Anche se lo conoscessi non saprei distinguere chi si nasconda dietro la maschera.

Strabuzzo gli occhi e il ragazzo, brutale, mi volta verso di lui.

Ora siamo faccia a faccia: le mie mani tremolanti e il cellulare sembra essere vittima di un attacco isterico. Lui brandisce saldamente il coltellino dalla punta affilata.

Sul manico dell'arma è disegnato uno strano disegno simile a un triangolo; vengo catturata dall'idea che da un momento all'altro il metallo del coltello possa essere conficcato nel mio stomaco.

E così uno spasmo mi coglie alla sprovvista e lo smartphone strabuzza al suolo con un tonfo sconnesso.

Sofia... Sofia. Pronto... È la voce di Mathias; giunge alle mie orecchie ovattata. La mia attenzione è rivolta alle iridi castane e brulicanti d'odio dell'individuo che ho davanti.

Lui mi squadra attentamente; dopodiché incurva il suo busto e con gli occhi rivolti verso di me, raccatta il cellulare.

«Non accoltellarmi. Ti darò tutto.» Dico biascicata e con i capelli arruffati che oscurano la mia visuale. I polmoni lavorano ininterrottamente e il mio cuore martella nel petto.

Sofia... Cosa cazzo sta succedendo? La voce di Mathias stona i miei timpani, ma il ragazzo termina la chiamata spegnendo abilmente lo smartphone.

È un po' più alto di me, ma nonostante ciò lo osservo come se fosse il monte Everest.

Le lacrime si accalcano in prima fila per poi sfociare e inondare le mie guance.

«Non piangere, non ti farò nulla. Stronzetta insolente. Ora voglio la borsa.» Mi ordina austero il malvivente e io senza indugio gli porgo la borsa; lui, contro ogni aspettativa, la capovolge rovesciando ogni singolo oggetto presente al suo interno.

Il mio portafogli griffato si infrange al suolo, e il ragazzo, come se avesse il fiuto dei soldi, lo pesca dalla pira formata da fazzoletti e quaderni. La mia vista si annebbia, mentre il ragazzo razzia il portafogli.

«Hai solo cinquanta euro qui dentro!» Sbotta inferocito e io indietreggio tentando di schermirmi con le mani.

Lui avanza, ma in lontananza, i fari di un auto ci bagnano di luce.

Il ragazzo ruota il suo collo verso la fonte di disturbo poi di soppiatto giunge al mio fianco.

Il mio muscolo cardiaco è sul punto di dichiarare forfait quando le sue labbra si avvicinano al lobo dell'orecchio. «La prossima volta chiama tuo padre, non chiamare il tuo fidanzato.» Pronuncia le ultima parole stracolmo di perfidia per poi inoltrarsi in una corsa forsennata.

Di sbieco, noto un grosso neo nei pressi della collottola del delinquente. Poi precipito con il sedere per terra.

Chi era? E perché mi ha consigliato di chiamare mio padre e non Mathias?

Ma decido di piangere a dirotto immergendomi le mani tremanti nei capelli . Subito dopo, un dolore lancinante alla spalla si manifesta.

Non dovevo attendere mio padre in una strada deserta. Stupida, mi ripeto tirando su col naso.

I freni stridono acuti e i pneumatici si impiantano sulla strada. Non bado al rumore della portiera poiché il terrore di quello sguardo ingurgita ogni pensiero positivo.

La sensazione di quel tocco viscido mi provoca un senso di ribrezzo mischiato al voltastomaco.

«Sofia!» È mio padre e il suo tono di voce è sbigottito. «Cosa diamine è successo?» Si inginocchia proteggendomi con le sua braccia nerborute.

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