Tema della storia: Ponte.

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"Il ponte del destino"


Fin da piccola, ho sempre avuto un carattere ribelle, preferivo correre tra i prati alla ricerca di animali selvatici, piuttosto che seguire una di quelle noiose lezioni sul come si comporta una futura regina. Inutile dire che questa mia estrema vivacità era una vera spina nel fianco per i servitori che erano costretti ad inseguirmi ovunque. Fu proprio durante una delle mie tante fughe dal castello che incontrai lui, Ermett Darthall.

Era li, dall'altra sponda del fiume, ai piedi del ponte che un tempo veniva utilizzato per il transito dei carri merci. Perché uso il passato? Perché quel ponte é ormai decadente, si dice che non reggerebbe neanche il peso di un bambino, ma essendo li da tempo immemorabile, nessuno ha il coraggio di abbatterlo.
"Ehi!!" urlò Ermett dall'altra parte del ponte. Il fiume che ci divideva non era molto grande ma d'inverno, quando arrivavano le grandi piogge, si gonfiava di una violenza inaudita trascinando a valle con se qualsiasi cosa vi finisse dentro. Rimasi in silenzio, mentre il ragazzino che pareva avere la mia stessa età, si sbracciava sorridente guardando dalla mia parte. Avevo timore degli estranei, non avevo mai incontrato nessuno che non fosse del castello, arrossii e mi nascosi dietro uno dei piloni che sorreggevano il vecchio ponte di legno.
"Ciao, mi chiamo Ermett e tu?" mi urlò il ragazzino.
"Enelide" risposi restando nascosta. Avevo il batticuore, non conoscevo ancora il significato della parola amore a quei tempi, ma col senno di poi, sono sicura che il sentimento che provai quella volta era la cosa che più le somigliava. Rimasi in silenzio all'ombra delle travi, il viso rosso e le mani strette a pugno sul vestito di cotone bianco con nastri azzurri che mia madre mi aveva costretto ad indossare quella mattina.
"Posso chiamarti Nel?" sentii sussurrarmi in uno orecchio e per lo spavento saltai in avanti finendo distesa per terra. Ermett rise come un pazzo ed il suono della sue risate fu così allegro da fare scoppiare a ridere anche a me. Quel simpatico bambino dai capelli argentati e dagli occhi dello stesso colore del cielo, si sdraio accanto a me annusando profondamente l'aria, non capivo come mai, ma sentivo che era speciale.
"Mi presento di nuovo, mi chiamo Ermett, ma tu puoi chiamarmi Mett se vuoi, vivo nel villaggio oltre il ponte e...". s'interruppe sentendo delle voci in lontananza. "Mi hanno già trovato, cavolo!!" sbuffò, "devo andare, ti aspetto domani qui, ok?" mi urlò tuffandosi nelle acque gelide per riemergere dopo pochi secondi dall'altra parte. "Ti aspetto, eh?!" sorrise sbracciandosi, poi corse via portando con se un frammento del mio giovane cuore. Tornai al castello e, come tutti i giorni, fui sgridata da mia madre e dalla tata, ma il mio unico pensiero era sperare che la notte passasse in fretta per poter nuovamente rivedere Mett.
L'indomani mi alzai di fretta e corsi verso al vecchio ponte. Questo rito lo ripetei per giorni, poi i giorni divennero mesi ed infine anni. Non mi stancavo mai di stare con Mett, aveva sempre qualcosa di cui parlare, mi raccontava di storie fantastiche con cavalieri in armature scintillanti, elfi e fate dei boschi, mi narrava delle leggende della sua terra e mi raccontava di tutte le volte che la faceva in barba ai suoi genitori per evitare il lavoro nei campi in modo da poter venire da me. Io ridevo ed ascoltavo sempre con attenzione i suoi racconti e, mentre il tempo trascorreva veloce, i miei sentimenti per lui crescevano di giorno in giorno sempre più. L'estate la passavamo in riva al fiume a giocare con l'acqua, mentre l'inverno, quando il fiume diventava pericoloso, stavamo seduti al riparo delle possenti travi del vecchio ponte che per noi era ormai diventato il nostro posto segreto. Mett aveva pensato a tutto! Portava coperte e zuppe calde per poterci scaldare ed aveva fissato una fune alle due estremità del fiume in modo da poterlo attraversare in sicurezza anche quando questo s'ingrossava. Entrambi sapevamo che era pericoloso attraversare il ponte e nessuno dei due aveva mai provato a farlo, neanche per gioco.
"Nel?" sussurrò quel pomeriggio con la coperta fin sopra il naso arrossato dal freddo. "Tu non mi racconti mai nulla di te, eppure lo capito sai? Noi due apparteniamo a due ceti sociali diversi, è evidente". Lo fissai, il suo sguardo era triste, come se si stesse preparando al peggio, io non gli risposi subito, mi avvicinai di più a lui e posai il capo sulla sua spalla indurita dal lavoro nei campi. "Hai ragione, noi siamo diversi ed apparteniamo a due ceti sociali diversi, io sono una principessa e futura regina del regno di Soland e tu un contadino delle terre limitrofe di Corven..." mormorai e lo sentii sospirare, "però..." alzai gli occhi per vederlo dal basso verso l'alto, ma continuando a tenere la testa appoggiata a lui, " qui dentro siamo uguali" sorrisi toccandogli il petto ad altezza del cuore. Lui ebbe un sussulto, poi appoggiò il suo capo sul mio in silenzio e lasciammo che il suono emesso dalle acque del fiume ci cullasse.
Col senno di poi, se ripenso a quel giorno, non l'avrei lasciato andare a casa, ma l'avrei tenuto stretto a me, se solo avessi saputo, gli avrei dichiarato quel sentimento che mi portavo dietro ormai da 5 anni e poi l'avrei baciato come fanno gli adulti. Rientrai a casa e andai sedermi sul davanzale della finestra della mia stanza da cui potevo vedere il piccolo villaggio dove abitava il mio amato e fu in quel momento che notai degli strani bagliori. Il villaggio stava andando a fuoco. Corsi ad allertare le guardie e mio padre, ma nessuno mosse un dito. "Sono quelli di Tarks, noi non centriamo con la loro disputa, il nostro regno è e resterà neutrale" furono queste le parole di mio padre che vi fecero raggelare il sangue. Senza perdere un minuto, corsi fuori incurante delle grida dei miei genitori e della servitù. Corsi, corsi, fino a non avere più fiato. Arrivai al vecchio ponte, ma la fune che aveva attaccato Mett era stata portata via dalla corrente. Nonostante fossi distante, sentivo le urla di morte provenire dal villaggio, poi lo vidi emergere da una macchia di cespugli col viso sporco di sangue. "Mett!" lo chiamai e senza pensarci mezzo secondo mi precipitai lungo il ponte le cui assi scricchiolarono sotto il mio peso, sentivo che mi urlava qualcosa, ma non riuscivo a capire, l'unica cosa che m'importava, era poterlo stringere fra le mie braccia ancora una volta, poi il tonfo secco e l'acqua gelida.
Quando ripresi i sensi, ero nel mio letto, il rumore della guerra oltre il fiume era appena udibile mentre la voce di mia madre, rotta dall'emozione, mi rassicurava sul fatto che era tutto ok. Ero sfinita, ma riuscii a pronunciare comunque il suo nome: "Er... mett" sussurrai. Ricordo gli occhi di mia madre riempirsi di lacrime mentre mi raccontava cosa fosse successo. Avevo attraversato il vecchio ponte, ma come c'era d'aspettarsi, esso crollò sotto al mio peso ed io finii in acqua. Mett si era gettato nelle gelide acque per salvarmi, ma non era riuscito a salvare se stesso e fu portato via dalla corrente. Ingoiai le lacrime, non volevo farmi vedere debole davanti a mia madre, poi mi riaddormentai esausta. Passò un mese da quella tragica notte, nonostante il mio corpo era sano, le ferite del mio cuore erano ancora grondanti di sangue. Il pensiero di essere stata la causa della sua morte non mi dava pace, ma non c'era giorno che non andassi ad aspettarlo sul greto del fiume, come facevo una volta. Quello era il nostro posto speciale e quel ponte la culla che aveva visto nascere il nostro amore. "Mett?" sussurrai cadendo sulle ginocchia in lacrime dinnanzi ai resti del ponte.
"Nel?" mi sentii chiamare. Sgranai gli occhi incredula, mi voltai e vidi i miei occhi neri riflessi in un paio di occhi azzurri come il cielo, degli occhi che io conoscevo molto bene. Sorrisi mentre le lacrime continuavano a rigarmi il viso con insistenza e mi buttai tra le sue braccia consapevole che non lo avrei lasciato andare mai più.

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