Capitolo 11 - Nisha e Chris 🌹

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"Mi assegnarono all’assistenza sanitaria delle baracche del settore 12. Ogni giorno cercavo di fare quello che avevo imparato, cercavo di alleviare il dolore di chi stremato arrivava davanti a me. Non avevo strumenti, non avevo medicine, assistevo inerme alla morte di quello che restava di esseri umani che fino a poco tempo prima avevano camminato liberi nel mondo.
Guardavo i loro occhi farsi opachi, il loro respiro diventare lieve, ascoltavo le loro ultime parole, di dolore, d’amore verso i propri cari, di speranza. Accarezzavo i loro volti scheletrici, chiedevo il loro nome, cercando di non farli sentire soli più di quello che fossero stati in questo luogo estraneo, ostile, in cui erano costretti a vivere e che sarebbe stata la loro tomba, forse la mia."

Testimonianza di Nyiszli Miklos, sopravvissuto ad Auschwitz e Mauthausen.

Quando Mark le lasciò sole, la donna fece come le era stato ordinato e condusse Tea in quella che era stata indicata come sua stanza

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Quando Mark le lasciò sole, la donna fece come le era stato ordinato e condusse Tea in quella che era stata indicata come sua stanza. Era piccola, spoglia e trascurata. Pareti bianche e pavimento di legno su cui c'era un materasso e coperta color blu. Non era il massimo, ma sembrava molto più accogliente delle cuccette strette e scomode su cui erano obbligate a dormire nel campo.

«Devi stare qui fino a nuovo ordine.» Le disse quella donna, con voce stanca mentre ritornava verso la porta.

«Non te ne andare.» La pregó Tea, cercando la compagnia di qualcuno che avesse un viso gentile e, nonostante l'evidente stanchezza, quella donna sembrava esserlo.

«Non posso, devo cucinare e poi questa è la tua stanza e io non posso starci.» Le spiegò allora lei.

«Che vuol dire? Non dormirò più al campo?» Chiese, quindi, Tea. Prima che la donna potesse rispondere, però, dei passi veloci e ansiosi si udirono dal corridoio finché la figura snella di Nisha non comparve sulla porta.

«Tea! Come stai?» la voce squillante della sinta le parve quasi un sogno.

«Cosa ci fai qui?» le rispose Tea con stupore. Le pareva tutto così confuso. Cosa era successo e perché Nisha si trovava nella dimora del Comandante ed era così a suo agio?

«Poi ti spiegherò tutto... ma appena ho saputo che eri qui da Mark ho pregato Chris di portarmi da te.» Le rispose Nisha, con un largo sorriso, dopo che la cuoca le ebbe lasciate sole. Tea, invece, sembró ancora più confusa.

«Mark? E... Chris?» ripetette i nomi dei due soldati, sconvolta dalla disinvoltura con cui l'altra li avesse nominati. Sembró li conoscesse da sempre.

«Sì, diciamo che...» Nisha stava per risponderle e spiegarle ma fu interrotta involontariamente da Chris.

«Eccomi.» disse semplicemente, annunciando la sua presenza. La reazione di Nisha fu un lungo sguardo adorante nei confronti di quel nazista e  che a Tea non sfuggì.

«Ma, insomma, posso sapere cosa succede?» Chiese ancora Tea, che non riusciva a spiegarsi quegli atteggiamenti così amichevoli. Sì, anche lei aveva notato quanto fosse più tollerante e diverso rispetto agli altri, ma sicuramente un certo effetto glielo faceva ancora. Nisha invece sembrava totalmente tranquilla e in confidenza con lui e la cosa era molto strana... soprattutto dopo aver visto che lui le aveva poggiato una mano sulla spalla.
Allora Nisha, di fronte al visino supplichevole dell'ebrea, le spiegò tutto.
Le disse che il soldato lì presente si chiamava Christoph Meier, che prima dello scoppio della guerra, della loro persecuzione e di tutto quello scempio, erano stati molto amici. Le raccontó che lei e altri nomadi, per molti anni, erano stati accampati proprio nella città di Christoph e Mark, a Düsseldorf, e da bambini si ritrovavano spesso a giocare insieme. Crescendo lei e Chris avevano capito di non essere solo semplici amici ma di amarsi incondizionatamente.
Quando poi, qualche anno dopo, venne arrestata insieme a tutta la sua famiglia, nonostante sapesse che il suo ragazzo fosse stato costretto ad indossare la divisa nazista, trovarselo nel campo come suo aguzzino fu comunque uno shock. Chris però aveva sempre cercato di rendere quella prigionia un po' meno dolorosa per lei, inserendola nei gruppi di lavoro meno faticosi o dandole, di nascosto, qualche razione di cibo in più.

La rosa di AuschwitzWhere stories live. Discover now