Incontro

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Entrammo di corsa a scuola e percorremmo rapidamente i corridoi quasi vuoti. Mentre ancora camminavo mi distrassi un attimo, e guardai incuriosita una locandina che avevano appeso sulla bacheca dove solitamente venivano messi annunci o proposte per varie attività a cui iscriversi. Appena vidi che si trattava di un laboratorio di teatro, sbattei contro qualcosa. O qualcuno. A quella vicinanza percepii subito un profumo inebriante.
"Oddio scusami, mi ero distratta e non ti avevo proprio visto, mi dispiace" dissi velocemente prima di abbassarmi a raccogliere i libri che mi erano scivolati dalla borsa nell'impatto. La persona contro la quale ero andata addosso si abbassó e mi porse uno dei libri che erano finiti sul pavimento. Notai che da sotto la manica della camicia spuntava un tatuaggio, ma non riuscii a capire di cosa si trattasse. Lo afferrai e incuriosita, sollevai lo sguardo. Era lui. Il ragazzo del pullman. Fui stregata dai suoi grandi occhi, due pozze d'acqua cristallina, messi ancora più in risalto dalle lunghe ciglia scure. Non seppi cosa dire, e mi sentii un po' intimidita. Ma nonostante ciò continuai a guardarlo negli occhi.
"ehm.. Grazie" dissi balbettando. Perché diamine balbettavo?!
"Prego, ma guarda dove vai la prossima volta, ragazzina." Rispose in un modo tutt'altro che gentile, e con un ghigno formatoglisi dopo aver pronunciato quello stupido appellativo.
No, aspetta.
Ragazzina? Ma chi si crede di essere?
" Non succederà più, stanne certo"
Annunciai con tono deciso e con uno sguardo infastidito.
Mi rialzai e lo oltrepassai sentendo i passi delle mie due amiche dietro di me.
"Peccato che sia tanto bello quanto cafone"
Constató Sophie e nessuno ebbe il tempo di darle ragione, poiché subito dopo Emily urlò
" Ferme! Ecco la classe di matematica!"
Controllai l'orologio che segnava le 8.07 e mi preparai psicologicamente alle spiacevoli conseguenze del nostro ritardo "Inaccettabile".
Emily bussò piano alla porta, anche lei intimorita, e poco dopo sentimmo un "avanti" pronunciato con tono duro.
"Ci scusi per il ritardo signorina Rottermayer.." Pronunciammo in coro.
"Bene, bene. Non fa niente, siete in ritardo di SOLO 7 minuti" disse con un sorriso malevolo. Qualcosa non andava.
"Stavo per spiegare un nuovo argomento, ma proprio quando siete arrivate voi, ho pensato che sarebbe stato meglio verificare che quelli prima siano entrati bene in quelle vostre testoline. Non vi pare sia un'OTTIMA idea?"
La odiavo con quelle sue domande retoriche meschine. La odiavo e basta.
Ci interrogò per tutta l'ora. E, inutile dire, che per quanto impegno avremmo mai potuto metterci, il suo scopo era quello di "punirci", e mise a tutte e tre un bellissimo quattro.
"Non la sopporto" sputai con rabbia, e quelle parole diedero il via ad una serie di insulti da parte delle mie amiche verso la "signorina" Rottermayer.
Dopo quella ci furono altre cinque ore di lezione e quando suonò l'ultima campanella della giornata non mi sentii più la testa. Non ero una che stava sempre a studiare, però ci tenevo alla mia media scolastica e cercavo di prendere sempre appunti e di impegnarmi come meglio potevo.
Uscii da scuola e aspettai le mie amiche per fare insieme un pezzo di strada.
Dopo cinque minuti di attesa, il mio malumore e soprattutto la mia voglia di pranzare erano alle stelle, perciò presi il cellulare e mandai un messaggio ad entrambe dicendo loro che ci saremmo sentite più tardi.
Dopo una breve camminata arrivai a casa.
Suonai alla porta, ma come sempre non mi aprì nessuno. Tirai fuori le chiavi dallo zaino ed entrai. Un profumo che amavo e che conoscevo bene, fu accolto dalle mie narici: Lasagne!!
Mi lavai le mani e giunsi in cucina dove per mia fortuna era già apparecchiato.
Mi sedei e senza pensarci troppo iniziai ad abbuffarmi di quella delizia.
"Jane sei tu?!"
"No, sono un malvivente affamato che ha pensato di venire a mangiare le tue lasagne.. Ma dai mamma ovvio che sono io!"
"Molto divertente tesoro. Come è andata a scuola?"
"Una meraviglia!" Dissi con tutto il sarcasmo di cui ero capace.
"Uh fantastico! Brava la mia bambina. Senti adesso devo uscire, torno questa sera per cena. Se ce la fai, prepara qualcosa. Fai la brava."
"Si, mamma" odiavo quando faceva così.
Uscì di casa e mi lasciò da sola con il mio piatto di lasagne mezzo vuoto.
Mi sentii così sola. Gli occhi iniziarono a pizzicarmi e la gola a bruciare. Non volevo piangere come una stupida. Però sarebbe stato meglio farlo quando non c'erano altri . Così nessuno si sarebbe, diciamo, preoccupato o mi avrebbe fatto domande scomode. Era stata una giornata brutta, certo non terribile, ma brutta. Quella strega che mi aveva dato quello schifo di voto, giusto per regalarmi la preoccupazione di recuperarlo(impresa impossibile) e lo scontro con quel ragazzo che aveva dato modo di riconfermare la mia innata goffaggine e che poi mi aveva chiamata "ragazzina"?! Odiavo anche lui, nonostante non lo conoscessi. Mi asciugai le lacrime che erano iniziate ad uscire ed incominciai a pensare. Avrei scoperto di più su quel tipo. Dovevo. Stava stuzzicando la mia curiosità in una maniera impressionante, e avrei rimediato.
Giunsi a quella conclusione, quando sentii il cellulare che vibrava: era un messaggio di Ethan.
Pensai che quella giornata poteva solo peggiorare, e forse non avevo tutti i torti.
"Jane, mi manchi. Quando ti deciderai a perdonarmi? Ti ho già chiesto scusa"
Mmh adoravo lasciare le persone nel dubbio.
" Non lo so, forse non sei stato molto convincente"
La risposta non tardó ad arrivare.
" Che cosa vuoi che faccia?! Senti, oggi sei libera? Ti va di vederci al Brook's per un caffè?"
Non avevo alcuna voglia di uscire di casa, ma pensai che forse sarebbe stato meglio se avessi accettato. E poi, non potevo lasciarlo in sospeso per ancora chissà quanto tempo, nonostante l'idea non mi dispiacesse poi così tanto.
Gli risposi che ci saremmo visti lì tra un'ora. Mi buttai momentaneamente sul letto e pensai a tutte le cose che avrei dovuto fare per il giorno dopo e mi sentii già male.
"Che palle" dissi ad alta voce.
Non ne ero sicura, ma dire parolacce mi faceva sentire meglio quando ero demoralizzata o arrabbiata. Mi avvicinai il computer che era sul comodino, e lo accesi. Selezionai una playlist a caso e feci partire la riproduzione delle canzoni che vi erano raccolte, regolando il volume al massimo. Era così bello farlo. Mi misi a saltare e a cantare con l'artista, senza però sapere le parole che pronunciava. Era un duetto niente male pensai. Poi mi venne da ridere sapendo che non era affatto vero. Abbassai leggermente e mi misi a fare i compiti di matematica. Avevo notato che era un metodo efficace ascoltare la musica per la risoluzione degli esercizi.
Dopo poco riuscii a finirli tutti, giusti fortunatamente. Guardai l'ora e mi accorsi che mancavano ancora 15 minuti. Per una ritardataria cronica come me, quell'arco di tempo era abbastanza lungo per fare un sacco di cose che mi venivano in mente sempre all'ultimo, e che puntualmente però mi facevano arrivare tardi, ovunque dovessi andare.
Andai in bagno e mi lavai i denti (fase ovviamente molto lunga). Poi mi cambiai la maglietta che, giustamente, puzzava di sudore dopo solo mezza giornata. Mi pettinai velocemente i capelli, ripassai il mascara e misi un po' di lucida labbra. Ma io non mettevo mai il lucida labbra , era ovvio il fatto che stessi solo perdendo tempo. A quell'ora Ethan doveva essere già arrivato. Mi affrettai ad uscire di casa e a passo svelto raggiunsi il Brook's, che per mia fortuna era poco affollato. Entrai all'interno della caffetteria, ma di Ethan nessuna traccia. Che strano. Si voleva far perdonare ed era più in ritardo di me, che ero a mia volta in ritardo. Mi sedetti imbronciata ed iniziai a guardare fuori. Gli alberi erano pieni di foglie colorate, sulla tonalità del giallo e dell'arancione, e molte avevano lasciato i rami a cui erano attaccate, per cadere al suolo, creando un improvvisato tappeto variopinto.
Mi mancava certo l'estate, ma apprezzavo molto l'autunno, con i suoi colori caldi nonostante il freddo e le sue piogge, che sembrano invitarti silenziosamente a stare in casa a leggere un buon libro. Mi risvegliai dai miei pensieri quando vidi Ethan arrivare. IN RITARDO. Ma nonostante ciò, sembrava camminare tranquillamente.
Ma che cavolo?
Si guardó intorno, cercandomi con lo sguardo.
"Ciao eh" gli dissi acida.
Appena sentì la mia voce, venì nella mia direzione e piegò le labbra in un sorriso. Aveva il braccio piegato dietro la schiena e la cosa mi incuriosii.
Lui si sedette sulla sedia vicino alla mia e si avvicinó per cercare di baciarmi la guancia, ma mi spostai.
"Sei in ritardo sai? E poi cos'hai dietro la schiena?"
Lui sbuffò, ma poi sorrise sapendo di essere riuscito a stimolare la mia curiosità.
"Jane scusami, lo so che sono in ritardo, ma c'era fila e io dovevo assolutamente prendere questi..."
Mi mostrò quello che aveva in mano e..
"Oddio non ci posso credere!!! Mi hai preso due biglietti per i SEAFRET!!Oddio grazie grazie!! Ti adoro!" Continuai a dire saltellando come una matta, e poi lo abbracciai presa dall'euforia. Gli avevo accennato che quel gruppo ultimamente mi aveva presa molto, ma non pensavo che mi avrebbe preso dei biglietti per il concerto. Ero senza parole.
"Posso considerarmi perdonato quindi?" Disse Ethan ridendo soddisfatto.
"Fammi pensare.. SI SI SI!" Lo baciai e pensai che in fondo, forse a me ci teneva. Era sempre stato gentile con me. Certo, a volte faceva un po' lo stronzo, ma chi non lo è in fondo?
Passammo il pomeriggio insieme tra chiacchiere e qualche bacio. Quando guardai l'orologio e vidi che era quasi ora di cena, mi riaccompagnò a casa.
Quando fummo alla porta e vide che stavo per prendere le chiavi e aprire la porta, mi bloccó il braccio.
"Grazie per avermi perdonato Jane. Sai che a te ci tengo vero?"
"Si lo so. Anche io a te e..forse..ammetto di aver un po' esagerato a prendermela così..però anche tu.." Sospirai e poi gli diedi un bacio veloce con l'intento di concludere quel momento di scuse riuscite male.
"Grazie di tutto, ci vediamo domani Ethan"
" A domani Jane" disse, ma sentii che avrebbe voluto aggiungere dell'altro. Lo ringraziai mentalmente per non averlo fatto.
Entrai in casa e mi catapultai in cucina, dal momento che avrei dovuto preparare io la cena e che mi restavano pochi minuti al rientro dei miei genitori.
Aprii il frigo, ma non c'era molto. Presi un'insalata confezionata e tre petti di pollo. Poi pensai di buttare giù anche della pasta. C'è dai, come si fa a non fare anche la pasta, è facile e veloce da preparare, e poi sazia con facilità. Insomma, ero una forte sostenitrice della pasta. Mi arrivó un messaggio da mia madre, presi il telefono e lessi sullo schermo: " tesoro, ho raggiunto un attimo tuo padre in studio, 10 minuti e arriviamo. Hai cucinato vero?"
'Meno male! Ancora 10 minuti..' Pensai.
Le risposi subito:" si si certo, a tra poco"
Pensai che avrei dovuto risponderle "si padrona" o cose del genere. A volte mi sentivo una specie di domestica. Non che avessi niente contro quest'ultime, però era fastidioso occuparsi sempre di certe cose. Forse ero io che mi lamentavo sempre un po' troppo di tutto, chissà. La mia famiglia era composta da me, mio padre e mia madre. Mio papà possedeva un paio di agenzie immobiliari, era un uomo buono e faceva sempre di tutto per vedermi felice.. Le volte che c'era. Ma avevo provato a non fargliene mai una colpa. Il suo lavoro lo assorbiva, e gli era sempre dispiaciuto il fatto di non passare abbastanza tempo con me. Ma le cose non erano mai cambiate. Mia madre invece, era una donna sempre solare, amava parlare ed era sempre comprensiva. Con me era un po' diverso: era si "amorevole" e tutto quanto, ma bastava che facessi qualcosa che non le andasse bene che cambiava completamente e si arrabbiava da morire, e la parola "comprensione" non esisteva più nel suo vocabolario. Non si poteva nemmeno provare a contraddirla, proprio non conveniva quando era arrabbiata. Ma nonostante ciò mi ero sempre confidata con lei, anche perché avevo sempre apprezzato i suoi consigli. Anche lei, come mio padre, era una donna abbastanza impegnata, una fotografa con molto talento. Veniva spesso contattata per scattare fotografie ai matrimoni e realizzare book fotografici alle modelle..
Ci aveva provato anche con me, ma non avevo mai contato sul fatto di poter diventare una modella, sia perché non ero chissà quanto alta o magra, sia perché avevo sempre trovato terribilmente noioso il fatto di rimanere davanti ad un obbiettivo per ore, preoccupandomi delle posizioni e delle espressioni da assumere per ottenere i risultati migliori.
Nonostante ció era davvero molto brava nel suo lavoro e sapevo quanto lo amasse. Ne erano una prova le innumerevoli fotografie sparse per tutta la casa.
Trascorso il tempo necessario, scolai la pasta e la condii con del formaggio e poi, tanto per, ci aggiunsi una spruzzata di pepe. Proprio quando avevo servito i piatti in tavola, sentii la porta aprirsi e le voci dei miei genitori che mi salutavano.
Durante la cena parlarono prevalentemente tra di loro, se non qualche domanda che mi rivolsero riguardo alla mia giornata.
Non avevo molta voglia di parlare, e le mie brevi risposte lo fecero capire. Sparecchiai velocemente la tavola, e finalmente andai in camera mia. Misi il mio pigiama sexy (un pigiamone blu con disegnato il muso gigante di una mucca, che si estendeva su tutta la zona della pancia) e lessi velocemente delle ultime cose di letteratura, la mia materia preferita.
Poi, finalmente, mi sedetti sulla panca attaccata alla grande finestra della mia camera, e continuai a leggere "Il giovane Holden" di Salinger. Era un libro che mi piaceva molto e lo avevo letto abbastanza volte, per poter dire di conoscerlo a memoria. Distolsi un attimo lo sguardo dalle pagine, e lo portai a guardare fuori. Era già molto buio alle dieci di sera. Tutti i lampioni erano accesi, ed emanavano una leggera luce gialla, che permetteva di vedere il minimo indispensabile della lunga via. Non c'era quasi nessuno in giro. Dopotutto era un lunedì sera, cosa mi aspettavo?
Notai anche che le luci delle case erano quasi tutte spente. Ad un tratto iniziai a sentirmi molto stanca, e mi chiesi se non fosse più tardi e se l'orologio non fosse rimasto indietro. Non ci diedi troppo peso. Sbadigliai mentre continuavo a guardare fuori e iniziai a sentire gli occhi farsi pesanti. Ad un tratto, vidi una figura muoversi nell'oscurità, dall'altra parte della strada. Di colpo, si fermò e si guardó intorno, (forse in cerca di qualcosa o di qualcuno)fino a guardare nella mia direzione. Poi si rivoltó e riprese a camminare, più veloce di prima, scomparendo nell'oscurità.
A quel punto non mi sforzai più, lasciai che i miei occhi si chiudessero del tutto e caddi in un sonno profondo.

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