"I cerchi dell'amicizia"

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"I cerchi! I cerchi dell'acqua! Come riesci a farli?".

Lei rise: "vuoi provare?". Io annuii, sentivo le gote farsi sempre più calde, probabilmente avevo preso lo stesso colorito dei pomodori maturi. La bimba si avvicinò, prese da terra un sasso dopo averlo scelto con cura e me lo porse. "Ecco, tieni. Devi lanciarlo come se volessi accarezzare la superficie dell'acqua" mi spiegò. Io annuii, provai, ma il sassolino affondò nell'acqua con un secco tonfo. La guardai da basso, lei sorrise, prese un altro sasso e me lo porse nuovamente. "Riprova" mi disse, ma anche quella volta i cerchi d'acqua non apparvero. Sconsolato mi voltai verso di lei: "Scusami, ma non ci riesco. Non sono bravo con queste cose" cercai di sdrammatizzare. In verità mi sentivo terribilmente in imbarazzo, mi sentivo inferiore ed era una sensazione che non mi piaceva.

"Guarda" disse lei prendendo un altro sasso, "devi fare così!" concluse lanciandolo e la magia si ripeté, una, due, tre... i rintocchi che il sasso fece sulla superficie furono più di dieci e un grande passaggio di cerchi si aprì sull'acqua.

"Sei davvero brava!" mi lasciai scappare entusiasto, lei mi sorrise nuovamente.

Provai e riprovai quel pomeriggio fino allo sfinimento e, quando alla fine riuscii, a far fare un balzo al sasso, ero felicissimo. Entrambi gridammo di gioia, era la prima volta che mi divertivo da quando ero arrivato in quel paesino di campagna dove le case sono divise da ettari ed ettari di terreno e non s'incontra mai nessuno. "Senti possiamo giocare anche domani?" le chiesi eccitato. Lei annuì sorridente: "Mi troverai qui" disse. Io raccolsi in tutta fretta le mie cose e corsi a casa convinto che sarei stato strigliato da mio nonno per il ritardo, ma non m'importava molto, finalmente avevo un amico con cui giocare, non avevo più bisogno della canna da pesca, mi bastava stare con lei. Il mese di ferie trascorse più in fretta di quanto immaginassi, da quando l'avevo incontrata, passavamo le nostre giornate in riva allo stagno, mangiavamo il cestino che ci preparava la nonna e parlavamo delle cose più strane. Ero felice di poter parlare con qualcuno e ben presto diventai un vero asso nel fare i cerchi sull'acqua tant'è vero che avevamo preso l'abitudine di sfidarci anche per ore intere, senza mai stancarci. Era l'estate più bella dei miei dieci anni.

"Sai, domani torno a casa" annunciai in un momento di pausa. Lei non mi guardò neanche, ma continuava a fissare la superficie dell'acqua, mentre un leggero vento di fine agosto le scompigliava i capelli.

"Ecco..." mormorai imbarazzato, "...tornerò anche l'anno prossimo, sai? Potremo ancora giocare insieme se ti va oppure potremo scriverci delle lettere o telefonarci. Tu ce l'hai il telefono a casa?".

Lei fece cenno di no col capo.

"Allora ti scriverò!" annunciai deciso. Lei chiuse gli occhi sorridendo appena: "Mi spiace, ma non posso ricevere corrispondenza" rispose. Quella sua risposta, mi fece salire su una tristezza infinita. Sembrava che ogni mio piccolo sforzo, ricadeva nell'acqua dissipandosi come quei magici cerchi d'acqua che si aprivano sulla superficie per poi disperdersi.

"Ti aspetterò" disse volgendo finalmente lo sguardo verso di me. Ricordo che pensai che era davvero bellissima in quel momento. I capelli appena mossi, la pelle bianca, le guance rosa e gli occhi neri come la notte. Era la bambina più bella che avessi mai incontrato nella mia vita e l'idea che lei mi avrebbe aspettato, mi riempì il cuore di gioia. Annuii sorridente, mi alzai ed iniziai ad incamminarmi. Feci solo pochi passi, quando mi ricordai che non mi aveva ancora detto il suo nome, mi voltai, ma lei non c'era già più. Scossi il capo come per scacciare quel senso di vuoto che percepivo per la sua assenza e corsi a casa.

Entrai in tutta fretta cercando mia nonna che trovai in cucina intenta a ricamare, mentre mio nonno era seduto vicino a lei con un vecchio album di foto sulle ginocchia. "Nonna, come si chiama la figlia dei vicini?" chiesi prendendo un dolcetto dalla credenza. Notai lo scambio di sguardi che si lanciarono e rimasi in silenzio in attesa che parlassero. "Perché questa domanda?" chiese.

Esitai un istante e poi, senza che me ne rendessi conto, iniziai a raccontare ai miei nonni tutto quello che era successo. Le parole mi uscivano senza che potessi far nulla per fermale, come se stessi intonando un canto di cui solo io conoscevo le parole. Mia nonna guardò il nonno che prese una foto dall'album che stava guardando e si alzò diretto verso di me. Anche se la foto era in bianco e nero e leggermente ingiallita dal tempo, la riconobbi subito, non potevo sbagliarmi, perché il mio cuore il mio cuore ebbe un sussulto non appena la vidi: la mia amica di giochi era in piedi sorridente in mezzo ad altri bambini, una decina almeno, tutti più o meno della stessa età. "E' lei!" esclamai. Lui sorrise tristemente: "Tieni" mi disse porgendomi la foto io la voltai e vidi che dietro c'erano poche righe scritte a mano: Estate 1952, colonia estiva. Foto di gruppo.

"L'estate del '52 fu un'estate tristemente famosa" prese a raccontare il nonno, "quell'anno un terribile maremoto inondò le campagne e molti bambini persero la vita, di quei bambini della foto, mi salvai soltanto io ed un altro bambino, quello col cappello da baseball, lo vedi?". Io annuii meccanicamente, pian piano, nella mia testa, si stava facendo strada la consapevolezza di aver assistito a qualcosa di straordinario, qualcosa a cui nessuno avrebbe creduto. "Nonno, ma io ho visto quella bambina!" scattai.

Lui mi sorrise dolcemente: "Lo so, lo so. Anche tuo padre la vide prima di te, lei è sempre li. Lo stagno è la sua casa perché è lì che è morta. Sotto quelle acque, c'era la sua casa che fu travolta. Si dice che lei usi i cerchi d'acqua per comunicare con i suoi cari, ma è solo una credenza" concluse dandomi una piccola pacca sulla spalla. Quella sera, la trascorsi a chiacchierare con mio nonno di tante cose. Ora non vedevo più in lui un uomo duro e taciturno, ma solo una persona che la vita aveva messo a dura prova, ma che alla fine, ne era uscito vincitore. L'indomani, prima della partenza, portai un fiore sul ceppo vicino allo stagno, presi una pietra piatta e la lancia facendole fare diversi salti facendo apparire i cerchi sulla superficie.

"Grazie di tutto!" urlai a squarcia gola, "ci vediamo l'anno prossimo!" conclusi ed in quel momento le punte degli alberi presero ad ondeggiare trasportati dal vento ed una voce delicata mi rispose: "Ti aspetterò".

Raynor's Hall Short StoryWhere stories live. Discover now