Capitolo nove. Incendio colossale

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Si era passata il pettine più volte nei suoi capelli lisci e color grano, guardandosi allo specchio. Si era assicurata che non ne fosse rimasto attaccato nemmeno un capello e guardò la sua amica Hannah attraverso lo specchio, a fianco a lei, che si truccava. Si metteva il rossetto e apriva e schiudeva le labbra. Era così perfetta. Si voltò di nuovo alla sua immagine per capire che non era affatto come lei.
«Hannah?», le aveva avvicinato il pettine, «Grazie».
Hannah le aveva sorriso, riprendendo il pettine e infilandolo nel suo beauty case. «Stai così bene, Sam», le aveva passato le mani sulle braccia, per poi sistemarle la camicia sul colletto. «Adesso devo andare a lezione. Ci vediamo dopo». Aveva ripreso tutte le se cose ed era uscita dal bagno.
Samantha aveva preso in mano i libri che aveva appoggiato sul lavabo ed era uscita dal bagno anche lei, mentre due studentesse entravano, passandole accanto senza accorgersene. Ci era abituata. Solo Hannah si accorgeva di lei. All'uscita da scuola, le aveva detto che si sarebbero riviste in biblioteca di pomeriggio e Samantha si era appoggiata sul muretto per aspettare che la passassero a prendere. Aveva visto tutti i ragazzini e le ragazzine andarsene, persa fra i suoi pensieri. La professoressa stava per uscire, era l'ultima, ma l'aveva vista e si era fermata:
«Samantha? Cosa fai ancora qui? Stai aspettando qualcuno?».
«No», aveva scosso la testa, sistemando lo zainetto sulle spalle, «Sto andando a casa».
Si era avviata da sola, non era certo una novità. Aspettava e, quando era stanca di farlo, tornava a casa. Poi si chiudeva nella sua stanza e ci restava finché non era arrivata l'ora di andare in biblioteca e raggiungere Hannah. Fino a quando un giorno Hannah non c'era più ed era rimasta solo lei.
«La tua amica Hannah?», aveva sbottato la segretaria a scuola, per poi passarsi la mano sulla fronte, ricordandosi. «Ah, sì, ho capito: Hannah! È vero che ha sempre te appresso... Non ti avevo riconosciuta! Comunque no, oggi non è venuta a scuola e abbiamo già avvertito la famiglia: torna in classe».
Lei se lo sentiva, se lo sentiva dentro ed era diventata rossa dalla voglia di gridare: gliel'avevano ammazzata. L'uomo di cui lei si era fidata l'aveva uccisa.
Hannah era morta e lei era rimasta sola con se stessa, una se stessa che non era abbastanza fino a quando, anni più tardi, decise di essere Root. 

«Quello è un osso duro», sbuffò Fusco, scuotendo la testa, «L'ho torchiato per tutta la sera, ieri, e non c'è stato niente da fare. Ha ammesso di conoscere Lars, dice che è un brav'uomo, che sta ricominciando una nuova vita, bla bla, tutte fesserie... Intanto ha richiesto un avvocato», precisò, sedendo più a fondo sulla sedia davanti alla sua scrivania, «Verrà fra poco. È una gran seccatura».
Root scrollò di spalle, poggiata accanto allo schermo del pc. «Ho bisogno di parlarci un attimo».
«Non puoi», sbottò, «Insomma, hai sentito cos'ho detto? Ha richiesto un avvocato e non possiamo fargli domande prima del suo arrivo: siamo con le spalle al muro».
«Hai ragione: sarebbe così se fossi una vera poliziotta», gli fece l'occhiolino. Si allontanò e lui restò senza fiato, decidendo di lasciar perdere. Root camminò spedita verso la sala con le celle dei detenuti in attesa di sistemazione e lui, appena la vide, si alzò, mostrando un sorrisetto soddisfatto.
«Il tuo amico non ti ha aggiornato? Voglio un avvocato, principessa, non dirò più nulla se non in sua presenza».
«E funziona, amico mio... con i veri poliziotti, s'intende».
Daryl Boscoferro si avvicinò alle sbarre, annuendo. «Finalmente! Mostri la tua vera faccia, Root», sibilò. Alzò gli occhi e guardò dritto la telecamera a poco dalla sua cella, indicandogliela con un cenno della testa: «Lo sa tutto il distretto? Ti fai riprendere mentre lo dici così tranquillamente?».
«Non preoccuparti della telecamera», scosse la testa, mettendo le mani nelle tasche dei jeans. «Sul tuo computer ho trovato una lunga lista di nomi. Ho rimandato a casa i Marshall Mason inattivi: spero non ti dispiaccia».
Lui alzò lo sguardo al soffitto e gonfiò le guance, avvicinandosi ancora per appoggiarsi alle sbarre, stringendole. Sbuffò. «Sapevo che avrei dovuto trasferirli da un'altra parte. È che tutto questo non sta andando affatto come mi aspettavo quando mi hai contattato. Ad ogni modo, sono curioso di capire come ti sei mossa a riguardo di quelli attivi».
«Ci sto pensando».
«Devi pensare in fretta, Root. Il tempo sta per scadere: sanno dove sono e sanno dove sei tu. A meno che non intenda scappare ancora, non ti resta che affrontare ciò che avverrà! Verranno a prenderti ma, prima di ucciderti», sorrise, scuotendo brevemente la testa, «e sai che Lars lo vuole con tutte le sue forze, ti porteranno via tutto ciò che hai».
«Non ho molto: ne rimarrà deluso».
«Si accontenterà», scrollò di spalle. «Sai a cosa mi riferisco. Sì che lo sai».
Root deglutì, forzando un sorriso. Certo che lo sapeva. Tempo fa non avrebbe avuto paura di incorrere a simili minacce, non aveva nulla se non se stessa, ma ora era diverso. Aveva qualcosa per cui era finalmente felice di vivere, aveva lottato per proteggere le persone a lei care, era cambiata, e di una cosa era certa: non avrebbe permesso a nessuno, e sicuramente non per un errore del suo passato, di fare del male a Shaw.
La porta della sala si aprì d'improvviso portando con sé una donna, interrompendo i suoi pensieri. Sicura della sua valigetta e dai passi pesanti e incisivi, la donna si frappose fra loro, impedendo a Root di vedere Boscoferro. «Basta così», tuonò, per poi mostrarle la mano per stringergliela, «Detective Dawson, immagino. Il mio cliente ha parlato fin troppo: non sono stati rispettati i suoi diritti».
«Non importa, avevo finito».
Se ne andò.
Per un attimo, l'idea di scappare ancora era diventata particolarmente allettante: avrebbe portato Shaw e Bear in un'altra città, avrebbero indossato i panni di qualcun altro, una nuova identità, un nuovo lavoro, una nuova casa, forse. Ma Lars non si sarebbe arrestato e i Marshall Mason l'avrebbero trovata ancora, e di nuovo. Lui aveva soldi e risentimento. Lei invece cos'aveva? Lei e Shaw insieme potevano farcela, ma si sentiva sicura a rischiare? Intanto, stava già formulando un piano alternativo...
«Puoi farmi avere l'indirizzo?», domandò con un mormorio, tornando verso Fusco. Udì la Macchina risponderle ma, come al solito, le diede problemi e udì un fischio terribile, stringendo i denti e passandosi una mano sulla fronte. Poggiò una mano su una spalla dell'amico e per poco lui non saltò dalla sedia, reggendosi poi il petto per lo spavento. «Lionel, devi fare una cosa per me».
Lui la fissò per un breve istante prima di cedere. «Devono spararmi addosso?».
Si abbassò sulla scrivania e prese un foglietto e una penna. «Devi andare qui per prendere un pacco. Nessuno ti sparerà addosso, te lo prometto», gli sorrise.
Lui sbuffò, roteando gli occhi e prendendo il foglietto in mano, dandogli un'occhiata: Root gli sorrise e lui, per leggere, strinse gli occhi, con la bocca aperta. «Un pacco? Mi hai preso per il tuo fattorino?».
«È molto importante per me».
«E va bene», sbottò, piegando il foglietto e infilandoselo in una tasca. «Ma non ci andrò prima di aver finito il turno».
«Grazie, grazie! Sei un tesoro», gli baciò una guancia e Fusco, diventato rosso, la scacciò:
«Sì, vai, vai, ci guardano tutti», se la staccò di dosso e lei prese passo per andarsene. «Te l'ho detto: non ci andrò prima di aver finito il turno».
«Te ne sarò riconoscente», gli gridò.
«Prova a non morire», ribatté ad alta voce e molti si girarono. «Mi basta questo», sussurrò poi per sé, scuotendo la testa, tornando a trafficare con il suo computer, «Non finirò di nuovo dal coroner per identificare il tuo cadavere». Sfogliò due pagine nei documenti sulla scrivania, mosse il mouse e lo fermò, ricercando il foglietto sulla tasca e leggendo, così si alzò e sfilò la giacca dalla sedia, andando subito. 

4A - A Shoot Spinoff: UntitledDove le storie prendono vita. Scoprilo ora