Capitolo1.

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Tania è la mia migliore amica: lo è stata, fino al mese scorso.
Fino a stanotte. Fino a prima di portarla qui, in questo vecchio negozio abbandonato, fino a prima di averla legata ad una sedia, tra il buio e la polvere, fino a prima di averle infilato un taglierino tra le gambe, averla guardata negli occhi e aver tirato su fino alla gola.
Cazzo.
Sono nella mia stanza, è buio, solo un raggio di sole illumina attraversando la stanza da uno dei buchini della serranda fino a un punto non definito del pavimento accanto al mio letto.
Ormai sono settimane che faccio questi sogni, ogni notte la uccido, in mille modi diversi.
Mentre sono sulla tazza ascolto il rumore della mia urina cadere sull'acqua e immagino subito che sia il suo sangue, che scola in una pozzanghera sul pavimento impolverato di qualche postaccio buio.
Il suono del citofono mi riporta alla realtà.
Mi tiro su velocemente le mutandine e corro davanti alla porta.
La telecamera del citofono inquadra Tania e Lorenzo che ridacchiano di qualcosa mentre lui cerca nella tasca del giacchetto. Li guardo senza rispondere, cerco di sfruttare questo mantello dell'invisibilità per cogliere qualsiasi dettaglio che possa farmi capire.
Niente. Entrano entrambi nel portone scomparendo dalla mia visuale.
Poggio la testa sul muro e chiudo gli occhi.
La scena è una delle più frequenti, li vedo appesi al soffitto legati dai polsi, entrambi nudi, pieni di tagli che sanguinano. Lui mi guarda pentito, lei con il mascara colato mi supplica frignando di smetterla: non la sopporto, mi avvicino tirandola dai piedi, con tanta forza da sentir scricchiolare le ossa delle mani strette da quelle larghe manette di ferro che più tiro, più stringono. Alzo un braccio all'altezza dell'ombelico, infilzo il coltello da formaggio appena un centimetro sotto, mentre le sue grida riempiono la stanza e il sangue schizza e cola sulla sua pelle.
"Hei, che ci fai qui?"
Lorenzo sa una piccola parte di questi sogni e pensieri, parla con lo psichiatra che mi segue dalla scorsa settimana e Tania, ci accompagna alle sedute.
"Hai preso le gocce?"
Mi dice dirigendosi verso lo scaffale della cucina, lo guardo silenziosa e muovo appena la testa, accennando un no.
Tania mi infila una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi sorride dolcemente. Falsa! Sei falsa!
E di nuovo i miei istinti omicidi tornano a galla.
Prendo le mie gocce e vado in camera, mi infilo un paio di pantaloncini di jeans, pettino i miei lunghi capelli neri, lisci e morbidi come la seta e ancora in silenzio infilo le mie convers.
Li sento parlare sottovoce dalla sala da pranzo, mi accosto allo stipide della porta, cercando di catturare qualsiasi suono provenga dalle loro bocche. Una sola parola sbagliata, un solo doppio senso, un solo bisbiglio strano e li uccideró entrambi. Li sgozzeró con le mie mani, sul mio divano.
Prendo la lametta dal cassetto, mi avvicino più che posso.
"Lorenzo non prendere decisioni affrettate!"

"Ti sembrano decisioni affrettate? Stanotte era sveglia, con la faccia sopra alla mia e gli occhi spalancati, mi fissava in un modo inquietante..appena l'ho guardata negli occhi si è sdraiata lentamente girandosi di schiena come se nulla fosse, senza dire una parola..
A volte mi fa paura.."
Stringo la lametta tra le mani, tagliandomi le dita.
Il mio sussulto li fa girare di scatto entrambi, che mi guardano con aria preoccupata e sorpresa.
Mi giro e torno in camera mia, seduta sul letto.
Inizio a calmarmi, le gocce fanno effetto e Tania si avvicina a me con l'acqua ossigenata e una garza.
"Lorenzo?"
"È rimasto di la, tra poco andiamo d'accordo?"
Mi sembra tutto così strano, in fondo non ho niente che non va..
"Andiamo a fare shopping, mi sento bene oggi, non voglio andare dallo psichiatra."
"Non iniziare, dopo la seduta possiamo fare un giro se vuoi"
Non capisco davvero, non ho bisogno di uno strizzacervelli.

**

"Buongiorno dottor Ferri."
"Buongiorno Giada, vieni, sdraiati, come ti senti oggi?"
"Oh molto bene grazie, in effetti volevo chiederle di concludere qui le nostre sedute, non credo di averne alcun bisogno."
"Giada, non credo sia possibile interrompere i nostri incontri cosi. Hai subito un grave trauma psicologico. Dobbiamo solo accertarci che tu sia ancora totalmente capace di intendere e di volere"
Certo che ne sono capace, sto bene.
Il dottore è un tipo bizzarro, avrà un'età compresa tra i 50 e i 60, il doppio di me. Porta una camicia azzurra a righe verticali bianche, un largo pantalone grigio topo con i risvoltini, dio..i risvoltini no, ti supplico.
"Allora Giada, iniziamo."
Tocca con un dito la levetta della sveglia sulla scrivania, il ticchettio inizia ad entrarmi fastidiosamente nella testa da subito.
"Raccontami qualcosa dei tuoi, ti va?"
Annuisco e penso a mia madre, guardo il soffitto e chiudo gli occhi cercando di focalizzarla nella mente.
"Mia madre si chiama Elena, era una donna semplice, classica mentalità ottocentesca, come del resto era mio padre. Sa: sono stati sposati per 9 anni prima di concepire me. Mi hanno chiamato Caterine, perché era il personaggio principale del romanzo rosa preferito da mia madre.
Quando avevo 5 anni, mia madre è rimasta incinta, era molto contenta di quel pancione, ma io l'avevo capito: avevo capito che quel ragazzino avrebbe preso il mio posto in tutto.
Decisi di non farmi rubare la coroncina, l'unico modo era quello di sbarazzarmi di quell'inutile massa di carne che ingombrava lo spazio tra me e la mia mamma quando avevo voglia di abbracciarla. Erano troppo contenti per pernettermi di farlo, avrei dovuto fare tutto da sola, ogni cosa..
il dottore diceva di non fare sforzi, cosi io aspettavo che papà fosse a lavoro e cercavo di far cadere le cose più pesanti della casa.
Ma il pancione continuava a crescere, i miei sforzi erano inutili.
Mentre mamma stava riposando sul divano un giorno, presi una rincorsa dalla cucina e saltai sulla sua pancia, con le mie ginocchia, più forte che potevo.
Perse molto sangue, c'era sangue ovunque..
all'ospedale parlarono di un distacco di qualcosa, ero triste, perché la mia mamma stava male ed era colpa di quel coso che cresceva dentro di lei.
Ho aspettato che si addormentasse, papà era andato a prendere qualcosa da mangiare per noi, ho aperto il cassetto e ho preso una grande siringa.
L'ho stappata, l'ho impugnata come i cattivi impugnano un coltello nei film che guardava il mio papà.
Ho iniziato a colpire e colpire, non mi fermavo più, non avevo intenzione di fermarmi, la mamma urlava, chiedeva aiuto.. mi ha spinta via, lontana. Ho sbattuto la testa sul comodino accanto al suo letto, è così che sono morta."
Ho riaperto gli occhi, ho dato un'occhiata alla sveglia, sono passati gia 40 minuti dall'inizio della seduta, il ticchettio è finito 10 minuti fa, ma il dottore mi guarda sconvolto, con la penna in mano e il suo quadernino ancora completamente bianco.
"Oddio mi scusi, mi sono addormentata."
La sua espressione diventa ancora più stupita.
"Giada, dove sono i tuoi genitori?"
Questa domanda mi lascia perplessa, i miei sono morti entrambi, mia madre partorendo me e mio padre qualche anno dopo, un incidente stradale.
"Hai fratelli o sorelle?"
"No dottore, sono figlia unica."
"Hai contatti con qualcuno dei tuoi parenti?"
Ci penso un attimo, sono cresciuta nel convento con le suore, non ho mai conosciuto nessuno.
"Dovrei avere da qualche parte il numero della mia nonna materna, ma non so neppure se sia ancora viva, ma perché me lo chiede?"
"Ho bisogno di un riscontro per la prossima seduta, se tutto va bene, sarai libera di non venire più a farti strizzare il cervello da me" .
Mi sorride educatamente, porgendomi la mano con la sua stretta sicura.
Fuori nella sala dello studio, Lorenzo e Tania si alzano immediatamente, stringendo la sua mano a loro volta.
Contatteró mia nonna, per la prima volta nella mia vita avrò un contatto con qualcuno che abbia qualcosa di me.

L'altra meOnde histórias criam vida. Descubra agora