La ricchezza della vita è fatta di ricordi, dimenticati.

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Quando ero ragazzina, sognavo che il giorno del mio matrimonio sarei arrivata in chiesa a bordo della mia amata Gisella, la due cavalli gialla dalla quale non mi sono mai separata dal giorno del conseguimento della patente; la immaginavo addobbata a festa, guidata da Silvia all’andata e poi dal mio sposo quando saremmo usciti dalla chiesa, con le lattine attaccate al paraurti e il cartello “Just married” come nei film americani degli anni Cinquanta. Paolo ha riso quando gliel’ho raccontato, ma non ha opposto resistenza alla mia decisione di realizzare quel sogno; mia madre è inorridita; mio padre ha detto che per lui sarei potuta andare anche sui pattini, finché non si sarebbe trattato di tirar fuori altri soldi. E così, grazie all’intervento decisivo di Silvia, eravamo tre e mezzo (mio padre contava soltanto metà, visto che non aveva detto no, ma nemmeno sì) contro una.

Indossare il vestito, dare l’ultima sistemata ai capelli e raggiungere Gisella. È scivolato tutto via come se non fosse accaduto, come in quei sogni nei quali un attimo prima sei in un posto e quello dopo in un altro e non sapresti dire come ci sei arrivato.

Silvia guida, lenta come non mai. Arriveremo tardi. Il semaforo è rosso.

- Ne abbiamo viste tante, noi tre.

- Io te e… chi?

- Gisella.

- Certo. Che stupida.

- La nostra prima vacanza da sole.

Silvia ride, anche se è nervosa come se fosse lei quella che sta per sposarsi

- C’erano quei due autostoppisti, te li ricordi?

- Come dimenticarli? Jorge e Hans. Tedeschi? Austriaci?

- Tedeschi.

- Jorge sembrava un vichingo. E Hans…

- … Un boscaiolo.

Ci scambiamo uno sguardo che è un abbraccio. Silvia ha lo stesso coraggio stoico di chi sta portando qualcuno di amato al patibolo: si fa forza per farne a me.

- Era lui che aveva quello strano tic, vero? – mi chiede, guardandosi intorno. Forse sta cercando un modo per fare inversione di marcia e portarmi via.

- Jorge? Sì. Ogni volta che stava per venire cantava uno Jodel; ed era stonatissimo.

Ridiamo. Il semaforo è di nuovo verde. Silvia ingrana la marcia con la determinazione di un guerriero. Io osservo palazzi,panchine, pali, persone e ricordi scorrere fuori dal finestrino. Nonostante i dubbi, sono impaziente di arrivare a destinazione; forse è soltanto perché voglio che questa atroce agonia dovuta all’incognita che rappresenterà per me la Prima Notte finisca presto. Ma ci ferma un altro semaforo. Sono tentata di scendere, raccogliere la gonna e correre verso la chiesa pur di arrivare; sarebbe una scena romantica, in fondo. No. Voglio arrivare lì con Gisella e Silvia, le compagne di una vita che sto per lasciarmi alle spalle. Voglio che ci sia questo passaggio di testimone che non sarà un vero e proprio addio ma rappresenterà una svolta. Rovisto fra i ricordi, mi serve ad esorcizzare le paure.

- E quella volta che abbiamo bucato, la ricordi?

- Avevi chiamato Marco e lui non sapeva cambiare la ruota.

- Era un artista, lui. Avrei dovuto immaginarlo.

- Secondo lui avresti dovuto rottamare quest’auto e prenderne una nuova.

- È stato per questo che l’ho lasciato.

- Davvero? Credevo fosse per… Beh, sai. Quella cosa dei piedi.

- Stare con un feticista ha i suoi vantaggi: mi comprava un paio di scarpe ogni settimana. E sempre roba di gran classe. Potevo sopportare quella sua piccola mania, ma non che volesse liberarsi di Gisella.

Ripartiamo. Se possibile, Silvia rallenta ancora di più, ma a un certo punto la facciata della chiesa si staglia all’orizzonte e non c’è più niente che possiamo fare per evitarlo. C’è un ultimo semaforo fra me e il mio futuro sposo.

- È buffo.

- Cosa?

- Sai qual è stata la prima cosa che ho pensato, quando ho conosciuto Paolo?

- No, quale?

- Che era stata Gisella, a volerlo. Come in quel cortometraggio della Disney nel quale i fogli di carta fanno di tutto per far incontrare un ragazzo ed una ragazza.

- Quello degli aeroplanini di carta?

- Quello. Paperman  

- Soltanto perché hai quasi investito Paolo, non puoi pensare che sia stata Gisella a portarti da lui.

- Invece sì. Pensaci, Silvia: mi ero distratta perché Gisella faceva un rumore strano…

- Fa sempre rumori strani, Carlotta. Ha quindici anni.

- Non quel tipo di rumore. Mai.

- Allora devi pensare che Gisella sia come Christine, la macchina infernale: ti voleva punire facendoti conoscere Paolo.

- Non essere ingiusta. Io lo amo.

- Come puoi dire che lo ami se non lo hai mai scopato?

- Nemmeno mia nonna aveva mai scopato mio nonno, prima del matrimonio. Eppure erano felici.

- Anche lei lo ha conosciuto mentre cercava di investirlo?

Ridiamo di nuovo. Si riparte. Pochi metri e stavolta ci dobbiamo fermare perché siamo arrivate.

- Siamo ancora in tempo.

- No, ho deciso. Non può essere peggio di quelli che ho già avuto.

Lo sguardo di Silvia non la pensa come me, ma lei sorride e annuisce, con gli occhi un po’ lucidi. Le sono grata, perché nonostante tutto mi sta accanto.

- Hai ragione.

- Adesso aiutami a scendere da qui senza finire con le gambe all’aria.

Lui, lei e il Karma biancoWhere stories live. Discover now