Capitolo 6

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Il sangue mi si gela nelle vene al suono di quelle parole. Strabuzzo gli occhi. «C-chi?» balbetto.
«L'assistente sociale» ripete la donna di fronte a me, glaciale. «Posso entrare?»
Con la coda dell'occhio controllo mio fratello mentre trascina Carmen nella sua stanza, su per le scale, cercando di fare il minimo rumore possibile. «Carmen non è in casa» ribadisco.
«Mi lasci entrare e fare il mio lavoro!» brontola spazientita, gli occhi al cielo. Mi scosto aprendo di più la porta e richiudendola una volta che la signora Clark è entrata. Passeggia un po' nel soggiorno, i tacchi che risuonano sul pavimento di legno, mentre si guarda attorno. Passa una mano sul divano e annusa l'aria. «C'è odore di alcool» sentenzia.
«Sto facendo una ricerca per la scuola riguardante gli alcolici e i loro effetti dannosi sulla salute» farnetico, mordendomi il labbro sperando che abbocchi all'amo, nonostante si capisca che è un'enorme bugia. Lei annuisce senza aggiungere altro, si dirige in cucina e osserva le foto alle pareti, che ritraggono quei pochi momenti felici passati con Carmen e suo marito, prima che morisse. Indica le scale. «Sono lassù le camere?»
Annuisco con la testa e sale. Le scale scricchiolano, descrivendo in pieno la fragilità del momento. La prima stanza che vuole vedere è proprio quella di Carmen. Mentre abbassa la maniglia il tempo sembra fermarsi, e prego con tutto il cuore che mio fratello sia stato abbastanza prudente da chiuderla a chiave. Le mie preghiere vengono esaudite e la signora Clark sbuffa, voltandosi verso di me in cerca di spiegazioni.
Alzo le spalle, inventandomi qualcosa. «Non vuole che entriamo quando lei non c'è. Ognuno ha i suoi segreti, e noi la rispettiamo.»
«Capisco..» Passa alla seconda stanza, la mia. Per fortuna non ho lasciato molto casino, solo i vestiti del lavoro sono appoggiati sulla sedia della scrivania, e il letto è perfettamente integro, con alcuni libri e appunti di scuola sopra la coperta. «Bella camera» commenta. Abbozzo un sorriso di ringraziamento, e la seguo nella camera di mio fratello. Jem è seduto alla sua scrivania, intento a fare i compiti. Anche la sua camera è immacolata, e mi chiedo come abbia fatto a sistemarla così in fretta.
Tossisco per informarlo della nostra presenza, anche se so che non ce n'è bisogno. «Jem, tesoro.. Lei è la signora Clark, l'assistente sociale.»
Lui scende dalla sedia e allunga la mano verso la donna. «Piacere, io sono James.»
La signora Clark è visibilmente stupita. «Che bambino adorabile!»
Le guance di Jem arrossiscono e abbassa lo sguardo. «Come mai è qui?»
«Cercavo vostra madre.»
«Nostra madre è morta» ribatte il piccolo, offeso.
L'assistente sociale mi lancia un'occhiata di scuse. «Volevo dire Carmen, tesoro» si corregge.
James rilassa le spalle. «È ancora al lavoro.»
«Lo so.» Gli accarezza la testa e poi mi fa cenno di seguirla al piano terra. «Ascolta..»
«Raven.»
«Si, Raven.. Devo parlare con la signora Carey il prima possibile, deve fare la seduta annuale dallo psicologo e devo sapere se è ancora in grado di svolgere il ruolo di madre nei vostri confronti.» Mi viene da ridere a quell'affermazione, ma cerco di trattenermi. «Quando posso tornare per parlare con lei? Domani?»
Faccio cenno di no con la testa. «Oh no, domani è il compleanno di James e abbiamo la giornata organizzata! Gli abbiamo preparato una sorpresa indimenticabile, non sarebbe il momento ideale, Jem potrebbe restarci male, sa.. Ha bisogno di più affetto possibile.» Cerco di usare un tono abbastanza persuasivo, sperando anche di entrare nelle sue grazie.
«Oh, povero piccolo, hai assolutamente ragione. Non salterà la scuola, però, dico bene?»
«Assolutamente no!» affermo.
«Molto bene. Tra due giorni? Alle 17?»
«Ehm.. Si, va bene.»
Si annota l'appuntamento sulla sua cartelletta e poi si congeda, facendomi promettere di fare gli auguri a mio fratello da parte sua, domani. Chiudo la porta alle mie spalle e mi ci appoggio, chinandomi sulle ginocchia e sospirando di sollievo. «Se n'è andata?» domanda Jem, in piedi sulle scale.
Mi scosto i capelli dal viso e annuisco. «Si. Per fortuna, si. Ma vuole parlare con Carmen. È di sopra?»
Annuisce e mi conduce davanti alla porta della stanza di nostra "madre", girando la chiave nella toppa. Non appena entro, l'odore di alcool si sente talmente tanto che mi gira la testa.
«Tesoro, vai in camera» spingo mio fratello fuori e chiudo la porta. Carmen è sdraiata sul letto a ridere, con la bottiglia di vodka in mano, i riccioli castani sparpagliati sul cuscino, raggomitolata su se stessa. «Ma si può sapere che cazzo fai?» sbraito. «Devi fare la seduta con lo psicologo! Perché non me lo hai detto?!»
«Perché.. ovviamente.. come faccio a.. a ricordarlo?» dice tra una risata e l'altra.
Faccio per tirarla in piedi, ma lei mi tira uno schiaffo. «Hey, ragazzina.. Dove sono le buone maniere che ti ha insegnato mammina?» sghignazza.
Faccio appello a tutti il mio autocontrollo per non strozzarla con le mie stesse mani, lì, sul posto. «Adesso te ti rimetti in sesto, SOBRIA!» ringhio a denti stretti. «James deve rimanere sotto la tua custodia, hai capito?»
Lei sventola una mano con per dire "Tutto sotto controllo, rilassati" e beve un altro sorso dalla bottiglia. Gliela strappo via a mezz'aria ed esco, chiudendo a chiave la porta. Carmen batte i pugni frignando e per non sentirla mi tappo le orecchie con le mani.

You're my weakness ➳ lesbianМесто, где живут истории. Откройте их для себя