Capitolo 10 - La rosa tea 🌹

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«Qual è il tuo nome?» Le chiese Mark dopo lunghi minuti di silenzio, pur sapendolo.

Tea a quella domanda lo guardò confusa: i nazisti non erano interessati a conoscere i loro nomi. Così, con lentezza, abbassó il viso verso il suo petto dove spiccava il numero 75195.

«Non quello. Voglio sentire il tuo nome.» Precisò il nazista, alzandosi e avvicinandosi alla ragazza. Quest'ultima, d'istinto, indietreggió.

«Mi... Mi chiamo T-Tea.» Riuscì poi a rispondere con molta fatica. Le sembrava la stessa situazione di quando qualche settimana prima l'aveva condotta in quel capanno per infliggerle chissà quale punizione, solo che adesso si trovavano in una stanza molto più accogliente.

Udendo la risposta di Tea, un sorriso sarcastico si manifestó sul viso di Mark. Il soldato si avvicinò ancora di più, bisbigliando quel nome tra le labbra.

Tea, il nome di sua madre.

I nonni di Mark avevano origini italiane e avevano scelto per la figlia il nome di quel fiore particolare che poi divenne anche il suo preferito. Infatti ricordava ancora di come la donna adorava abbellire la casa con quelle rose profumatissime e di come se ne prendeva cura coltivandole nel suo piccolo giardino. Improvvisamente la mente dell'algido comandante fu invasa da un dolcee vivido ricordo, anche se lontano nel tempo.

«Perché ti piacciono tanto questi fiori, mamma?» Chiese il piccolo Mark, mentre sua madre si accingeva a posizionarne un mazzo in un vaso.

«Perché sono dei fiori bellissimi e profumatissimi, tesoro. E poi hanno un significato molto bello.» Gli spiegò dolcemente la sua mamma.

«Quale?» Chiese ancora lui, curioso più che mai.

«Quando qualcuno ti regala questo fiore, ti sta dicendo "ti ricorderò per sempre".» Spiegò allora lei, prendendolo in braccio.

«Inoltre» continuò la donna «Sono simbolo di dolcezza e forza messi insieme. L'ibrido di rosa tea è il fiore più bello che ci sia.» Concluse, stampandogli un bacio sulla guancia che Mark, prontamente, si pulì con il dorso della mano. La madre a quel gesto sorrise e gliene diede un altro.

«Che vuol dire ibrido?» Chiese ancora lui, ignorando il secondo bacio. La madre pensò per qualche secondo a come spiegarglielo con parole semplici, poi rispose.

«Si dice così quando ci si riferisce a qualcosa che nasce da due elementi che appartengono a razze diverse, quasi da sembrare incompatibili. Eppure, una volta uniti, può nascere questa meraviglia.» Disse prendendo un fiore dal vaso e porgendoglielo.

Il piccolo Mark sorrise e annuì alle parole di sua madre trovandosi d'accordo, mentre afferrava quel fiore di un color rosa tenue sui bordi dei petali e dal nucleo giallo.

Quel breve ricordo felice fece capolino nella sua mente, ma fu subitorimpiazzato da un altro più triste e doloroso: l'assassinio, i funerali e il cimitero in cui per i primi anni si recava ogni giorno a portare le rose sulla loro tomba.

Ti ricorderò per sempre.
Ti ricorderò per sempre.
Ti ricorderò per sempre.

Mark scosse la testa per cacciare via quella scena dai suoi pensieri e guardò la ragazza che era immobile davanti a lui mentre sentì una rabbia montargli dentro. Era ebra, come osava portare il nome di sua madre e infangarlo in questo modo? Con uno scatto Mark azzeró la distanza fra lui e Tea inchiodandola alla parete e colpendo quest'ultima con il pugno chiuso. Il braccio di Mark vibró fino alla spalla e lui chiuse gli occhi inalando, attraverso i denti stretti, quanta più aria possibile.
Anche Tea respirava a fatica e, essendo molto spaventata, rimase immobile a fissare un bottone di quella divisa così tremendamente vicina. Tea non capì perché avesse avuto quella reazione, ma stava imparando a stare zitta in situazioni del genere.

Pur avendo voglia di spaccare tutto, Mark riuscì a controllarsi e dopo interminabili minuti, fece un passo indietro osservandola da capo a piedi: i capelli nerissimi le ricadevano scomposti sulle spalle incorniciandole il viso da bambina, mentre i suoi occhi di un verde acceso, seppur terrorizzati, non accennavano ad abbassarsi.

Dolcezza e forza messi insieme.

Di nuovo quel ricordo e di nuovo quelle parole. Il soldato strinse nuovamente i denti e cercò ancora una volta di avvicinarsi a Tea ma quest'ultima si appiattì velocemente contro il muro alle sue spalle non riuscendo a nascondere una fitta di dolore.

«Che succede?» Chiese con il suo solito tono freddo.

«Niente...» Rispose Tea, temendo che non l'avesse più voluta come domestica se avesse saputo del dolore alla schiena.

«Non mentire.» Ordinò lui e, senza troppe cerimonie, l'afferró per un braccio facendola voltare. Tea tentò di ribellarsi ma i suoi tentativi furono inutili e Mark, con enorme facilità, riuscì a strappare la sottile stoffa della sua camicetta rivelando dei lunghi segni rossi e gonfi sulla schiena dell'ebrea.

Immediatamente la lasció andare e Tea tentò di tenere su i lembi del vestito appena strappato. Mark non disse una sola parola ma si limitó a suonare una campanella posta proprio sul tavolo di legno. Pochi secondi dopo arrivò la donna che l'aveva accolta nella casa.

«Portala nella sua stanza, tra poco arriverà il medico. Nel frattempo istruiscila.» Ordinò algido, lasciandole poi sole.

La rosa di AuschwitzWhere stories live. Discover now