Il viaggio di Vincenzo

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La Seat Toledo era una massa informe sotto il telo grigio. Vincenzo rimase a guardarla un paio di minuti buoni, con le mani in tasca. L'aveva comprata nel 1998 dopo aver venduto la Ford Escort blu, quella su cui erano saliti tutti e trentadue i bambini dal 1981 al 1998. Quella sulla quale non era riuscito a portare la trentatreesima, che era scappata via.

"Marina.
Che si è comunque salvata."

Dopo quella volta la paura aveva avuto la meglio su Vincenzo, che aveva pensato che trentatre era un buon numero per gli anni di Cristo mentre a lui trentadue anime salve potevano bastare. Aveva deciso di vendere la macchina e trasferirsi nelle Marche, sistemare la vecchia casa di suo nonno e smetterla. Smetterla di affannarsi per riparare qualcosa che non aveva danneggiato lui, che non stava a lui, smetterla di cercare, smetterla con quella ridicola storia delle paperelle. Alzare le braccia. Dimenticare, magari. E l'aveva fatto, al concessionario l'auto ce l'avevano solo rossa e lui l'aveva presa, dando dentro la Escort. Transazione ultimata in giornata. L'aveva guidata poco, dopo le migliaia di chilometri percorsi su e giù per il paese aveva deciso di smettere di viaggiare. Con grande fatica ce l'aveva quasi fatta, la usava raramente, per spostarsi aveva la bici e alla peggio prendeva la corriera o il treno. Ma questa cosa invece, se davvero aveva deciso, la doveva fare in macchina. Tolse il telo aspettandosi chissà che polveroni che non ci furono. Si mise al posto di guida e pensò

"Non partirà mai, è un anno che è ferma.".

Invece la Toledo partì, con poca convinzione ma subito.

Peccato.

*

Era stata la Nives a filtrargli tutte le notizie. Il bambino in coma che si era svegliato, l'abitante di un paese vicino che era stato sentito, l'ipotesi appena accennata che si potesse collegare il tentato rapimento ad altri non specificati "atti di violenza su bambini". "Indagine più ampia" erano state le parole precise. Allora Vincenzo aveva alzato la mano e aveva detto alla Nives:

«Basta così.»

E lei ne era stata enormemente sollevata, perché le piaceva vederlo lì, immobile nella poltrona, placido, ad accarezzare i gatti e chiederle di preparargli due uova con quelle erbette che sapeva lei. E anche a Vincenzo piaceva essere così, ovattato, nessun pensiero a corrodergli la quiete, solo i ricordi a passare avanti e indietro come nubi, che bastava aspettare un po' e poi se ne andavano. Questo era il Vincenzo che la Nives aveva conosciuto tanti anni prima, che aveva amato e amava, ricambiata. Insieme a un altro Vincenzo che era solo un povero disperato incapace di gestire le proprie emozioni, preda di attacchi di panico e crisi autolesioniste, da maneggiare con cura perché non cadesse nelle mani dei medici. Poi sì, per un istante, qualche giorno prima, aveva visto un terzo Vincenzo, del tutto inedito. Lucido, sicuro di sé, duro. Che l'aveva guardata negli occhi e l'aveva accusata di non aver fatto quello che le aveva chiesto. Era sparito subito, ma lei se lo ricordava, anche se aveva riposto la cosa in qualche cassetto nel retro della mente. E lì doveva restare, se Vincenzo voleva sperare di sfuggirle. La Nives non era solo una donna forte e intelligente, era sostanzialmente a capo di una ragnatela nevralgica di occhi e bocche e menti che partiva dal suo bar e si diramava in un raggio di dieci chilometri. Se qualcuno vedeva, sentiva o pensava qualcosa di strano, lei lo avrebbe saputo. Quindi Vincenzo doveva andarsene calcolando di passare tra le maglie di questa ragnatela senza toccarne nessuna. Difficile per il Vincenzo abulico seduto in poltrona. Impossibile per il Vincenzo sconvolto nel buio del ripostiglio. Ma quasi una passeggiata per il Vincenzo che aveva girato l'Italia rapendo bambini per sedici anni senza essersi fatto mai beccare. Non aveva avuto alcun ruolo la componente "caso", il fato non gli era venuto in aiuto, le poche variabili favorevoli gli avevano dato un minimo vantaggio su un calcolo precisissimo, millimetrico. A individuare il bambino ci metteva poco, un paio di giorni. A preparare tutto il resto molto più tempo. Era stato meticoloso, maniacale, si era dovuto basare sull'osservazione di cose che vedeva per la prima volta a cui doveva assegnare un punteggio di rischio. Orari di lavoro, frequentazione delle strade, meccanicità dei servizi. Segnava tutto su un blocchetto usando sigle in codice, nelle quali si sarebbe in seguito perso, ma che in quei giorni, finché l'operazione non era stata portata a termine, gli erano chiarissime. E fu così che decise che l'orario migliore per la partenza sarebbe stato non nel cuore della notte, quando c'erano pochissimi osservatori ma molto attenti, non alla sera, dove per svagarsi chiunque badava ai fatti degli altri, non al mattino presto, quando tutto aveva una sua cadenza già scritta nella quale sarebbe stata colta la più piccola variazione, ma precisamente alle 10.45. Orario post-ricreazione delle scuole ma ancora pre-mensa, l'ora in cui nelle case si preparava, si selezionava il cibo già comprato, si apparecchiavano i tavoli. A quell'ora al bar non c'era nessuno e per questo il turno lo copriva la Nives stessa, che sarebbe rimasta bloccata lì. Invece che passare per il paese Vincenzo sarebbe andato campagna campagna, passando dal terreno del Ciaffo per evitare come la peste il podere di Luigi che, visto che non aveva che da aspettare la stagione migliore, si occupava spesso degli alberi, pulizie spicciole piuttosto che niente. Sarebbe sbucato nel paese limitrofo, dove lo conoscevano in pochi, ma a sufficienza, e sarebbe dovuto andare rasente la chiesa, perché sapeva che il parroco la chiudeva a chiave e andava a dare conforto alla casa di riposo. Se non avesse incrociato nessuno oltre la chiesa ce l'avrebbe fatta a riprendere la via dei campi dal lato opposto e raggiungere la provinciale. Da lì sarebbe stato libero. Non avrebbe portato niente con sé, ne' cellulari ne' tablet, nulla di tracciabile o rintracciabile. Andando con calma si sarebbe trovato sull'Autostrada del sole prima di mezzogiorno.

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