Presenze

588 43 10
                                    


Era una sabato come tanti... Sì, che bello il sabato: niente scuola, niente pensieri, niente di niente. La sera come al solito mi ritrovai con i miei amici, sì, quei vecchi amici con cui ne hai passate tante, quelli su cui puoi contare, quelli che non ti abbandonano mai.

Eravamo tutti davanti al nostro pub preferito a mangiare e raccontarci la nostra settimana, quando d'improvviso un mio amico mi presenta un ragazzo che a prima vista, devo esservi sincero, mi inquietò... Non so perché, ma aveva qualcosa di strano.

Mentre io facevo conoscenza con questo tipo, i miei amici si erano seduti su una panchina poco distante dal locale e si stavano divertendo con qualcosa. Io sono un tipo giocherellone, ma, stranamente, quella sera non riuscii nemmeno a ridere. Quel ragazzo continuò a parlarmi fino a quando non si fermò di colpo e si girò verso gli altri.

"Ragazzi, perché non andiamo nella vecchia casa abbandonata?"

Tutti immediatamente si fecero prendere da un'euforia pazzesca, e, inutile dirvelo, vollero partire subito. Beh, io no. Conoscevo quella casa e me ne ero sempre tenuto a distanza, vista la sua fama e l'aura sinistra che emanava. Comunque, per non sembrare un guastafeste, li seguii senza fare troppe storie.

Questa casa distava circa 3 chilometri da dove eravamo noi, ma tra una parola e l'altra giungemmo davanti all'imponente entrata della casa in poco tempo. Più che una casa, l'aspetto riconduceva ad un'enorme villa stile 800. Notai subito il degrado e la sporcizia che sembrava regnare in quell'edificio, ma era prevedibile visto i 60 anni che aveva passato senza anima viva che la ripulisse.

Entrammo sfondando la porta di legno marcio e ci ritrovammo nel salone. Era ampio, e sembrava non finire più. La luce era poca, e dovemmo arrangiarci con la luce emessa dai telefoni e con qualche accendino. Il degrado sembrava peggiorare all'interno. Ragnatele, polvere, oggetti accatastati ovunque. Il Caos regnava.

Anche la natura sembrava volersi riappropriare del luogo. Da alcune colonne, infatti, scendevano fitti rami d'edera verde e scura. Alcune mattonelle erano rialzate e da esse potevamo intravedere alcune radici farsi strada dal cemento per uscire allo scoperto.

L'ansia aumentava col buio e l'odore di chiuso che sembravano regnare nella villa. Cominciammo a girovagare per la villa senza farci molti problemi, giocando a spaventarci di tanto in tanto lanciando qualche urletto per vedere la reazione degli altri.

Sentimmo un urlo. Un urlo vero. Era Giovanni che corse verso di noi tremando, e ci invitò a seguirlo. I suoi occhi erano sbarrati e la sua voce tremolante. Entrammo nella stanza da cui era uscito e davanti a noi riuscimmo a scorgere nel buio una scritta rossa.

Andate via.


Nessuno la prese seriamente, ma c'era qualcosa che mi turbava in quella scritta. Convinsi i ragazzi ad andare via, visto che la gita nella villa non aveva portato a niente di interessante. Ripercorremmo tutte le stanze un'ultima volta, e passo dopo passo, colonna dopo colonna, uscimmo fuori all'aria fresca della notte. Una volta fuori iniziammo a parlare della nostra avventura, ma non ci eravamo accorti di un piccolo particolare.


"Dov'è quello nuovo?"

Nessuno sembrò darci peso, e i ragazzi ripresero il cammino verso casa. Io non volevo seguirli, volevo aspettare il ragazzo. Ma questo non usciva e i pensieri iniziarono a susseguirsi nella mia testa. Quanto cavolo ci voleva per uscire? Accidenti... COME DIAVOLO SI CHIAMAVA? Parlavo tra me e me, quasi come un pazzo, andando avanti e indietro davanti all'ingresso della villa. Nessuno dava segni di vita. Presi coraggio e mi costrinsi ad entrare.

Gridai per farmi sentire, ma sembrava che non ci fosse nessuno nella casa. Nel frattempo sembrava essere diventata più buia di prima, e letteralmente più fredda. Mi strinsi nel cappotto e lo trovai umido e bagnaticcio. L'umidità in quel luogo era altissima. Mentre camminavo mi feci condizionare da tutti i racconti di paura che avevo sentito su quella casa.

Andiamo, stavo diventando pazzo o cosa?

Giurai però, di aver sentito qualcosa che mi seguiva. Qualcosa che mi spiava nell'ombra. Baggianate.

Finalmente lo trovai. Era immobile con uno sguardo vitreo e un ghigno spaventoso e indicava la scritta rossa con la mano. Mi avvicinai cautamente e lui parlò prima che potessi dire niente.

"Lo vedi anche tu, non è vero?"

Sgranai gli occhi. Di che diavolo stava parlando? Lo strattonai e lo costrinsi ad uscire dalla casa. Lui però non sembrava in sé.

"Non girarti. Lui è dietro di noi. Non farlo."

Lo guardai storto. Qualcosa di caldo scivolò nella mia maglia. Sgranai gli occhi e mi voltai. Dietro a noi non c'era niente. Guardai il ragazzo davanti a me e iniziammo a correre. Passo dopo passo ci sembrava che la villa fosse cambiata. Stanza dopo stanza ci trovavamo davanti a porte diverse. Ero sicuro che non ci fossero quando ero arrivato la prima volta. Correvamo, sempre più forte. Sentivo i miei polmoni bruciare e le gambe divenire pesanti.

Ero sicuro... questa stanza non c'era prima.

Corsi con tutta la forza che avevo nel corpo e spalancai una porta, ed entrai in una stanza dove un liquido rosso scuro mi sommergeva le caviglie. Con la coda dell'occhio lessi delle scritte sul muro.

"Ti sei voltato"

Il cuore aumentava i battiti, e il liquido sembrava farsi più denso, quasi a bloccarmi le caviglie. Cazzo. Dovevo Uscire da là. Usai una forza sovrumana per uscire dalla stanza, e finalmente crollai fuori dalla villa, capitolando a terra sull'erba fredda. Il ragazzo non c'era più. Dovevo averlo perso... Non mi importava più niente. Volevo tornare a casa e dimenticare tutto.

Un colpo forte alla nuca mi fece perdere i sensi. E il buio mi assalì.


Mi svegliai in un lungo corridoio buio, dove riecheggiavano ovunque dei passi lenti e stanchi, strascicati sul pavimento. Cercai di alzarmi ma qualcosa mi tenne bloccato al pavimento. Lo vidi avvicinarsi. Il ragazzo nuovo. Si piegò su di me e mi guardò...

I suoi occhi erano spariti, e al suo posto vi erano due enormi fori neri e profondi che ributtavano sangue su tutto il volto. Quel ghigno non sembrava lasciarlo più.

"Ti sei voltato. Adesso tocca a te"

Si passò sulla lingua un coltello arrugginito. Cercai di scappare, il fiato mi mancava, e la mia testa mandò mille impulsi al mio corpo per riuscire a liberarmi. Non ci fu niente da fare.

"È maleducazione lasciare sole le persone. Senza nemmeno salutarle a dovere"

Una risata profonda riecheggiò nella stanza era la sua. Sbarrai gli occhi, per vederlo alzare con forza il coltello e poi abbassarlo verso le mie palpebre.








Adesso sono nella villa. Mi diverto a scrivere sul muro col sangue che scende dai miei occhi. I miei amici non mi hanno salutato. Spero tornino a cercarmi...


È maleducazione lasciare sole le persone. Senza nemmeno salutarle a dovere.


Legends3 ✔️Where stories live. Discover now