Capitolo XXII

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La mattina dopo, al seguito di una frizzante Margot appena sveglia, scendemmo stropicciandoci gli occhi, ancora assonnate, a far colazione, senza incontrare il lupetto lungo il tragitto.

Esme ed Elvis annusavano e studiavano l'ambiente circostante, fermandosi di tanto in tanto a scambiare convenevoli con le Ierofanie che incrociavano la nostra strada.

Arrivate all'entrata un forte brusio e una moltitudine di studenti che osservava concitata l'arco che avvolgeva il possente portone attirò la nostra attenzione.

Intagliato sulla volta riuscii a leggere, dopo essermi fatta spazio tra i ragazzi più alti, "Fatum caecos animos illudere colet"

Rilessi più volte la scritta, perplessa.

«Cosa c'è scritto? Lo capisci?» Mi chiese Lemon bisbigliando

«Il destino ama beffarsi delle menti cieche» Mi anticipò Margot

«Quindi avevo tradotto bene» Sussurrò Lemon «Ma cosa significa? O sarebbe meglio dire, perché è scritto là sopra?» Chiese confusa avvicinandosi un po' di più a noi, per scansare qualche studente distratto che si faceva strada a suon di spallate

«Non ne ho idea» Risposi studiando il carattere elegante che rivestiva la frase, mentre Esme cercava attenzioni annoiata, frustandomi lievemente con la lunga coda le gambe in segno di protesta

«Mio fratello aveva accennato qualcosa in una lettera quando frequentava il primo anno, da quel che ricordo dovrebbe trattarsi di una specie di premonizione... ma non ne sono certa, potrei chiedere a qualcuno... » Aggiunse Margot guardandosi attorno, splendente nella nuova divisa, che le dava un'aria da studentessa ribelle.

«Ehi, ciao!» Esclamò fermando un ragazzo mingherlino, alto molto più di Margot, che osservava la scritta pensieroso, «Sai per caso il senso di quella scritta?» Chiese una volta ottenuta la sua attenzione mentre il procione le si arrampicava curioso sulle spalle; lo studente ci squadrò per benino e, una volta poggiato lo sguardo sulla dolce Lemon, le guance e le orecchie gli si chiazzarono violentemente di cremisi, mettendone in risalto gli occhi dello stesso colore del cravattino slegato.

Per poco non scoppiai a ridere, bloccata solo dall'ingenuità della biondina che lo guardò confusa per poi darsi un'occhiata veloce cercando di capire se avesse qualcosa fuori posto ed infine mi scoccò un'occhiata stralunata, come se non riuscisse ad interpretare il comportamento del ragazzo.

Mi schiarii la gola e guardai il lupo bianco, dalla chioma castana indomabile, ripetendo la domanda posta da Margot un attimo prima

«Ehm, s-si certo... » Iniziò balbettando leggermente e distogliendo lo sguardo da Lemon, «È il presagio che ogni anno fa la Maximea, se ne capirà il senso solo una volta compiuto, ma non sempre riguarda tutti gli studenti» Spiegò cercando di spostare lo sguardo esclusivamente tra me e Margot, ancora in imbarazzo ed in disaccordo con il proprio corpo, che sembrava non saper gestire al meglio

«Lo scorso anno era rivolto ad alcuni studenti del quinto, ovviamente il vero significato l'hanno interpretato solo loro ed al massimo qualche docente, Savia compresa» Aggiunse guardandoci con un leggero cipiglio, «Stavo cercando di capire a chi volesse rivolgersi quest'anno... sembra un'affermazione piuttosto generica» Concluse tornando a fissare la scritta con espressione assorta

«E così tu sei del secondo anno, eh? Magari una volta potresti darci qualche dritta sulla vita alla Maximea... Io sono Margot, piacere» Si presentò con un enorme sorriso caloroso porgendogli una mano dalle unghie laccate di corallo, alla quale il ragazzo quasi si aggrappò

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