzate nella mia vita, ma durante quel freddo giorno d'ottobre le ho battute tutte.
Come si può passare dall'avere tutto a non avere più niente?
Come può una cosa quasi banale stravolgerti completamente la vita?
È successo tutto così in fretta che non mi capacito nemmeno di come sia possibile.
L'unica cosa che so è che la colpa è solo ed esclusivamente mia, e questo mi distrugge.
Se potessi tornare indietro nel tempo ed evitare quello stupido errore, adesso le cose sarebbero diverse?
Così tante domande e nemmeno una risposta.

Porto le mani al volto e sento delle lacrime salate rigarmi involontariamente le guance.
Io non piango mai, ergo, non piangevo mai, ma ultimamente succede troppo spesso.
Ero una ragazza forte, non permettevo a nessuno di abbattermi, mentre adesso potrei crollare da un momento all'altro.
Vado avanti nella speranza che qualcosa cambi, ma spesso penso che andarmene sarebbe la cosa migliore.
Perché, diciamocelo, a chi importa di me?
A chi potrebbe importare di un disastro come me?
A nessuno.

Le persone fanno bene a starmi alla larga, in un modo o nell'altro riesco sempre a rovinare tutto.
Ho paura del futuro che non so gestire, ho paura di quello che potrebbe succedere, ho paura che anche questa volta stia credendo in qualcosa che non esiste.
Cosa ne sarà di me?
Cambierà davvero qualcosa?

Ciao a tutti!
Questa è la mia prima storia qui su Wattpad, e boh, spero che apprezziate. Tra tutte le ff su Giorgio che ho letto nessuna ha la trama che ho in mente io per questa storia (in caso contrario sorratemi, non è mia intenzione scopiazzare da altre ff), e spero davvero che possa piacervi.
E niente, GIORGIOÈFIGOCIAO.

~felijsia

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