Capitolo 21 - Salvata 🌹

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«No!» l'urlo di Tea a quel gesto fu così forte che sperò di avergli almeno spaccato i timpani. L'uomo, però, si adagiò su di lei ridendo in modo sguaiato; il suo volto era così vicino che Tea riuscì a scorgere ogni particolare. Era rugoso, gli occhi leggermente incavati e sentiva su di sè il tocco delle sue mani altrettanto rugose e violente. Ormai piangeva senza nemmeno accorgerse, voleva solo che quell'essere si levasse e la lasciasse in pace. Quando poi avvertì la sua lingua sul collo, represse un conato di vomito e presa dalla paura per ciò che di lì a poco sarebbe successo, cominciò a gridare aiuto con tutto il fiato che aveva in gola.

***

Mark li aveva mandati tutti via e, dopo aver legato l'ebrea affinché non cercasse di scappare ancora, si era rifugiato nella sua stanza a ripulire la canna del suo fucile. Il gesto di Tea lo aveva spiazzato e ancor di più lo avevano spiazzato le sue stesse parole e il suo stesso comportamento: non l'aveva punita, non c'era riuscito o, meglio, non l'aveva punita come avrebbe fatto di solito in situazioni del genere.
Anche perché si ritrovò a pensare che se fosse stato nella sua stessa situazione, probabilmente avrebbe cercato già di scappare mille volte, rischiando di farsi uccidere. Ed era proprio questo che lo aveva fatto innervosire più di tutto: se Tea avesse provato a scappare di nuovo in sua assenza, sicuramente sarebbe morta e il pensiero di lei priva di vita gli fece venire i brividi.

Scacciò dalla testa quei pensieri e si promise che le avrebbe fatto capire di non farlo mai più, anche a costo di usare le brutte maniere.

Quando poi finì di caricare l'arma, sentì una presenza dietro di sè e una mano femminile scendere dalla spalla fino al petto e non c'era bisogno di voltarsi per capire chi fosse.

«Come sei entrata?» chiese ad Hanna con voce indifferente.

«La porta era aperta» rispose lei, appoggiando la sua guancia a quella di lui.

«Non puoi entrare come ti pare e piace e poi ti avevo mandata via» lui allontanò la mano dalla sua spalla, si alzò e si voltò indicandole l'uscita.

«Neanche se fossi qui per farti un regalo?» chiese lei, sbattendo gli occhi come una civetta.

«Conosco il tuo genere di regali, Hanna, e ti assicuro che adesso non sono proprio dell'umore adatto» Mark era abbastanza irritato in quel momento e non sopportava nemmeno la presenza di quella donna.

«Tutta colpa di quell'ebrea» cominciò a dire Hanna, riuscendo a catturare l'attenzione di Mark «se non ti avesse fatto saltare i nervi adesso saresti più che disponibile...» continuò lei, sempre allusiva.

Mark la ignorò e aprì la porta, accompagnandola fuori dalla stanza.
Hanna, però, prima di andare via, gli rivolse ancora la parola.

«Sei sicuro? Ho portato con me anche il grassone per essere sicura di non avere di nuovo l'ebrea tra i piedi...» concluse con un mezzo sorriso.

Mark invece le puntò gli occhi addosso scioccato.

«Cosa diamine vuoi dire?» chiese, come se avesse sbagliato a sentire.

«Beh... Diciamo che era curioso di sapere come sono le ebree. Non è un tipo schizzinoso a quanto pare.» rispose lei, accarezzandogli il colletto della camicia.

«Come vi siete permessi di entrare in casa mia?!» gridò Mark, furioso. Era incazzato per l'intrusione ma ancor di più lo era perché quell'essere aveva osato mettere gli occhi su Tea.

La rosa di AuschwitzOnde histórias criam vida. Descubra agora